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GEOGRAFIA
La Repubblica Democratica del Congo confina a nord con la Repubblica Centro Africana e il Sudan del Sud; a nord-est con l’Uganda; a est con il Ruanda, il Burundi e la Tanzania; a sud con lo Zambia e l’Angola; a ovest con la Repubblica del Congo e, sullo stesso versante, presenta un piccolo sbocco sull’Oceano Atlantico.
Il Paese è dominato dal bacino del fiume Congo, che ospita la seconda foresta pluviale più grande del mondo dopo quella amazzonica e copre quasi la metà del territorio congolese.
La foresta lascia gradualmente spazio alla savana arborea a sud-ovest e ai rilievi montani situati lungo la Great Rift Valley a est. Qui il confine orientale è caratterizzato da numerosi laghi, tra i quali il Tanganica, il Mweru e l’Albert. Presso la Rift Valley si segnalano anche modeste attività vulcaniche dovute ai movimenti della crosta terrestre.
Il clima è diversificato, vista l’estensione del Paese: caldo e umido nell’area del bacino del fiume, fresco e asciutto nelle zone montagnose meridionali, fresco e umido nella zona degli altopiani orientali.
ECONOMIA
Scarsamente popolata, in relazione alla sua estensione territoriale, la Repubblica Democratica del Congo possiede ampie risorse naturali e ricchezze minerarie. Nonostante ciò, è una delle nazioni più povere del mondo. Questo è il risultato di anni di cattiva amministrazione, corruzione e guerre. Per decenni la corruzione e le politiche errate hanno alimentato un’economia clandestina, che è largamente diffusa in molti settori. Al fine di combattere la corruzione, a settembre 2009, l’allora Presidente Kabila ha lanciato una campagna di “tolleranza zero”. All’interno di questo sistema ha istituito la DRC Financial Intelligence Unit per contrastare il riciclaggio di denaro e l’appropriazione indebita di fondi pubblici. Tuttavia, la debole capacità di garantire l’applicazione delle leggi e la precarietà del sistema giudiziario hanno sempre rappresentato forti ostacoli nella lotta alla corruzione.
L’economia congolese si basa prevalentemente sul settore agricolo che rappresenta il 20,1% del PIL. I principali prodotti sono il cotone, il caffè, lo zucchero, l’olio di palma, la gomma, il tè, il cotone, il cacao, le banane, le arachidi, il mais e alcuni prodotti in legno.
Il settore dei servizi produce il 48% del PIL mentre il settore industriale quasi il 32%. Quest’ultimo è basato soprattutto sull’industria mineraria i cui principali prodotti sono i diamanti, l’oro, il rame, il cobalto, lo zinco, il coltan e lo stagno. Il settore minerario è in espansione, i minerali sono i prodotti maggiormente esportati e rappresentano la più grande fonte di investimenti esteri diretti.
Negli scorsi anni, il governo congolese ha attuato riforme e applicato nuove leggi tra cui il codice degli investimenti, il codice minerario, la legge agraria, la legge sulla finanza pubblica e il codice degli appalti. È stato anche istituito un nuovo tribunale commerciale. Tutte iniziative nate con l’obiettivo di attirare gli investimenti promettendo un trattamento equo e trasparente alle imprese private. Sempre su iniziativa governativa è stato creato lo “Steering Committee for Investment and Business Climate Improvement”, un comitato interministeriale con lo scopo di sostenere le riforme e potenziare così lo spirito imprenditoriale della nazione.
A causa della diminuzione della domanda globale di materie prime registratasi nel 2008-2009, la RDC ha dovuto affrontare una grave crisi monetaria e finanziaria. La comunità internazionale ha risposto rapidamente al deteriorarsi della situazione economica fornendo assistenza finanziaria di emergenza, inclusa quella derivante dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), dalla Banca Mondiale e dalla Banca Africana per lo Sviluppo. Anche l’Unione Europea e il Belgio hanno fornito aiuti finanziari. Ma alla fine del 2012 il FMI ha sospeso gli ultimi tre pagamenti nell’ambito del finanziamento – un totale di 240 milioni di dollari – a causa delle preoccupazioni circa la mancanza di trasparenza nei contratti di estrazione mineraria. Nel 2012, la RDC ha aggiornato le proprie leggi commerciali rispettando l’OHADA, l’Organizzazione per l’Armonizzazione del Diritto Aziendale in Africa. Il prezzo del rame – esportazione principale della RDC – è diminuito nel 2015 e ha mantenuto un calo record durante il 2016, riducendo i ricavi governativi, le spese e le riserve valutarie. Il peggioramento della crisi economica ha inasprito i già elevati livelli di povertà della popolazione, su cui ha anche gravato l’insorgenza di focolai di colera, febbre gialla e Covid-19 che hanno provocato centinaia di morti.
La Repubblica Democratica del Congo ha dovuto inoltre lottare contro nuovi focolai di Ebola e contro un’epidemia di morbillo. Inoltre, nell’ottobre 2020, l’OCHA ha stimato che 15,6 milioni di persone si trovano in una situazione di grave insicurezza alimentare, di cui circa 4,7 milioni soffrono di grave malnutrizione.
Nel 2023 però la valutazione sul potenziale economico della Repubblica Democratica del Congo è stata al rialzo, dopo che il Paese ha ospitato, per la seconda edizione, la Conferenza per orientare gli investitori. L’incremento di 40 punti base sottolinea la dinamica positiva del Paese, nonostante questo continui a fare i conti con infrastrutture inadeguate, tasse arbitrarie e insicurezza nella parte orientale del Paese. Tuttavia, negli ultimi anni il governo congolese ha incrementato le riforme e posto l’attenzione sui risultati macroeconomici, sulla gestione responsabile delle finanze pubbliche e su un sistema finanziario stabile col fine prioritario di creare nuovi posti di lavoro.
Nel dicembre del 2023 sarà inaugurato un nuovo centro finanziario a Kinshasa, frutto della cooperazione turco-congolese, che concentrerà diverse operazioni in un unico sito per migliorare i servizi del Ministero del Bilancio e del Ministero delle Finanze, mentre è in corso un progetto per l’aeroporto di Kinshasa destinato a divenire uno dei più grandi terminal di tutta l’Africa continentale. Questi investimenti, insieme alle numerose strutture sportive in costruzione, daranno un valore aggiunto al Paese e al suo ambiente imprenditoriale.
Nonostante questi progressi le sfide rimangono, soprattutto nel Congo orientale, nelle zone del Nord Kivu e dell’Ituri, in cui le risorse sono ancora poco sfruttate aggravando così la precarietà.
A pagare le conseguenze di questa instabilità è come sempre la popolazione: il 70% dei congolesi vive sotto la soglia di povertà, una persona su tre soffre di fame acuta e le aspettative di vita si aggirano intorno ai 60 anni.
La situazione è aggravata dai continui scontri che si hanno per il controllo delle fonti minerarie, come diamanti, coltan, oro, cobalto e rame che da decenni muovono gli interessi di grandi potenze a livello internazionale.
A causa della sua ricchezza mineraria, il Kivu è conteso da innumerevoli gruppi armati che seminano una scia infinita di violenze e crimini efferati, come nel caso dell’assassinio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio il 22 febbraio 2021 che insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci, persero la vita in un’imboscata da parte di una delle tante bande armate che controllano la zona.
Tutta l’area del Kivu gioca un ruolo strategico per la presenza di cobalto, rame e coltan, necessari per la produzione di batterie, materiale elettrico e componenti elettronici.
La catena che porta le risorse minerarie del Kivu alle imprese che si trovano in Europa e in Asia, è molto lunga e spesso tra i vari passaggi vengono imposte delle tasse e delle estorsioni che arricchiscono coloro che detengono il controllo sui territori da cui partono queste risorse. A pagare il prezzo più alto di questo sistema di corruzione sono i minatori che lavorano all’estrazione dei materiali, sottoposti a orari massacranti e a condizioni di lavoro altamente rischiose
INDICI DEMOGRAFICI E DI SVILUPPO
CONTESTO STORICO E SOCIO-CULTURALE
CONTESTO STORICO
Dalla colonizzazione all’indipendenza
Il territorio conosciuto come Repubblica Democratica del Congo venne colonizzato nel 1885 e diventò dominio personale del Re belga Leopoldo II.
Nel 1907 l’amministrazione passò al Governo belga che cambiò il nome della nazione in “Congo Belga”. Dopo un periodo di insurrezioni e disordini, il 30 giugno del 1960, il Congo Belga conquistò l’indipendenza. Con le elezioni parlamentari del 1960 Patrice Lumumba (leader del Movimento Nazionale del Congo) diventò Primo Ministro mentre Joseph Kasavubu assunse la carica di Presidente della rinominata Repubblica Democratica del Congo.
L’era di Mobutu (1961-1997)
Nei primi anni di indipendenza, diversi eventi destabilizzarono la nazione: l’esercito si ammutinò; il governatore della provincia di Katanga attuò un tentativo di secessione; le forze di peacekeeping delle Nazioni Unite furono chiamate a ristabilire l’ordine nel Paese; nel 1961 il Primo Ministro Lumumba morì assassinato durante un tentativo di colpo di Stato e il colonnello Joseph Desire Mobutu (in seguito chiamato Mobutu Sese Seko) assunse il governo.
Il Paese attraversò un periodo di gravi disordini e rivolte fino al 1965, quando Mobutu – che in quel momento era tenente generale e comandante in capo dell’esercito nazionale – assunse il controllo del Paese e si autoproclamò Presidente per 5 anni.
Mobutu centralizzò rapidamente il potere attraverso il dominio indiscusso del suo partito: il Movimento di Rivoluzione Popolare (Popular Revolution Movement – MPR).
Nel 1970 venne eletto Presidente all’unanimità e iniziò una campagna di sensibilizzazione culturale arrivando, nel 1971, a rinominare il Paese come Repubblica dello Zaire e obbligando i cittadini ad adottare nomi africani.
Seguì un periodo di relativa stabilità che durò fino al 1977-78, quando i ribelli della provincia di Katanga, che si stavano organizzando in Angola, misero in atto una serie di invasioni nella regione.
I ribelli furono cacciati dal territorio grazie all’aiuto delle truppe belghe, marocchine e francesi.
Negli anni ‘80, Mobutu continuò a rafforzare il suo sistema di governo a partito unico. Nonostante egli riuscisse a mantenere il controllo del Paese, in questi anni si attivarono numerosi partiti di opposizione, il più importante dei quali era l’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (Democracy and Social Progress Union – UDPS). I tentativi di Mobutu di reprimere l’azione di questi gruppi attirarono pesanti critiche internazionali.
Con la fine della Guerra Fredda aumentarono le pressioni interne ed esterne sul regime di Mobutu.
Tra la fine del 1989 e l’inizio del 1990, il suo governo fu indebolito da una serie di proteste interne, dalla difficile situazione economica e dal crescere delle critiche internazionali circa le pratiche non rispettose dei diritti umani operate dal suo regime.
Ad aprile 1990, Mobutu accettò di aprire il governo ad un sistema multipartitico con la previsione di nuove elezioni e di una Costituzione.
Quando, però, l’attuazione di alcune disposizioni del nuovo pacchetto di riforme venne rinviata, i soldati iniziarono a saccheggiare Kinshasa e a protestare per il mancato pagamento dei salari.
Circa 20.000 cittadini stranieri presenti a Kinshasa in situazione di rischio furono evacuati grazie all’intervento di 2.000 truppe francesi e belghe e il supporto dei mezzi dell’aeronautica statunitense.
