Decine di migranti sono rimasti uccisi venerdì nel tentativo di entrare in massa nell’enclave iberica di Melilla.
Secondo un bilancio provvisorio i morti sono almeno 27, ma secondo le ultime stime delle ong impegnate sul campo le vittime sarebbero almeno 37. Le vittime sono morte per soffocamento o schiacciamento, alcune sono precipitate mentre tentavano di scavalcare le reti di confine. Si contano anche decine di feriti, sia tra le persone che facevano parte del gruppo sia tra gli agenti, che su entrambi i lati della frontiera, marcata da una lunga barriera, hanno cercato di sbarrare loro la strada.
Secondo le ricostruzioni circa 2.000 persone hanno iniziato ad avvicinarsi alla frontiera: di queste, 1.500 sono arrivate sino al punto di contatto tra i due Paesi, circa 400 di loro ha tentato di sfondare un cancello. I poliziotti sono intervenuti per contenere il tentativo di irruzione. Dopo momenti concitati, la situazione è tornata alla normalità, con un bilancio ufficiale di 133 migranti che sono riusciti a entrare in territorio spagnolo, di cui 57 rimasti feriti. Nell’assalto hanno riportato contusioni anche una cinquantina di agenti di polizia della Spagna.
Il premier spagnolo Pedro Sánchez sostiene che quanto accaduto a Melilla sia stato “un assalto violento e organizzato”, dietro al quale ci sarebbero “mafie che trafficano con esseri umani”.
La frontiera terrestre tra Marocco e Spagna in corrispondenza delle due «enclavi» di Ceuta e Melilla era stata riaperta il 17 maggio scorso dopo oltre due anni di stop. Il passaggio era stata interrotto per via della pandemia ma anche per un braccio di ferro tra i governi di Madrid e Rabat, dal momento che la polizia marocchina aveva allentato i controlli sui migranti che si presentavano al confine.
Il 22 marzo scorso si era verificato un episodio simile: circa 2.500 migranti avevano tentato di forzare i blocchi, 900 di loro erano riuscite ad arrivare in territorio spagnolo.
La situazione al confine dell’enclave spagnola è particolarmente tesa. I gruppi umanitari denunciano l’uso “sistematico” della forza da parte delle forze dell’ordine sui migranti che si spingono fino al nord del Marocco per tentare di entrare in Europa, così come le condizioni “tragiche” in cui vivono: fattori che fanno aumentare il loro grado di “disperazione”.