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Appaesarsi in questa parte del mondo. L’insegnamento dell’italiano nei percorsi di integrazione
È evidente: la lingua è indispensabile per chi è costretto a reinventare la propria vita.
Consente l’accesso all’istruzione, al lavoro, a una dimensione concreta di cittadinanza. Ancora prima garantisce la possibilità di mettere in comune esperienze, ricordi, progetti, sentimenti e opinioni. Esprimersi, insomma. E quindi esistere agli occhi dell’altro.
La Scuola di italiano del Centro Astalli lavora per questo, per consentire a generazioni di donne e uomini migranti di appaesarsi* in questa parte del mondo; per garantire loro la possibilità di vivere come persone e non come sagome senza voce e senza storia.
Lo ha fatto anche in questi ultimi tempi, stravolti dalla pandemia. Lo ha fatto nonostante la pandemia.
La situazione ha imposto anche alla Scuola Astalli cambiamenti radicali e imprevisti. Prima di tutto, nei mesi di lockdown, scuola chiusa e didattica a distanza.
Cancellati, da un giorno all’altro, gli incontri e i saluti in aula, la mano che orienta la penna, lo sguardo che segnala una imprecisione, la prossimità che incoraggia, la possibilità di scoprire da vicino come produrre i suoni mai sentiti di una lingua sconosciuta.
Soli. Davanti al piccolo schermo del cellulare. Come in tutte le scuole di Italia, del resto. Ma per molti studenti migranti, adulti o giovani adulti, la scuola a distanza è stata particolarmente pesante.
Le difficoltà e i disagi sono stati spesso ingigantiti dalla oggettiva mancanza di risorse, anche elementari. Non sempre c’è il wi-fi, nei centri o nelle case occupate. E se c’è non sempre funziona. Allora si deve trovare un angolo di marciapiede, sotto casa, dove potersi agganciare al wi-fi di un bar o di una agenzia immobiliare. Non sempre ci sono tavoli, nelle stanze dei centri. In una stanza possono trovarsi 2 o 3 studentesse, ognuna collegata con una maestra lontana, a scrutare il cellulare per leggere e rispondere nonostante il chiasso dei figli piccolissimi, espulsi a loro volta dagli asili.
Non sempre c’è una casa, anche. E se non c’è casa bisogna cercare sapientemente una presa elettrica da qualche parte, per caricare il telefono.
Le difficoltà sono state tante, e molto concrete. Ma studenti e studentesse le hanno affrontate tutte, quotidianamente, dando esempi impensabili di resilienza e di tenacia. E tutti gli insegnanti, maestri e maestre, hanno accettato la sfida, hanno imparato a gestire piattaforme, hanno preparato materiali specifici, hanno dilatato gli orari delle lezioni.
La mobilitazione di tutta la scuola non solo ha garantito la prosecuzione di tutte le attività scolastiche programmate, ma ha anche indicato nuove possibilità, realizzabili proprio grazie all’uso degli strumenti informatici. Per esempio i corsi per sostenere gli esami di livello B1, rivolti a studenti con buone competenze linguistiche, sono risultati tanto efficaci, a distanza, anche perché più compatibili con impegni di lavoro e di studio dei frequentanti, che tuttora vengono svolti in questa modalità.
Finito il lockdown la scuola si è riaperta subito ma ha dovuto riorganizzarsi per rispettare tutte le regole di distanziamento. Lo ha fatto con flessibilità e buona capacità progettuale. Lo ha fatto soprattutto con generosità. Si doveva dimezzare il numero di studenti presenti in ogni classe? La scuola l’ha fatto, ma ha aumentato le ore di apertura e ha quasi raddoppiato il numero dei corsi.
Grazie a questo, il numero dei frequentanti non è affatto diminuito nell’anno 2020/2021. La festa per la consegna dei certificati di fine corso – rigorosamente all’aperto, con distanziamento e mascherine – ha visto la partecipazione di studenti numerosi e soddisfatti. La scuola ha funzionato bene, nonostante la “peste”.
* Ernesto De Martino, La fine del mondo, Einaudi, 1977
ROSARIA IARUSSI, insegnante volontaria