Nel 1992, dopo diversi tentativi, venne istituita la Conferenza di Sovranità Nazionale (CSN), intesa quale forum di riconciliazione e d’elaborazione di una nuova carta costituzionale. Essa comprendeva più di 2.000 rappresentanti di diversi partiti politici. L’arcivescovo Laurent Monsengwone assunse la presidenza.
La Conferenza Nazionale venne, infine, a configurarsi quale potere antagonista a quello presidenziale di Mobutu, fino a proclamare il 14 aprile 1992 la propria sovranità e il valore vincolante delle proprie deliberazioni. Benché Mobutu avesse, su designazione della CSN, nominato Primo Ministro Étienne Tshisekedi, fondatore e Presidente del partito di opposizione UPDS, il conflitto fra le due istituzioni non venne meno.
A dicembre la CSN si sciolse, dopo aver concluso i propri lavori con la nomina dei membri dell’Alto Consiglio della Repubblica (High Council of the Republic-Parliament of Transition – HCR-PT), una sorta di Parlamento provvisorio.
Entro la fine dell’anno, Mobutu aveva creato un governo rivale.
La situazione di stallo che ne conseguì produsse, nel 1994, un compromesso che portò alla fusione dei due governi all’interno dell’Alto Consiglio della Repubblica, con Mobutu come Capo di Stato e Leon Kengo Wa Dondo come Primo Ministro.
Per i successivi due anni vennero continuamente riprogrammate elezioni legislative e presidenziali che, tuttavia, non ebbero mai luogo.
All’inizio del 1994, la guerra e il genocidio nel vicino Ruanda si estesero in Zaire. Le forze della milizia Hutu ruandese (Interahamwe), fuggite dal Ruanda dopo l’ascesa del governo guidato dai Tutsi, iniziarono ad utilizzare i campi profughi allestiti nell’est dello Zaire come basi per le loro incursioni in territorio ruandese.
Nell’ottobre del 1996 le truppe ruandesi (RPA) entrarono in Zaire, contemporaneamente con la formazione di una coalizione armata guidata da Laurent Desire Kabila, conosciuta come Alleanza delle Forze Democratiche per la liberazione del Congo-Zaire (Alliance of Democratic Forces for the Liberation of Congo-Zaire – AFDL). Quest’ultima aveva l’obiettivo di estromettere forzatamente Mobutu. Così, le forze dell’AFDL con il supporto dell’Uganda e del Ruanda, iniziarono una campagna militare da Kinshasa.
Inutili si rivelavano gli appelli dell’ONU al ritiro di tutte le forze straniere nell’Est dello Zaire e i tentativi di Mobutu di dare una credibilità al proprio governo sostituendo una serie di primi ministri. Nel maggio 1997 si assistette al fallimento dei negoziati di pace tra Mobutu e Kabila, le truppe dell’AFDL entrarono a Kinshasa e Kabila si proclamò Presidente della Repubblica Democratica del Congo, ripristinando così il nome che il Paese aveva avuto dal 1960 al 1971 e assumendo pieni poteri.
Mobutu riuscì a fuggire dal Paese (morì a Rabat –Marocco nel settembre 1997).
- Il governo di Laurent Desire Kabila e la “Guerra Mondiale Africana” (1998-2003)
Il capo dell’esercito di Kabila e il Segretario Generale dell’AFDL erano ruandesi e le unità dell’RPA (Rwandan Patriotic Army) continuarono ad operare insieme con i militari delle FAC (Forze Armate Congolesi – Congolese Armed Forces – FAC) nella Repubblica Democratica del Congo.
Nel corso dell’anno successivo (1998), tuttavia, le relazioni tra Kabila e i suoi sostenitori stranieri si deteriorarono.
Nel luglio del 1998, Kabila ordinò a tutte le truppe straniere di lasciare il territorio congolese. Molte si rifiutarono di eseguire l’ordine.
Un mese dopo (agosto 1998) esplosero combattimenti in tutta la nazione, le truppe ruandesi presenti in RDC si ammutinarono e nuovi contingenti ugandesi e ruandesi entrarono nel Paese.
Dilagò la guerra civile, di lì a poco le truppe ruandesi lasciarono il Basso Congo con l’intenzione di marciare su Kinshasa, estromettendo Kabila e rimpiazzandolo con un nuovo gruppo ribelle congolese, il Congolese Rally for Democracy (RCD), appoggiato dai ruandesi.
Nel febbraio del 1999, l’Uganda appoggiò la costituzione di un altro gruppo ribelle, il Congo Liberation Movement (MLC), un movimento che raccoglieva gli ex sostenitori di Mobutu e dell’ex-Zaire nella Provincia Equatoriale (anche provincia di nascita dell’ex Presidente Mobutu).
Insieme, le forze dell’MLC e le forze ugandesi riuscirono a prendere il controllo su una parte del territorio settentrionale della RDC.
A questo punto, la RDC era divisa di fatto in tre segmenti, il primo controllato da Laurent Kabila, il secondo dai ruandesi e il terzo dagli ugandesi. Il conflitto si attestava su una situazione di stallo.
Nell’aprile del 1999, vennero ufficialmente coinvolti altri Paesi del continente: Kabila e i Presidenti di Angola, Zimbabwe e Namibia annunciarono la formazione di un’alleanza finalizzata alla reciproca difesa militare, mentre l’Uganda e il Ruanda continuarono ad appoggiare le forze ribelli.
La campagna militare ruandese venne dunque fermata grazie all’intervento, a difesa del governo di Kabila, delle truppe alleate di Angola, Zimbabwe e Namibia.
Vi furono ripetuti appelli del Presidente francese J. Chirac e del Segretario dell’ONU Annan per la firma di accordi sul cessate il fuoco e l’avvio di negoziati tra le fazioni rivali.
A luglio del 1999, tutte le parti si incontrarono a Lusaka, in Zambia, dove firmarono un accordo alla fine di agosto. L’accordo di Lusaka prevedeva il cessate il fuoco, il dispiegamento delle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite e il ritiro delle truppe straniere, nonché l’avvio di un negoziato interno che potesse portare alla formazione di un Governo di transizione che avrebbe guidato il Paese verso nuove elezioni.
Tra il 1999 e il 2000, tuttavia, le parti firmatarie dell’accordo di Lusaka non riuscirono ad attuare pienamente le previsioni contenute nel testo. Laurent Kabila continuò ad attirare su di sé pesanti critiche internazionali per aver frapposto ostacoli al pieno dispiegamento delle truppe ONU sul territorio, impedendo il proseguimento di un dialogo interno e operando nell’obiettivo di sopprimere l’attività politica nel Paese.
Governo di Joseph Kabila
Nel gennaio 2001 – in un clima che sembrava sempre più avverso al raggiungimento di un accordo con gli ex alleati, Uganda e Ruanda, ritenuti ormai aggressori da cacciare – il Presidente D. Kabila venne assassinato dalle sue stesse guardie del corpo.
Gli succedette il figlio Joseph Kabila, già capo delle forze armate del Paese, che era rimasto alla guida dell’esercito. Joseph Kabila pose fine a molte delle politiche negative attuate dal padre.
Nell’anno successivo (2002) la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite in RDC chiamata MONUSCO ( Mission de l’Organisation des Nations unies pour la stabilisation en République démocratique du Congo) divenne operativa su tutto il territorio nazionale e il dialogo interno poté proseguire.
Alla fine del 2002, le truppe di Angola, Namibia e Zimbabwe si erano ritirate dalla RDC.
Seguirono i negoziati di pace tra RDC e Ruanda che si tennero in Sud Africa e che culminarono nell’Accordo di Pretoria, nel luglio del 2002.
Ad ottobre del 2002, le truppe ruandesi si ritirarono ufficialmente dal territorio congolese.
Le truppe ugandesi lasciarono, infine, ufficialmente il territorio nel maggio del 2003.
Principali tappe dei negoziati di pace e transizione verso un Governo democratico
Ad ottobre del 2001, il dialogo interno iniziò ad Addis Abeba, sotto gli auspici di un mediatore, l’ex Presidente del Botswana, Ketumile Masire.
I negoziati iniziali ebbero scarsi risultati e così vennero aggiornati al 25 febbraio del 2002 in Sud Africa. Vi presero parte rappresentanti dell’ex governo, gruppi ribelli, movimenti di opposizione politica, esponenti della società civile e anche rappresentanti dei gruppi Mai-Mai (una milizia di difesa locale congolese).
Le trattative si conclusero senza risultati il 19 aprile del 2002, quando il Governo e il MLC negoziarono un accordo che venne sottoscritto dalla maggioranza dei delegati. Questo accordo parziale non venne mai applicato.
Le trattative ripresero nuovamente sfociando il 2 aprile del 2003 nella firma degli accordi di Sun City che, oltre alla stesura di una Costituzione transitoria, posero le basi per il processo di democratizzazione del Paese.
Il 30 giugno del 2003, J. Kabila emise un decreto con cui annunciò formalmente la formazione di un Governo di Transizione. Quattro vice-Presidenti (ciascuno rappresentativo di una specifica fazione, partito o regione) prestarono il loro giuramento il 17 luglio del 2003 e la maggior parte dei Ministri assunse formalmente le funzioni di governo nei giorni successivi.
Durante il periodo del Governo di transizione il Presidente Joseph Kabila realizzò progressi significativi nel processo di liberalizzazione della politica interna e nello sforzo di intraprendere la strada di riforme economiche in cooperazione con la Banca Mondiale e con il Fondo Monetario Internazionale. Tuttavia, gravi problemi legati al rispetto dei diritti umani rimasero irrisolti, soprattutto negli ambiti di competenza dei servizi di sicurezza statali e del sistema della giustizia.
A dicembre 2005, circa 2/3 dei cittadini congolesi aventi diritto al voto parteciparono al referendum che ha portato all’approvazione della nuova Costituzione.
La Costituzione entrò in vigore nel febbraio del 2006 e affidò al Presidente ampi poteri sia in campo legislativo ed esecutivo che militare.
Il 28 novembre 2011, si tennero le seconde elezioni multipartitiche da più di 45 anni.
Circa 19 milioni di persone parteciparono al voto per eleggere il Presidente e i rappresentanti dell’Assemblea Nazionale. L’affluenza alle urne fu di circa del 60%.
Molte difficoltà tecniche e logistiche, nonché numerosi incidenti, atti di violenza e intimidazioni si verificarono durante le procedure elettorali. Gli osservatori interni e internazionali dichiararono che tali problemi tecnici e logistici, insieme con una certa mancanza di trasparenza, provocarono gravi carenze nelle procedure elettorali.
Secondo la Commissione Nazionale Elettorale Indipendente (CENI) il Presidente uscente Joseph Kabila vinse con il 48,95% dei voti, rispetto al 32,33% dei consensi ricevuti dal suo principale antagonista Etienne Tshisekedi.
A febbraio 2012 la nuova Assemblea Nazionale si riunì per la prima volta e un nuovo Consiglio dei Ministri fu nominato ad aprile.
Joseph Kabila fu sostenuto dal Partito Popolare per la Ricostruzione e lo Sviluppo (People’s Party for Reconstruction and Development – PPRD).
La maggioranza parlamentare fu formata da una grande coalizione guidata dal PPRD e dai suoi partiti satelliti che supportano il Presidente Kabila.
I principali movimenti di opposizione furono l’Unione per il Progresso Sociale e la Democrazia (Democracy and Social Progress Union – UDPS), il cui leader fu Etienne Tshisekedi e il Movimento di Liberazione del Congo (The Congolese Liberation Movement – MLC), il cui leader Jean-Pierre Bemba fu messo sotto processo presso la Corte Penale Internazionale dell’Aja, dopo l’arresto del maggio 2008 da parte delle autorità belghe.
Le Assemblee Provinciali che sono state elette il 16 gennaio 2007, nominarono, a loro volta, i 108 membri del Senato.
Ulteriori elezioni provinciali, previste per marzo 2012, furono rinviate a causa di irregolarità.
Le elezioni locali furono programmate per la fine del 2012 e l’inizio del 2013.
A luglio del 2012 il “signore della guerra” Thomas Lubanga fu condannato dalla Corte Penale Internazionale a 14 anni di carcere per aver utilizzato bambini-soldato nelle milizie ribelli tra il 2002 e il 2003.
Ad ottobre del 2012 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite annunciò l’intenzione di imporre delle sanzioni contro i leader del movimento ribelle M23 e contro gli Stati che violarono l’embargo sulle armi vigente in RDC. Ci sono state, infatti, denunce circa la fornitura di armi al gruppo M23 da parte del Ruanda e dell’Uganda, anche se entrambi i paesi hanno negato questa accusa.
A novembre 2012 alcuni miliziani del gruppo M23 entrarono a Goma ritirandosi poco dopo in seguito alla promessa del governo di liberare alcuni membri del movimento.
Nel febbraio 2013 i rappresentanti di 11 nazioni africane firmarono un accordo in Etiopia impegnandosi a contribuire a porre fine al conflitto in RDC. I ribelli del movimento M23 dichiararono un “cessate il fuoco” in vista dell’apertura dei negoziati.
A marzo 2013 Il “signore della guerra” e fondatore del gruppo M23 Bosco Ntaganda si arrese ed fu stato trasferito all’Aja per affrontare il processo presso la Corte Penale Internazionale relativo alle accuse per crimini di guerra.
A luglio 2013 l’ONU inviò 3.000 uomini delle brigate di intervento per contrastare i ribelli nella parte orientale del Paese.
A dicembre 2013 il gruppo ribelle M23 firmò un accordo di pace con il Governo dopo la cattura, da parte dell’esercito, dell’ultima roccaforte dei ribelli presente ad est del Paese.
A marzo 2014 la Corte Penale Internazionale dichiarò il leader delle milizie dell’FRPI (Front for Patriotic Resistance of Ituri) Germain Katanga, colpevole di crimini di guerra per il massacro avvenuto nel 2003 dei civili di un villaggio della provincia di Ituri.
A maggio 2014, due soldati furono condannati per stupro durante il processo per 39 membri dell’esercito accusati di crimini di guerra commessi nella parte est del Paese.
A giugno 2014 le truppe ruandesi e congolesi combatterono ai confini tra i due Stati.
A maggio 2014 due soldati furono condannati per stupro nell’ambito del processo a 39 membri dell’esercito accusati di crimini di guerra nell’est del Paese. La RDG denuncia che nel mese di aprile quasi 60.000 dei suoi cittadini furono cacciati dal Congo Brazaville in quella che fu stata vista come un’operazione per espellere gli immigrati clandestini.
A gennaio 2015 dozzine di persone furono uccise nel corso delle proteste contro le modifiche alle proposte di legge elettorale, progettate secondo l’opposizione per consentire al presidente Kabila di rimanere al potere.
A maggio 2016 il governatore della regione di Katanga Moïse Katumbi dichiarò di volersi candidare alle elezioni presidenziale. In seguito, però lasciò il Paese per sottoporsi a delle cure mediche.
A novembre 2016 un accordo politico firmato tra la coalizione di governo del presidente Kabila e l’opposizione per ritardare le elezioni presidenziali fino al 2018 determinò le dimissioni del primo ministro Augustin Matata Ponyo e del suo gabinetto, si aprì così la strada alla possibilità di avere un nuovo governo che includa figure dell’opposizione.
Il 31 dicembre 2016, in seguito alla mediazione della Chiesa cattolica, i rappresentanti della coalizione di maggioranza, dell’opposizione e delle organizzazioni della società civile siglarono un nuovo accordo che, tra i vari impegni, stabiliva che il presidente Kabila non si sarebbe ricandidato per un terzo mandato e che le elezioni si sarebbero svolte entro la fine del 2017.
A giugno 2017 l’ONU riferì che in questi ultimi mesi furono uccise circa 2.000 persone per motivi etnici nella provincia di Kasai, dove sono state ritrovate numerose fosse comuni.
Ad agosto 2018 scoppiò, nel nordest del Paese, un’epidemia ebola. Si stima che fosse la seconda crisi di ebola più grave della storia. Sono stati registrati oltre 3.000 casi e 2.200 persone sono morte. A luglio 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità la dicharò un’emergenza globale, per il timore che potesse diffondersi nei paesi vicini, l’Uganda, il Ruanda e nel Sud Sudan senza legge.
A dicembre 2018 si svolsero le elezioni presidenziali che videro vincitore il candidato dell’opposizione Félix Tshisekedi, dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale. Furono in molti a denunciare brogli elettorali e poca trasparenza.
Il suo mandato formalmente iniziò il 25 gennaio 2019. Il 7 aprile nominò il suo alleato Vital Kamerhe Primo Ministro.
Il 13 marzo 2019 Tshisekedi firmò un decreto per la liberazione di 700 prigionieri, tra cui oppositori politici di Kabila.
Il 18 aprile 2019, l’ISIS rivendicò per la prima volta un attacco nella Repubblica Democratica del Congo, dopo che due soldati e un civile furono uccisi durante una sparatoria a Bovata, vicino alla città di Beni. L’area al momento fu colpita sia dalle milizie islamiche sia da una devastante epidemia di Ebola.
Il 19 settembre 2019, l’esercito della Repubblica Democratica del Congo uccise il comandante dei combattenti Hutu ruandesi, Sylvestre Mudacumura, accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale. Mudacumura era stato il leader delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) fin dalla loro fondazione, nel 2000. Le FDLR operarono ripetutamente violenti scontri con le forze governative della Repubblica Democratica del Congo e con i gruppi armati rivali, a tal punto che l’esercito del Ruanda fu più volte intervenuto nelle zone di confine e anche oltre le sue frontiere.
Tra settembre e ottobre 2019 nel Nord-Est della Repubblica Democratica del Congo vennero perpetrati una serie di attacchi contro civili, inclusi bambini. Secondo quanto riportò la missione delle Nazioni Unite operante nel Paese africano, MONUSCO, la zona fu interessata da una rinnovata ondata di violenza etnica che vede da una parte la comunità degli agricoltori e dall’altra quella dei pastori. Diversi abitanti deciseo di abbandonare le proprie case per sfuggire agli scontri e molti si rifugiarono nei campi profughi della provincia di Ituri. Gli aggressori attaccarono i villaggi e i centri per gli sfollati della regione, inclusa altresì una base temporanea della missione dell’ONU. Gli attacchi che si verificarono nella provincia di Ituri colpirono generalmente i pastori della comunità Hema, da lungo tempo in lotta contro gli agricoltori Lendu. I motivi della discordia furono principalmente la rivendicazione di diritti di proprietà nella regione, il controllo delle risorse naturali e la rappresentazione politica di tutte le comunità. Il conflitto aperto tra i due gruppi, protrattosi dal 1999 al 2007, provocò un numero di morti pari a circa 50.000 individui, aprendo uno dei capitoli più sanguinosi della guerra civile nella Repubblica Democratica del Congo.
L’11 novembre 2019, le forze di sicurezza della Repubblica Democratica del Congo eliminarono anche il nuovo leader dei ribelli Hutu, Musabimana Juvenal, e 4 delle sue guardie del corpo in un’operazione contro uno dei principali avamposti del gruppo nella provincia di Nord Kivu, nell’Est del Paese.
Il 20 novembre 2019, un gruppo di militanti islamisti uccise almeno 19 persone, rapito diversi civili e dato fuoco ad una chiesa cattolica in una regione orientale del Paese, al confine con l’Uganda. I perpetratori dell’attacco fecero parte di un gruppo islamista ugandese, le Forze Democratiche Alleate. Tale attentato giunse in risposta all’aumento delle campagne militari condotte dalle forze di sicurezza nazionali contro i ribelli dell’area. Infatti, l’esercito della Repubblica Democratica del Congo circa 3 settimane prima aveva cominciato un’offensiva proprio in quell’area. Da oltre due decenni, sono presenti al confine con l’Uganda, le Forze Democratiche Alleate, una delle numerose fazioni armate attive nell’est del Congo a partire dalla fine della guerra, protrattasi nel Paese dal 1998 al 2003. Molti degli attacchi realizzati da questo gruppo armato furono rivendicati dall’ISIS, ma i legami tra le formazioni terroristiche non furono ad oggi ancora chiari.
Il 10 gennaio 2020, l’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite pubblicò un rapporto nella quale dichiarò che i ripetuti omicidi, abusi e stupri e le violenze commesse da un gruppo armato nella Repubblica Democratica del Congo contro un’etnia rivale potrebbero equivalere a crimini contro l’umanità. Pertanto, gli attacchi sistematici e diffusi contro i pastori Hema ad opera degli agricoltori Lendu per i diritti di pascolo e la rappresentanza politica assunsero secondo il rapporto ONU tutte le caratteristiche dei crimini contro l’umanità.
Nel febbraio 2020 le Forze Democratiche Alleate, compirono una serie di attentati di matrice islamista nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo che portarono alla morte di almeno 62 civili nell’arco di una settimana. Gli attacchi colpirono almeno 10 villaggi e furono condotti generalmente con coltelli e armi da fuoco.
Il 4 maggio 2020, il gruppo armato attivo nel Nord-Est della Repubblica Democratica del Congo dichiarò che avrebbe deposto le armi dopo la morte del suo leader e l’arresto di altre figure di spicco. Il nuovo capo della Cooperativa per lo sviluppo del Congo (CODECO), Ngabu Ngawi Olivier, inviò le forze armate a emanare un cessate il fuoco per consentire l’avvio di colloqui con il governo. La Cooperativa per lo Sviluppo del Congo era un gruppo armato politico-religioso particolarmente attivo nelle regioni del Nord-Est, ricche di oro, ed era abituato a prendere di mira la comunità etnica degli Hema. La maggior parte dei membri di CODECO proveniva dall’etnia Lendu. Fondata nel 1978 come cooperativa agricola, l’organizzazione ha l’abitudine di distribuire pozioni mistiche ai suoi combattenti per incoraggiarli a compiere offensive armate. Secondo i dati riportati dall’UNICEF, solo nel periodo tra aprile e maggio circa 150 scuole e 22 centri sanitari sono stati distrutti da gruppi di ribelli islamisti CODECO.
L’instabilità del Paese e le continue violenze ai danni dei civili causarono nell’arco di vent’anni la fuga di oltre 7milioni di persone.
Il 22 giugno, vicino a Beni si verificò un attacco ad alcune forze di pace MONUSCO che provocò la morte di un militare indonesiano e il ferimento di un altro.
Il 30 giugno, il re del Belgio Filippo ha espresso il suo “più profondo rammarico” per le “ferite passate” inflitte ai congolesi durante 75 anni di dominio coloniale. Inoltre, è stata annunciata l’istituzione di una commissione parlamentare per esaminare il passato coloniale del Belgio.
Il 25 luglio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dicharò la fine dell’epidemia di Ebola, iniziata nella RDC nell’agosto 2018: le vittime accertate dell’epidemia furono più di 2.280.
Ad agosto, gli Stati Uniti ripresero la loro cooperazione militare con il Congo, sospesa nel 2018 poiché l’esercito del Congo è stato scoperto a sostenere gruppi armati noti per il reclutamento di bambini.
A dicembre il Consiglio di sicurezza dell’ONU adottò una risoluzione che estese il mandato di MONUSCO per un altro anno. Tuttavia, la missione iniziò a lavorare a un programma di transizione che ne assicuri l’uscita entro i prossimi anni.
Lo stato maggiore della Monusco dicharò in un comunicato di “comprendere la frustrazione e la collera” della popolazione che subisce massacri senza fine. Ma purtroppo il mandato dell’Onu fu limitato, e il governo congolese riconobbe di essere responsabile per la sicurezza.
La popolazione congolese pagò le conseguenze di decenni di regimi disastrosi, meccanismi regionali malsani e avidità dei signori della guerra, ma anche la colpa di una comunità internazionale che spese un miliardo di dollari l’anno per i caschi blu senza riuscire a fare la differenza.
Il male peggiore, però, è un altro, come sottolineò la conferenza dei vescovi cattolici chiedendo di “ripristinare l’autorità dello stato per salvare questa parte del paese dal caos”. È il nodo del problema, ancora lontano dall’essere sciolto.
Gli sviluppi recenti
Il 22 febbraio 2021 alle 10.15 circa locali un convoglio del World Food Pogramme è stato attaccato una quindicina di chilometri a nord di Goma, nell’est del Paese. Nell’attacco sono morti l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo. Altre persone della missione, a cui partecipava anche il rappresentante a Kinshasa dell’Unione europea, sono rimaste ferite.
La zona, al confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, è considerata estremamente pericolosa a causa della presenza di decine di gruppi armati. In particolare per la presenza delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), una milizia formatasi nel 2000 dalla fusione di vari gruppi di profughi hutu scappati dal Ruanda dopo il genocidio. Non si escludono però il coinvolgimento di altri gruppi come le Forze democratiche alleate (Adf), una milizia estremista islamica d’origine ugandese attiva dal 1996 che negli ultimi anni ha moltiplicato le violenze contro la popolazione civile e che preoccupa molti osservatori per i suoi possibili legami con organizzazioni come Al Qaeda o il gruppo Stato Islamico.
Il 22 maggio 2021 si è verificata l’eruzione del vulcano Nyiragongo: migliaia di persone sono fuggite in piena notte dalle loro case mentre la lava minacciava Goma bruciando i villaggi. Molti sono stati accolti da famiglie in città e nei dintorni, mentre a migliaia sono fuggiti oltre confine facendo ingresso in Ruanda.
Secondo le autorità, sarebbero almeno 32 le persone che hanno perso la vita in circostanze legate all’eruzione.
A luglio 2021 l’UNHCR ha lanciato un appello alla comunità internazionale per chiedere un immediato rafforzamento delle misure di protezione per i civili nella parte orientale del Paese, dove, una serie di attacchi di gruppi armati nella provincia di Nord Kivu, ha costretto alla fuga quasi 20.000 persone. Le azioni dei gruppi armati hanno continuato ad essere perpetrate ai danni dei civili, nonostante il 6 maggio 2021 il Presidente della RDC, Felix Tshisekedi, abbia dichiarato lo stato di emergenza nelle province di Nord Kivu, Sud Kivu e nella limitrofa provincia di Ituri.
Le province, ricche di minerali, erano oggetto di interesse di gruppi armati che li contrabbandavano, non di rado in collaborazione con ufficiali corrotti dell’esercito congolese. I minerali, principalmente oro, rame, diamanti e coltan, raggiungevano il Ruanda e qui venivano resi “legali” e rivenduti come se fossero prodotti del Ruanda, che in realtà non dispone di miniere sufficienti a giustificare i quantitativi di minerali che esporta. Il presidente Tshisekedi per far fronte a questa situazione ha firmato tre accordi di cooperazione con il presidente ruandese Paul Kagame.
Oltre 100.000 sono gli sfollati assistiti dall’UNHCR che hanno ottenuto alloggi d’emergenza nel 2020 – e altri 14.000 nel 2021 – ma si rilevano ancora esigenze pressanti, dal momento che le aggressioni condotte da gruppi armati nella provincia continuano a costringere le persone a fuggire. A donne e bambini che presentano serie vulnerabilità sono assicurati alloggi, beni di prima necessità e assistenza in denaro. Inoltre, la persistente instabilità del nordest del paese ha avuto importanti ripercussioni sulla condizione economica della popolazione civile. Si stima che da marzo 2022 circa 27 milioni di persone si trovano in uno stato di grave insicurezza alimentare.
Il 9 febbraio 2022, una svolta nella politica internazionale, dopo una lunga battaglia giuridica la Corte Internazionale di giustizia (CIG) ha fissato il costo delle riparazioni che l’Uganda deve alla Repubblica democratica del Congo a 325 milioni di dollari dopo gli anni di guerra dal 1998 al 2003 (Seconda guerra del Congo) che hanno visto l’Uganda invadere l’est della Repubblica democratica del Congo per unirsi alle forze contro Laurent-Désiré Kabila.
L’8 aprile 2022 la Repubblica democratica del Congo è entrata ufficialmente a far parte della Comunità economica dell’Africa Orientale (EaC). L’annessione del Congo, ricco di giacimenti minerari, a questo organismo (che riunisce Burundi, Kenya, Ruanda, Sud Sudan, Tanzania e Uganda, e che conta un prodotto interno lordo di circa 250 miliardi di dollari) ha significato l’apertura di nuovi corridoi commerciali sull’Oceano Indiano e sull’Oceano Atlantico. L’obiettivo del governo congolese era quello di ottenere benefici economici, migliori accordi commerciali nella regione e la libera circolazione delle persone all’interno della comunità.
Il 21 aprile 2022 i paesi della Comunità dell’Africa orientale (EAC), a cui il Congo ha aderito ad aprile, hanno concordato di istituire una forza regionale per combattere i gruppi armati nel Congo orientale.
A luglio 2022 come riportato dalla WHO, il Ministro della Salute della RDC ha dichairato la fine dell’epidemia in due delle zone in cui l’ebola si stava diffondendo maggiormente. La dichiarazione è avvenuta 42 giorni (corrispondenti al doppio del periodo di incubazione) dopo la morte dell’ultima persona affetta registrata.
Dei sei outbreaks dell’epidemia occorsi dal 2018, questo costituiva il terzo caso risolto ed esaurito attraverso le campagne vaccinali.
Il 6 luglio 2022, il Presidente congolese, quello ruandese e il loro omologo angolano si sono incontrati per cercare una soluzione. Kinshasa sostiene che i ribelli siano sostenuti dal Ruanda, ma Kigali nega. Il cessate-il-fuoco stabilito durante l’incontro non è stato attuato. Il conflitto ha provocato una nuova crisi umanitaria che ha ulteriormente esasperato la popolazione congolese. La grande ondata di violenza ha scosso tutta l’area, nonostante il Governo si fosse impegnato a riprendere il dialogo con i gruppi armati nel cosiddetto “processo di Nairobi” in cui rappresentanti governativi, insieme all’ambasciatore keniota a Kinshasa, sono stati inviati nelle due Province del Kivu per incontrare i delegati dei ribelli dell’M23 e degli altri movimenti armati attivi nel Paese. Ai colloqui non hanno però partecipato tutti i gruppi, M23 compreso, impedendo dunque di aprire un dialogo per affrontare la critica situazione in quest’area del Paese. Con il fallimento dei tentativi di colloquio con i vari gruppi armati, l’esecutivo congolese, ha dichiarato la mobilitazione totale su tutto il Paese, invitando i giovani a “combattere in difesa della propria terra”.
Il 29 novembre 2022 almeno 50 civili sono rimasti vittime dell’M23 a Kishishe, nel territorio di Rutshuru, a 70 km da Goma e a seguito di ciò la situazione è divenuta di gran lunga più complessa. Il governo di Kinshasa ha accusato ufficialmente il governo ruandese di supportare i ribelli dell’M23. Il Ruanda ha negato qualsiasi coinvolgimento in quello che ha definito “un conflitto interno al Congo” e, a sua volta, ha accusato Kinshasa di cooperare con le Forces démocratiques pour la libération du Rwanda (FDLR), un movimento ribelle ruandese attivo nella RDC. Tutto ciò ha riaperto una nuova frattura dei rapporti con il Paese confinante.
Situazione attuale
Il 18 novembre 2022 l’UNHCR ha denunciato che dal novembre 2021 al giugno 2022 l’esercito ruandese ha portato a termine interventi militari sia contro gruppi armati congolesi, che contro le postazioni delle forze armate regolari della Repubblica Democratica del Congo e ha fornito armi, munizioni, uniformi e truppe al gruppo armato dell’M23 in occasione di operazioni specifiche riguardanti zone strategiche della regione dal punto di vista della ricchezza del sottosuolo. Ciò ha fatto intendere che ci si trovasse dinanzi all’ennesimo conflitto eterodiretto per occupare un territorio ricchissimo di petrolio ed altre risorse minerarie, indispensabili per la produzione di computer e cellulari.
L’Onu ha inoltre denunciato alla comunità internazionale l’aumento degli attacchi contro i civili, compresi quelli residenti nei campi per profughi nell’Est del Paese. Da febbraio 2022 in poi, ci sono stati svariati attacchi contro i civili che hanno provocato più di 1000 morti fra le persone che risiedono nei campi. Dall’inizio del 2022 l’UNHCR ha registrato più di 50.000 violazioni dei diritti delle popolazioni civili, compresi i rifugiati e gli sfollati interni. Dal 20 ottobre 2022, i combattimenti nel Nord Kivu hanno costretto 188.000 persone alla fuga. Prima di questa massiccia mobilitazione si stimava che 5,6 milioni di congolesi fossero sfollati all’interno del Paese. A questi numeri bisogna aggiungere i 700.000 sfollati che si sono allontanati dal Paese a causa di fenomeni climatici estremi.
Tra il 21 e il 30 novembre 2022, secondo un’indagine condotta da Amnesty International, sono stati assassinati venti uomini e sessanta donne hanno subito violenza da parte del gruppo ribelle dell’M23 nella città di Kishishe, vicino Goma. Questi atti sono stati commessi per punire e i civili sospettati di essere sostenitori di gruppi armati rivali tra cui le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo ribelle ruandese che si è stabilito nella RDC orientale dopo il genocidio del 1994 in Ruanda. Le autorità congolesi hanno condannato duramente i crimini di Kishishe e hanno promesso giustizia. L’M23 ha esteso il suo controllo su un vasto territorio nella provincia del Nord-Kivu, che confina con Ruanda e Uganda, spingendo mezzo milione di persone a fuggire dalle proprie case.
Nel mese di gennaio 2023 i ribelli del gruppo armato M23, sostenuti dal Ruanda, hanno commesso uccisioni, stupri e altri crimini di guerra in tutto il territorio del Nord Kivu. Hanno attaccato con l’utilizzo di armi esplosive le aree popolate della provincia, uccidendo e ferendo decine di civili. La situazione umanitaria, già disastrosa, si è notevolmente aggravata. L’esercito ruandese ha continuato a dispiegare truppe nel Congo orientale come supporto all’M23, aiutandolo ad invadere i territori di Rutshuru e Masisi. La preoccupante situazione riguardante la sicurezza del territorio si è ulteriormente aggravata a causa della legge marziale, in vigore da due anni in tutta la regione, e dalla collaborazione tra le forze armate congolesi (Forces armées de la République démocratique du Congo, FARDC) e vari gruppi armati, per lo più lungo linee etniche. Le parti in conflitto hanno sempre fatto appello alla lealtà etnica, mettendo a rischio i civili nelle aree remote della provincia del Nord Kivu, vittime molto spesso di rappresaglie. Le ostilità che coinvolgono l’M23, l’esercito congolese e vari altri gruppi armati, hanno causato lo sfollamento di circa un milione di persone dal marzo 2022. Le nuove operazioni militari e gli abusi dell’M23, hanno alimentato l’odio etnico contro la comunità tutsi congolese, che molti abitanti del Nord Kivu considerano sostenitori dell’M23, poiché guidato in gran parte da tutsi.
Il 26 gennaio 2023 la milizia ribelle dell’M23 ha iniziato un nuovo attacco nella città di Kitshanga, dalla quale sono fuggite più di 400 persone. La città è ormai sotto il controllo della milizia che prosegue la sua avanzata verso la regione di Walikale, nella regione del Nord Kivu, particolarmente ricca di miniere di oro, stagno e cobalto. Questa avanzata ha provocato la ritirata dell’esercito congolese da Kitshanga. La nuova offensiva, che ha provocato la morte di 14 persone, è stata duramente condannata dalla missione di pace delle Nazioni unite (Monusco) presente nelle regioni orientali del Paese. In questo costante clima di tensione, la capitale Kinshasa accoglie la visita di Papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo con una folla di decine di migliaia di persone in festa. Il Pontefice ha incontrato, dopo una prima visita di cortesia con il presidente della Repubblica, Felix Tshisekedi Tshilombo al Palais de la Nation, la società civile e tutto il corpo diplomatico.
Il 6 aprile 2023 Medici Senza Frontiere ha denunciato il fatto che il conflitto armato tra l’M23 e le forze armate congolesi si sia avvicinato ad alcune zone densamente popolate. Centinaia di migliaia di civili sono scappati verso Goma che si ritrova a non avere più spazi e risorse sufficienti ad accogliere tutti. La città si trova sull’orlo di una catastrofe umanitaria. Il netto peggioramento delle condizioni di sicurezza ha reso complicata la possibilità di portare aiuti umanitari alle vittime del conflitto, le cui condizioni di vita si fanno sempre più precarie. A Goma erano presenti più di 300 mila sfollati. Le autorità hanno messo a disposizione vasti terreni dove le ONG hanno allestito dei campi per accogliere chi fugge. Accedere agli ospedali è diventato quasi impossibile poiché tutte le risorse disponibili vengono messe al servizio dei feriti di guerra.
Le forti piogge che tra aprile e maggio 2023 hanno causato inondazioni e smottamenti in tutto il territorio del Sud Kivu, hanno provocato la morte di 400 persone. Purtroppo il bilancio delle vittime è destinato a salire a causa dell’elevato numero dei dispersi. Molti villaggi sono stati sommersi, numerose case spazzate via e campi agricoli completamente devastati. Numerosi bambini hanno perso i genitori e necessitano di immediata protezione. Il dissesto del terreno ha causato una frana in una miniera di diamanti nella provincia di Kasai. Le scarse condizioni igienico-sanitarie creano un alto rischio di malattie infettive come il colera.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) ha affermato che nella prima metà del 2023, sono circa un milione i civili sono sfollati a causa degli attacchi da parte dei gruppi armati nella parte orientale della RDC. Nella regione dell’Ituri è avvenuto un attacco da parte del gruppo armato non statale CODECO che ha causato la morte di 46 persone, tra cui diversi bambini, e decine di feriti. Quest’ennesima ondata di violenza ha causato lo sfollamento di oltre 7.800 persone.
Il 19 giugno 2023 il capo della MONUSCO (la Missione di stabilizzazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo), Bintou Keita, dopo aver precedentemente espresso la volontà di ritirare entro il 2024 i caschi Blu presenti nel Paese dal 1999, ha dichiarato durante una conferenza stampa nella capitale della RDC, Kinshasa, che l’uscita della missione di pace avverrà solo dopo il “raggiungimento delle condizioni minime del piano di transizione”.
Le ostilità hanno provocato lo sfollamento di circa 183.000 persone nel solo Nord Kivu e flussi di profughi continuano ad affluire alla frontiera ugandese e tendopoli spontanee sono sorte nella città di Goma.
Il 22 Giugno 2023 l’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere ha lanciato l’allarme per un potenziale disastro sanitario dovuto alle epidemie di colera diffuse nei campi profughi a Goma, la capitale della provincia del Nord Kivu. Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sul Congo e dell’organizzazione Human Rights Watch, forniscono prove della presenza di truppe armate ruandesi che combattono a fianco dell’M23 all’interno dei confini del Paese, ciò aggrava la situazione già precaria nei campi. Il governo ruandese ha negato nuovamente ogni accusa. Secondo le Nazioni Unite, le rinnovate ostilità dell’M23, dell’esercito di Kinshasa e di vari altri gruppi armati hanno costretto più di 520.000 persone a fuggire dalle loro case.
Centinaia di civili a Kitchanga sono stati uccisi a causa della loro appartenenza all’etnia Tutsi, la stessa dell’M23, da parte degli abitanti di alcune comunità che tacciano tutti i cittadini Tutsi come sostenitori del gruppo armato. Decine di persone di etnia tutsi sono fuggite dalle loro case per paura di rappresaglie. Gli sforzi di mediazione guidati dall’Angola da parte dell’Unione africana tra i presidenti del Congo e del Ruanda hanno fatto pochi progressi.
Il 13 luglio 2023, un politico dell’opposizione, Chérubin Okende, è stato trovato morto a Kinshasa nella sua auto con ferite da arma da fuoco. Okende era il portavoce del partito di opposizione “Ensemble pour la République” (Insieme per la Repubblica). Hanno condannato l’omicidio politici, diplomatici stranieri, attivisti e cittadini. L’uccisione arriva in un momento di accresciuta tensione a causa dell’approssimarsi delle elezioni politiche.
Mercoledì 30 agosto 2023 a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, durante una manifestazione contro la MONUSCO, tacciata di inefficacia verso l’instabilità che attraversa la regione del nordest da 30 anni a causa della presenza dei gruppi armati, le forze armate congolesi hanno aperto il fuoco uccidendo 48 persone e ferendone altre 70. Il governo ha risposto a quest’eccidio arrestando il comandante del reggimento di stanza a Goma.
Il presidente uscente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi è risultato vincitore delle elezioni presidenziali che si sono svolte nel Paese il 20 e il 21 dicembre 2023. I tempi del voto erano stati prolungati a causa di una serie di ritardi nella consegna dei materiali elettorali in varie parti del Paese e per via di problemi tecnici con le macchine per il voto elettronico. Secondo la commissione elettorale Tshisekedi è riuscito dunque a ottenere un secondo mandato con il 73% dei voti. L’opposizione politica e gran parte della cittadinanza hanno chiesto di svolgere nuovamente le elezioni a causa dei problemi tecnici e logistici che sono avvenuti durante le votazioni, contestandone dunque la validità.
Da sabato 6 gennaio 2024 forti piogge torrenziali hanno causato inondazioni e frane in gran parte del territorio congolese determinando la morte di oltre 300 persone e la distruzione di 43mila abitazioni e 1.325 scuole. Nella località di Mbandaka il livello dell’acqua del fiume Congo ha raggiunto i 6 metri. Anche la capitale Kinshasa ha subìto gravi danni alla zona del porto fluviale che è stata completamente sommersa. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza per calamità. L’intensità delle precipitazioni negli anni aumenta sempre di più a causa del cambiamento climatico i cui effetti, uniti alla piaga della deforestazione della RDC, sono devastanti. A causa delle inondazioni le condizioni igieniche peggiorano sempre di più e si teme la diffusione di malattie infettive.
Mercoledì 21 febbraio 2024 il presidente della RDC Felix Tshisekedi, ha annunciato le dimissioni del Primo Ministro Jean-Michel Sama Lukonde e lo scioglimento del suo governo. Tshisekedi ha accettato le dimissioni ma ha chiesto di restare in carica per la gestione degli affari correnti, fino alla nomina di un nuovo governo. Il motivo che ha portato l’ex Primo Ministro alle dimissioni non sono state specificate.
Dal 28 febbraio 2024 su richiesta del governo congolese, ha iniziato il ritiro, previsto in tre fasi, dei 15mila soldati delle forze delle Nazioni Unite impegnate nel Paese con la missione MONUSCO, ritenuta inefficace nella gestione e la messa in sicurezza dei territori del nord-est del Paese, Sud Kivu, Nord Kivu e Ituri, afflitti da decenni di scontri tra gruppi armati. Come prima azione è stata consegnata alle autorità congolesi un’importante base operativa ONU posta nel Sud Kivu.
Dal mese di marzo 2024 si sono verificati incessanti combattimenti nel Nord Kivu che hanno portato la sofferenza della popolazione a livelli drammatici. Si sono intensificati gli scontri l’esercito congolese e il gruppo armato M23 nei pressi della città di Sake causando lo sfollamento di oltre 144.000 persone. Ampie aree civili sono state interessate da bombardamenti che hanno causato la morte di 20 persone e il ferimento di altre 60. I ribelli dell’M23 si sono scagliati contro i campi profughi di Zaina e Lushgala, vicino a Sake, costringendo le persone sfollate a fuggire nuovamente. Le strutture umanitarie presenti nel Nord Kivu hanno subìto nuove pressioni a causa della presenza di 2,5 milioni di sfollati interni nella provincia. Le ONG presenti sul territorio orientale, tra cui il Jesuit Refugee Service, hanno denunciato una crisi umanitaria senza precedenti. Nei campi profughi presenti in tutta la provincia e nei dintorni di Goma, sono venuti a mancare materiali di sopravvivenza tra cui cibo, acqua potabile, alloggi e assistenza sanitaria. I combattenti dell’M23 sono riusciti a raggiungere ed occupare numerosi quartieri nel sud della città di Sake, distante soltanto 20 chilometri da Goma, capoluogo della provincia orientale, ottenendo, così, il pieno controllo delle due strade principali che conducono alla capitale. Gran parte della provincia orientale si è ritrovata sotto il controllo dei ribelli che hanno continuato a conquistare porzioni sempre più ampie di territorio, estendendo il loro dominio su vasti appezzamenti di terreno ricchissimi di risorse minerarie come oro, rame, uranio, coltan, utilizzato per produzione di attrezzature elettroniche e cobalto, fondamentale per la produzione di tecnologie energetiche e aerospaziali. L’intensità degli ultimi attacchi hanno riacceso il timore di una possibile estensione del conflitto in tutto il Paese; tale scenario potrebbe portare ad una nuova destabilizzazione dell’intero continente africano. La situazione è divenuta di gran lunga più complessa quando il governo di Kinshasa (RDC) ha accusato il governo di Kigali (Ruanda) di supportare i ribelli dell’M23, accuse che sono state supportate da diversi rapporti ufficiali delle Nazioni Unite. Kigali ha negato qualsiasi coinvolgimento e, a sua volta, ha accusato Kinshasa di cooperare con le Forces Démocratiques pour la libération du Rwanda (FDLR), un movimento ribelle ruandese attivo nella Repubblica Democratica del Congo che si è stabilito nel Paese al seguito del genocidio in Ruanda nel 1994. L’M23, etnicamente dominato dai Tutsi, ha dichiarato di lottare per l’attuazione degli accordi politici con il governo di Kinshasa, che prevedono il ritorno sicuro dei rifugiati tutsi congolesi situati in Ruanda da oltre vent’anni. Questa crisi internazionale risulta per alcuni aspetti una delle conseguenze del genocidio dei tutsi in Ruanda. Nel 1994, infatti, gli hutu, accusati dei massacri, si erano rifugiati nella Repubblica Democratica del Congo. Deboli le speranze di superare questa crisi profonda. Forte il rischio per la Repubblica Democratica del Congo di cadere nel baratro di una catastrofe umanitaria.
Il 3 maggio 2024 il lancio di cinque missili sui campi di Lac Vert e Mugunga ha provocato la morte di 35 persone, tra cui donne e bambini. I vertici dell’esercito congolese (FARDC) hanno attribuito l’attacco ai miliziani filo-rwandesi dell’M23. Il Dipartimento di Stato Americano ha confermato che i missili provenivano da postazioni delle Forze di difesa rwandesi (RDF) e dell’M23.
L’8 maggio 2024 la RDC denuncia nuovamente il Rwanda di saccheggiare le risorse minerarie presenti nel territorio del nord-est del Paese e chiede un embargo sulle esportazioni di minerali ruandesi, accuse supportate e sostenute anche dalle Nazioni Unite. Il governo di Kinshasa ha esortato la comunità internazionale a intervenire nei confronti del Rwanda a causa del suo sostegno alle milizie armate dell’M23. Il governo di Kigali continua a negare ogni suo coinvolgimento nelle attività dell’M23, ma nonostante le varie dichiarazioni di estraneità ai fatti da parte del Rwanda, i dati elaborati dall’agenzia Ecofin hanno certificato che il Paese, nonostante sia sprovvisto di miniere di coltan, nel 2023 e nel 2024 sia risultato tra i maggiori esportatori al mondo di questo minerale, essenziale nell’industria elettronica.
Il 19 maggio 2024 a Kinshasa un gruppo di 50 uomini armati ha fatto irruzione nell’abitazione privata del vicepremier Vital Kamerhe e nella sede della presidenza. Le forze di sicurezza hanno subito fermato il gruppo armato uccidendo sei degli aggressori tra cui il capo, Christian Malanga, cittadino congolese rifugiato negli Stati Uniti, e arrestando il resto del gruppo. Ad alcuni analisti questo tentativo di golpe è apparso molto strano e ha sollevato numerosi dubbi sul fatto che gli aggressori non abbiano cercato di occupare infrastrutture nevralgiche o centri di potere.
Il 1 luglio 2024 la milizia M23 è entrata nella città di Kanyabayonga, nei pressi di Goma, capoluogo del Nord Kivu. Kanyabayonga è il passaggio più veloce per accedere alla parte settentrionale della provincia. Le forze armate congolesi si sono ritrovate senza munizioni né cibo, mentre l’M23 ha continuato la sua avanzata verso Butembo, il principale nodo commerciale della provincia del Nord Kivu.
Il 4 luglio 2024 il tribunale militare della RDC ha condannato a morte 25 soldati per diserzione, dopo che questi si erano rifiutati di combattere contro le milizie ribelli dell’M23.
Contesto socio-culturale
La Repubblica Democratica del Congo conta una popolazione di 111,859,928 abitanti. Comprende più di 200 gruppi etnici di cui il maggioritario è il gruppo Bantu.
Il popolo Bantu compone circa l’80% della popolazione e comprende, al suo interno, 4 principali etnie: i Luba (18%), i Mongo (17%), i Kongo (12%) e i Ruandesi Hutu e Tutsi (10%). Esistono anche altre etnie appartenenti al gruppo dei Bantu come i Lunda, i Tchokwé, i Tetela, i Bangala, gli Shi, i Nande, gli Hunde, i Nyanga, i Tembo et i Bembe.
Le etnie non-bantu, invece, si dividono in ulteriori 4 gruppi: i Sudanesi, i Nilotici, i Camitici e i Pigmei.
Le quattro tribù più numerose sono Mongo, Luba, Kongo (tutte Bantu) e Mangbetu-Azande (Camitici) e costituiscono circa il 45% della popolazione.
Il francese è la lingua ufficiale mentre il lingala è la lingua franca utilizzata nel commercio. Sono diffusi anche i dialetti kingwana (derivante dallo Swahili), kikongo, tshiluba.
Circa il 93% della popolazione è di religione cristiana, di cui il 30% di religione cattolica e il 26% di religione protestante. L’1,3% della popolazione è di fede islamica, il 2,8% appartiene alla Chiesa Kimbanguista, mentre il resto pratica culti animisti e forme di sincretismo religioso.
Ordinamento dello Stato
La Repubblica Democratica del Congo ha avuto diverse Costituzioni, emendamenti costituzionali e testi provvisori sin dalla sua indipendenza. L’attuale Costituzione è stata approvata, con l’84% dei voti, in un referendum tenutosi a dicembre 2005, ed è entrata in vigore a febbraio 2006, dopo il giuramento del Presidente Joseph Kabila.
La Costituzione prevede che il Presidente sia Capo di Stato e anche Capo delle Forze Armate. È eletto a suffragio universale diretto per un termine di 5 anni, rinnovabile per un ulteriore mandato.
Il potere legislativo è esercitato dal Parlamento che si compone di due Camere: l’Assemblea Nazionale (o Camera bassa) e il Senato (o Camera alta).
I 500 membri dell’Assemblea Nazionale sono eletti a suffragio universale diretto per un mandato di 5 anni (rinnovabile), mentre i 108 membri del Senato sono eletti indirettamente dalle Assemblee di ciascuna delle 26 Province dello Stato, per un termine di 5 anni (rinnovabile).
Il Parlamento non ha il potere di rovesciare il Governo mediante il voto di sfiducia.
La Costituzione del 2006 ha riformato anche il sistema giudiziario. L’art. 149 prevede che il potere giudiziario sia indipendente da quello legislativo ed esecutivo. Inoltre, al fine di migliorarne l’efficienza, la specializzazione e la rapidità, la Costituzione ha diviso il sistema giudiziario in tre giurisdizioni: quella ordinaria (competente in materia civile e penale), quella pubblica o amministrativa e quella costituzionale.
Le Corti di più alto grado sono: la Corte di Cassazione, nell’ambito della giurisdizione ordinaria; il Consiglio di Stato, nell’ambito del diritto pubblico e amministrativo e la Corte Costituzionale in materia costituzionale.
Alcune di queste Corti, come il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale, non sono state ancora istituite, ma le riforme in atto in ambito giudiziario hanno proprio lo scopo di adeguare il sistema esistente a quello previsto dalla Costituzione. Nonostante quest’ultima sottolinei la necessità che la magistratura sia indipendente da altri poteri e influenze, numerosi rapporti descrivono un quadro molto negativo del funzionamento del sistema giudiziario congolese. Uno dei principali problemi è la corruzione diffusa. I giudici non ricevono un compenso adeguato e per questo spesso sono soggetti ad influenze esterne e a coercizione. Il sistema giudiziario è finanziato con meno dell’1% del reddito nazionale e quindi risulta carente di personale oltre che limitatamente presente sul territorio, al di fuori di Kinshasa.
Diritti umani
La situazione dei diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo continua a peggiorare, in particolare nelle province orientali del Paese. Il presidente Félix Tshisekedi ha compiuto pochi progressi sulle riforme promesse per arginare i livelli di violenza, abusi, corruzione e impunità che stanno affliggendo il Paese da decenni. Non cessa la dura repressione nei confronti di giornalisti, attivisti, oppositori del governo e manifestanti pacifici.
Le libertà di espressione e di associazione hanno subìto un drastico rallentamento nelle due province orientali soggette alla legge marziale. Manifestazioni pacifiche sono state represse duramente con arresti arbitrari di attivisti, giornalisti e membri dell’opposizione politica.
Libertà d’associazione e d’assemblea
L’articolo 25 della Costituzione prevede la “libertà di riunione pacifica e non armata, nei limiti del rispetto della legge, dell’ordine pubblico e del buon costume”. Sebbene la libertà di associazione e di assemblea pacifica siano costituzionalmente garantite le autorità ne hanno, spesso, limitato l’esercizio.
L’articolo 26 della Costituzione prevede che “Qualsiasi manifestazione organizzata su strade pubbliche o all’aperto richiede che gli organizzatori informino l’autorità amministrativa competente”. Si tratta di una registrazione preventiva presso le autorità competenti le quali possono decidere di non concedere l’autorizzazione allo svolgimento della manifestazione programmata. In tal caso devono farlo per iscritto ed entro il termine di 5 giorni dalla notifica dell’evento. Le forze dell’ordine spesso hanno agito contro le proteste, i cortei e i raduni non autorizzati.
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un clima d’instabilità politica in relazione alla fine del mandato del presidente Kabila. Le forze di sicurezza hanno risposto alle manifestazioni facendo ricorso a un uso eccessivo della forza e violando i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. Il diritto alla libertà di riunione pacifica è stato violato, soprattutto in relazione alle proteste contro l’estensione del mandato del presidente Kabila.
In alcune occasioni, le autorità non hanno concesso l’autorizzazione a tenere manifestazioni, in particolare quelle organizzate dai partiti di opposizione e dai loro sostenitori della società civile. Durante le assemblee pubbliche si sono frequentemente verificati incidenti.
Le autorità hanno proclamato o confermato la messa al bando di qualsiasi protesta pubblica nella capitale Kinshasa, nelle città di Lubumbashi e Matadi e nelle province di Mai-Ndombe (ex provincia di Bandundu) e Tanganyika.
Nonostante le garanzie costituzionali, coloro che hanno cercato di esprimere le proprie opinioni o di esercitare le libertà fondamentali di assemblea e di associazione, sono spesso rimaste vittime di abusi da parte di agenti statali che hanno anche violato la loro incolumità fisica. Le forze di sicurezza hanno regolarmente interrotto proteste pacifiche facendo ricorso a un uso non necessario, eccessivo e talvolta letale della forza, non esitando a sparare gas lacrimogeni e proiettili veri. Nel 2021, 11 attivisti di un movimento giovanile sono stati giudicati colpevoli di reati per aver partecipato o organizzato proteste pacifiche. Inoltre, almeno un centinaio di altri attivisti sono stati arrestati prima, durante o dopo le proteste pacifiche.
Le autorità hanno inoltre vietato le riunioni private per discutere di tematiche ritenute politicamente delicate, comprese le elezioni. Le organizzazioni della società civile, così come i partiti politici d’opposizione, hanno avuto difficoltà nel prendere in affitto locali per le loro conferenze, riunioni o altri eventi.
Il mercoledì 30 agosto 2023 a Goma vi è stata una manifestazione contro il governo tramutatasi rapidamente in tragedia. Ben 43 manifestanti sono stati uccisi, 56 feriti e 222 persone sono state arrestate, inclusi i bambini. In realtà il numero delle vittime potrebbe essere molto più alto.
Libertà di espressione e di stampa
La legge tutela la libertà di espressione e di stampa. In particolare, l’articolo 23 della Costituzione garantisce a tutti “la libertà di esprimere le proprie opinioni e convinzioni, oralmente, per iscritto o attraverso l’uso di immagini, nei limiti del rispetto delle leggi, dell’ordine pubblico e del buon costume”.
L’articolo 24, inoltre, “garantisce a tutte le persone il diritto all’informazione: la libertà di stampa, di informazione e di diffusione via radio, televisione, carta stampata o mediante tutti gli altri mezzi di comunicazione, sono garantite nel limite del rispetto dell’ordine pubblico, del buon costume e dei diritti altrui. La legge stabilisce le modalità di esercizio di questi diritti”.
La Costituzione sottolinea, inoltre, che “i media audiovisivi o a mezzo stampa dello Stato rappresentano un servizio pubblico e l’accesso ad essi è garantito in modo equo a tutti i concorrenti politici e sociali. Alla legge è riservato il compito di garantire l’obiettività, l’imparzialità e il pluralismo di opinioni nel trattamento e nella diffusione dell’informazione”.
Anche se garantite formalmente dalla Costituzione, nella prassi, queste libertà hanno subito pesanti restrizioni, soprattutto nel periodo preelettorale.
In generale gli individui possono criticare privatamente il governo, i suoi funzionari e altri privati cittadini senza il timore di subire rappresaglie.
Tuttavia, c’è una limitazione dell’esercizio pubblico della critica. Il governo ha operato intimidazioni su giornalisti ed editori inducendo questi ultimi a praticare l’autocensura. Molti sono stati i giornalisti arbitrariamente arrestati.
Le critiche pubbliche rivolte al governo o inerenti temi quali la condotta dei funzionari, le decisioni sui conflitti in corso, la gestione delle risorse naturali, la diffusa corruzione etc. a volte hanno causato risposte molto dure soprattutto da parte dell’Agence Nationale de Renseignements (ANR), l’agenzia d’intelligence nazionale controllata dal Presidente.
Il Consiglio Superiore degli Audiovisivi e della Comunicazione (Conseil Superieur de l’Audiovisuel et de la Communication – CSAC) è l’autorità preposta a garantire la libertà e la protezione della stampa nonché l’equo accesso – per i partiti politici, le associazioni e i cittadini – a tutti i mezzi di comunicazione e di informazione.
Nella prassi, tuttavia, il CSAC non è stato in grado di monitorare adeguatamente la totalità dei giornali, delle televisioni e delle stazioni radio presenti nel Paese. Nondimeno, diversi rapporti hanno segnalato la chiusura, ad opera del Governo, di alcuni organi di stampa (spesso collegati alle forze di opposizione) durante il periodo elettorale, quando solo il CSAC avrebbe dovuto avere l’autorità di limitare le trasmissioni.
Infine, alcune critiche sono state sollevate in merito alla selezione operata dal Presidente sui membri del Consiglio: secondo l’organizzazione JED (Journalists in Danger) – un gruppo che opera a difesa dei diritti dei giornalisti e che ha sede a Kinshasa – sarebbero stati scelti individui non qualificati per riuscire ad influenzare l’azione del CSAC.
La RDC si trova al 123° posto su 180 paesi nell’indice della libertà di stampa mondiale 2024 di Reporters Sans Frontières. Secondo l’ONG sotto Joseph Kabila, la violenza contro i giornalisti si è diffusa nella totale impunità e gli istigatori dei dieci omicidi di giornalisti durante la sua presidenza non sono mai stati assicurati alla giustizia. La libertà di informazione è stata ridotta anche online da frequenti interruzioni di Internet o dal blocco dell’accesso ai social media, come è avvenuto durante le elezioni presidenziali del 2018.
Sebbene ci sia stato un leggero rallentamento con l’arrivo del nuovo presidente, Félix Tshisekedi nel gennaio 2019, le violazioni della libertà di stampa – inclusi arresti, attacchi, minacce, omicidi e il saccheggio o la chiusura di organi di informazione – continuano a verificarsi a un ritmo allarmante.
L’organizzazione partner di RSF nella RDC, Journaliste en danger, ha registrato 124 violazioni della libertà di stampa tra gennaio e ottobre 2022.
Diversi giornalisti sono stati arrestati in risposta alle denunce dei governatori provinciali, un corrispondente di RFI è stato citato in giudizio da un ex ministro e molti giornalisti sono stati aggrediti, minacciati o costretti a nascondersi dai gruppi armati nell’est del Paese. Non si hanno notizie anche di un giornalista, anche se un gruppo armato ha detto alla sua famiglia di averlo giustiziato tre giorni dopo averlo rapito. Diversi giornalisti con molti follower online sono stati vittime di campagne diffamatorie.
Sebbene la crisi del coronavirus abbia comportato alcune violazioni della libertà di stampa, sono state meno numerose di quelle verificatesi durante l’epidemia di Ebola nel 2019. Un direttore di una stazione radio è stato assassinato, mentre la comunità delle stazioni radio è stata minacciata per aver trasmesso messaggi di prevenzione dell’Ebola e quindi non hanno ricevuto alcun sostegno dalle autorità e dalle organizzazioni incaricate di combattere l’epidemia.
È improbabile che l’impegno del nuovo presidente di trasformare i media in “un vero quarto potere” possa essere realizzato in assenza di misure concrete. L’adozione di una nuova legislazione per sostituire la legge del 1996 che criminalizza i reati di stampa e la creazione di un meccanismo per proteggere e assicurare i giornalisti sarebbero i primi passi essenziali. Senza un’azione decisa, non ci può essere speranza di miglioramento dopo due decenni di continui abusi contro il personale dei media.
Nella parte orientale del Paese, da decenni colpita da conflitti armati, i gruppi ribelli ricorrono spesso a rapimenti per assicurarsi riscatti, nel tentativo di ottenere il potere nella regione.
Secondo LUCHA (Lotta per il cambiamento), un movimento di cittadini non violento e apartitico, i rapitori si sono spesso serviti di reti di telecomunicazione per intimidire le famiglie delle vittime, chiedere e ricevere riscatti attraverso servizi di pagamento digitale.
LUCHA ha avviato una campagna in tutto il paese per rivendicare i diritti digitali violati da queste aziende di telecomunicazione La richiesta è che questa aziende collaborino con i servizi di sicurezza, per localizzare i rapitori e identificare i loro collaboratori, ai fini di ridurre l’insicurezza , ha affermato la RFI.
Il 20 maggio 2024 durante una manifestazione pacifica contro l’alto costo della vita e l’elevato livello di insicurezza nella zona orientale del Paese, la polizia ha fatto ricorso a un uso eccessivo della forza per interrompere ogni attività da parte dei manifestanti. In particolare sono stati presi di mira artisti, giornalisti e membri dell’opposizione.
Continuano gli arresti arbitrari da parte delle forze governative: gli agenti della sicurezza hanno arrestato Junior Nkole, un comico satirico che aveva pubblicato un breve video comico, ritenuto offensivo dal presidente. La stessa sorte riguarda gli oppositori politici come Lens Omelonga, membro dell’opposizione arrestato per aver ritwittato un post che criticava la fondazione della first lady congolese. La repressione governativa si abbatte anche sui media appartenenti ai partiti di opposizione, molti giornalisti hanno subìto minacce e aggressioni fisiche mentre seguivano vari eventi politici. Il celebre giornalista Stanis Bujakera, reporter per l’agenzia di stampa internazionale Reuters, è stato arrestato con l’accusa di “diffusione di false informazioni”. Il suo arresto e la sua detenzione arbitrari hanno scatenato un’ondata di proteste internazionale.
Libertà di religione
La Costituzione e le altre leggi della nazione tutelano la libertà religiosa. In particolare, l’articolo 22 della Costituzione dispone che: “a tutte le persone è garantita la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tutti hanno il diritto di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni, individualmente o in gruppo, in pubblico e in privato, attraverso l’esercizio del culto, dell’insegnamento, delle pratiche, attraverso il compimento di riti o seguendo uno stile di vita religioso; nei limiti del rispetto delle leggi, dell’ordine pubblico, del buon costume e dei diritti altrui. La legge stabilisce le modalità di esercizio di queste libertà”.
Il Governo ha generalmente operato nel rispetto della libertà religiosa.
Un decreto ufficiale sulla Regolamentazione delle Associazioni Non Profit e di Utilità Pubblica disciplina la costituzione e il funzionamento delle istituzioni religiose. La legge garantisce al Governo il potere di riconoscere formalmente i gruppi religiosi o di sospendere tale riconoscimento, oltre che di decretarne lo scioglimento. Alle organizzazioni non profit, comprese quelle a carattere religioso, è richiesto di registrarsi presso le autorità competenti presentando copia del proprio statuto. Anche i gruppi religiosi stranieri devono ottenere l’approvazione del Presidente attraverso il Ministero della Giustizia. Le associazioni religiose ufficialmente riconosciute, inoltre, devono impegnarsi a mantenere il proprio status di “associazione senza scopo di lucro” e a rispettare l’ordine pubblico.
La legge permette l’istituzione di luoghi adibiti al culto e alla formazione del clero.
Anche se vige l’obbligo di registrazione, i gruppi non registrati hanno generalmente potuto operare senza grandi ostacoli.
Si sono verificati alcuni casi isolati di abusi sociali o di discriminazioni fondate sull’appartenenza religiosa, sul credo o sulla pratica del culto.
Infine, alcuni rapporti hanno evidenziato il verificarsi di casi di violenza nei confronti di persone accusate di stregoneria. Nel Paese è diffusa la credenza che esistano individui posseduti da demoni o in grado di operare incantesimi su altre persone. Le persecuzioni nei confronti di questi individui, compresi i bambini, sono molto comuni.
Pena di morte
Il 18 marzo 2024 il governo della RDC riabilita la pena di morte. Il ministero della Giustizia annuncia la revoca della moratoria sulla pena di morte, varata vent’anni prima. La pena capitale sarà riservata ai detenuti coinvolti in cospirazioni criminali, bande armate e insurrezioni e a tutti coloro accusati di tradimento e crimini di guerra. Anche le forze militari non sono esenti dalla pena di morte che riguarderà tutti coloro che disertano o si uniscono alle fila nemiche. La decisione di restaurare la pena capitale nasce dalla volontà da parte delle forze governative congolesi di frenare l’ondata di violenza causata dagli oltre 120 gruppi armati presenti nel Paese.
Soggetti vulnerabili
Donne
Nonostante l’esistenza di garanzie costituzionali, le donne subiscono discriminazioni in tutti gli aspetti della loro vita, specialmente nelle aree rurali. La violenza contro le donne e le bambine, compreso lo stupro e lo sfruttamento sessuale, si è diffusa in modo crescente dall’inizio del conflitto nel 1994.
Secondo il gruppo di coordinamento Unicef sulla violenza di genere che opera nel Nord Kivu, gli atti di violenza contro donne e ragazze sono aumentati del 37% durante i primi tre mesi del 2023 rispetto all’anno precedente in cui sono stati registrati più di 38 mila casi di violenza di genere nell’arco di 12 mesi.
Anche gli uomini sono spesso vittime di reati sessuali.
Lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono rimasti endemici e sono stati commessi sia dalle forze di sicurezza governative sia dai gruppi ribelli armati. Spesso la violenza sessuale è stata accompagnata da altre violazioni dei diritti umani, come saccheggi e torture.
Nonostante lo svolgimento di alcuni procedimenti penali, l’impunità risulta ancora diffusa e le vittime spesso vengono sottoposte a minacce e intimidazioni.
Le vittime di stupro non ricevono adeguato sostegno e assistenza e continuano a subire lo stigma della comunità. Le vittime di sesso maschile vengono, infine, particolarmente emarginate.
La situazione è peggiorata in particolar modo a partire dal marzo 2022, quando le violenze tra forze governative e gruppi armati non statali hanno spinto oltre due milioni di persone a fuggire dalle province del Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri. Sono state numerose le segnalazioni di stupro e sfruttamento sessuale contro donne in fuga e, secondo i dati dell’UNHCR del primo trimestre dell’anno, delle 10000 persone che hanno usufruito dei servizi offerti alle vittime di violenza di genere nel Nord Kivu, 66% sono casi di stupro.
Le violenze sono continuate anche nei campi per sfollati a Goma: Medici senza frontiere riporta infatti che dal 17 al 30 aprile hanno curato più di 670 vittime di violenza sessuale. Ogni giorno si presentano in media 48 nuove vittime, per la maggior parte donne, che raccontano di essere state assalite mentre andavano a raccogliere legna e a cercare cibo.
Bambini
Nonostante la legge proibisca ogni forma di abuso nei confronti dei bambini, questi continuano a verificarsi regolarmente. Altro importante problema che affligge il Congo e di cui non si parla molto è quello della stregoneria. Circa 40 mila bambini vivono nelle strade e di questi l’80% è stato cacciato dalla propria famiglia di appartenenza dopo essere stato accusato di stregoneria, nonostante la costituzione lo vieti. Si tratta di un fenomeno inquietante che ha registrato un vero e proprio boom negli ultimi anni accentuato anche dalla grave crisi economica e sociale del Paese. Queste superstizioni vengono cavalcate e alimentate dai pastori delle cosiddette “Chiese del risveglio” che facendo leva sulla disperazione e povertà della popolazione individuano nei bambini “la causa di ogni male” portando avanti un fiorente business degli esorcismi. Gli esorcismi sono rituali violenti che prevedono fustigazione, percosse, isolamento e “rituali magici”.
Nelle due province più colpite dal conflitto, il Nord Kivu e l’Ituri, l’istruzione di circa 750.000 bambini si è completamente interrotta. Circa 2.100 scuole sono state chiuse e costrette a interrompere le loro attività. La guerra ha provocato lo sfollamento di più di 240.000 bambini che vivono nei campi profughi vicino a Goma, dove la maggior parte di loro non può frequentare la scuola. Nelle aree interessate dal conflitto sono state distrutte o occupate dai gruppi armati 1.700 scuole e più di 300 sono utilizzate come rifugio da persone sfollate.
La grave crisi economica e sociale, secondo Amnesty International, sta causando anche un altro fenomeno, divenuto ormai sistematico, ossia quello dello sfruttamento del lavoro minorile. Gran parte dei minerali, infatti, viene lavorato dai bambini; sono più di 40.000 i minori destinati alla frantumazione e al lavaggio dei minerali con materiali tossici che causano loro gravi malattie, tra le più diffuse il tumore ai polmoni. I bambini vengono inoltre arruolati tra le fila dei numerosi gruppi armati che stringono diverse zone del Paese in una morsa di brutalità.
Bambini soldato
É diffuso il reclutamento e l’uso dei bambini-soldato nelle regioni del Nord e del Sud Kivu e nelle province orientali, da parte dei gruppi miliziani ribelli e delle Forze Armate della Repubblica Democratica Congo (FARDC – Armed Forces of the Democratic Republic of Congo).
Il Governo ha fatto alcuni progressi nello sforzo di ridurre l’uso dei bambini-soldato, ad esempio attraverso la conduzione di campagne di sensibilizzazione per il personale dell’esercito congolese e per i gruppi alleati, anche mediante il supporto fornito delle organizzazioni internazionali.
Inoltre, alcuni comandanti delle FARDC hanno cercato di rimuovere i bambini dall’esercito indirizzandoli verso le forze della MONUSCO (Missione ONU), dell’UNICEF o di altre organizzazioni umanitarie.
Tuttavia, l’integrazione degli ex gruppi rivoluzionari – compreso il CNDP (Congres National pour la Defense du Peuple, ex gruppo ribelle) – all’interno delle forze armate congolesi ha frapposto molti ostacoli al processo finalizzato a ridurre l’utilizzo dei bambini-soldato. Spesso, infatti, alcuni gruppi anche integrati all’interno delle FARDC, hanno agito separatamente non adeguandosi alle direttive indicate dalle FARDC, compreso, appunto, il divieto specifico di reclutare e utilizzare i bambini-soldato.
Nel 2006, le agenzie e gli uffici ONU presenti nel Paese, in collaborazione con il Ministero per gli Affari Esteri congolese, hanno creato (con risoluzione 1612/2005) una task force nazionale per affrontare il problema. La MONUSCO e l’UNICEF sono copresidenti in seno alla task force.
Essa ha il compito di proseguire il programma di sensibilizzazione e di incoraggiare il Governo nell’impegno volto a risolvere la questione. Si chiede al Governo di ideare un piano di azione per porre fine ai reclutamenti dei bambini nelle FARDC. Il Ministero della Giustizia e dei Diritti Umani e il Ministero della Difesa hanno creato, inoltre, un Comitato congiunto per lavorare alla stesura del piano d’azione. Tuttavia, sebbene le FARDC abbiano formalmente interrotto l’arruolamento di minori nel 2004, da allora non è stato adottato nessun piano d’azione, come era stato richiesto dalle risoluzioni ONU (1539/2004 e 1612/2005).
Un rapporto pubblicato dall’Unicef nel 2018 riferisce che i bambini rappresentano il 60% dei membri dei gruppi armati.
Secondo un rapporto dell’Unicef del 8 settembre 2023, più di 2,8 milioni di bambini stanno subendo le conseguenze della crisi nell’est del paese. I bambini vengono rapiti e reclutati, quindi costretti a combattere oppure subiscono violenze sessuali e vengono uccisi.
Centinaia di minori vengono reclutati ogni anno nelle file dei vari gruppi armati, tra cui l’Frpi, i mai-mai Nyatura, le forze congiunte delle Fdlr e la loro ala armata ufficiale Foca (Forces Combattantes Abacunguzi) e l’Unione patriottica per la difesa degli innocenti (Union des patriotes pour ladefense des innocents – Updi). Hanno continuato a essere impiegati come combattenti, ma anche come cuochi, addetti alle pulizie, alla riscossione di tributi e al trasporto di materiale.
LGBTQIA+
L’organizzazione ILGA (The International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) riferisce che la Repubblica Democratica del Congo rientra tra le nazioni africane dove non esistono leggi specifiche che vietano l’omosessualità o gli atti omosessuali.
Tuttavia, alcuni rapporti sottolineano che gli individui che manifestano in pubblico la loro omosessualità possono essere perseguiti ai sensi delle disposizioni sulla pubblica decenza contenute nel Codice Penale e delle leggi sulla violenza sessuale.
L’omosessualità rimane, infine, un forte tabù sociale. Frequenti gli episodi in cui le persone transgender sono state torturate dalla polizia, dai militari e dai servizi di intelligence, ai fini di estorcere loro denaro o discriminati in televisione o sui network radiofonici e sugli organi di stampa congolesi.
A luglio 2021 sei attivisti LGBTQ+ sono stati picchiati, minacciati di linciaggio e cacciati dalla città di Kamituga, nel confine orientale della regione. In reazione all’accaduto la Rainbow Sanraise Mapambazuko (RSM), un’organizzazione LGBTQ+ locale ha denunciato queste persecuzioni contro i suoi membri e chiede il trasferimento a Bukavu per garantire la sicurezza personale di ognuno.
Il 19 giugno 2023 l’Autorità Radiotelevisiva congolese ha emesso un comunicato invitando i vari media a non promuovere l’agenda LGBT. I giornalisti che, nonostante il comunicato, promuovono ancora con i loro articoli questo argomento tabù vengono minacciati e accusati di non rispettare i valori del Congo e di venire pagati dalla comunità LGBTQIA +. I giornalisti si difendono sostenendo che nel Congo non vi siano effettivamente leggi che vietino l’omosessualità e che le varie persecuzioni e atrocità debbano essere denunciate.
Rifugiati e Sfollati interni
Nonostante la Repubblica Democratica del Congo sia un Paese dove è in atto un conflitto (e sia anche carente nelle infrastrutture) è diventato un luogo di accoglienza per profughi provenienti dal Burundi, dal Rwanda e dalla Repubblica Centrafricana. La guerra, le violenze e le violazioni dei diritti hanno costretto alla fuga più di 7 milione di persone.
Secondo le ultime stime dell’UNHCR, i rifugiati congolesi sono 978.209 e i richiedenti asilo 149.805 (dati aggiornati a luglio 2024), con più di 7 milioni di sfollati interni (IDP) (dati aggiornati a luglio 2024), cui spesso è impossibile garantire assistenza a causa delle difficoltà di accesso per gli operatori umanitari.
Attualmente l’Uganda accoglie la maggior parte dei rifugiati congolesi, oltre 502,249 persone. Altri si trovano in Tanzania (88.160), Burundi (84,384) e Rwanda (66.761).
La regione dei Grandi Laghi fa da teatro a una delle più gravi e complesse crisi migratorie in Africa subsahariana. La Repubblica Democratica del Congo (RDC), in particolare, costituisce il centro nevralgico dei flussi di mobilità che transitano nella zona, definendo un caso paradigmatico nell’analisi delle migrazioni intra-africane.
Tra i più popolosi Stati del continente la RDC è attraversata da profonde linee di frattura sociali: conflitti comunitari, violenze politiche, emergenze sanitarie contribuiscono a definire una situazione di instabilità strutturale. Le migrazioni forzate di rifugiati e richiedenti asilo si associano, peraltro, a movimenti transfrontalieri di natura diversa – basti pensare ai legami familiari e alle profonde relazioni commerciali, formali e informali, sviluppate tra le due sponde del fiume Congo, che divide la capitale Kinshasa e la vicina Brazzaville, in un sistema regionale definito da forti interconnessioni tra le diverse aree del Paese e gli Stati confinanti.
Nel 2023 sono stati registrati oltre 100 gruppi armati attivi nelle province orientali di Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu e Tanganica. Molti dei comandanti di questi gruppi sono implicati in crimini di guerra come massacri, violenza sessuale, reclutamento di bambini e saccheggi. Nel Nord Kivu, il gruppo armato M23 ha commesso innumerevoli omicidi, stupri e altri crimini di guerra nelle zone poste sotto il suo controllo. Le truppe della forza della Comunità dell’Africa orientale non sono intervenute per fermare questi atti di violenza. Secondo i dati del Kivu Security Tracker, che documenta la violenza nel nord-est del Paese, oltre 1.200 civili sono stati uccisi nella provincia di Ituri tra gennaio e ottobre 2023. I miliziani dell’M23 continuano senza sosta a prendere di mira e attaccare i campi profughi adibiti per gli sfollati interni che sono presenti nella zona orientale della RDC, uccidendo decine di civili, tra cui donne e bambini. Il capo della milizia armata, Guidon Shimiray Mwissa, è ricercato dalle autorità congolesi per gravi crimini, tra cui il reclutamento di minori e lo stupro, ma nonostante questo è rimasto attivo nella zona del Nord Kivu.
A fine 2023 sale a 7 milioni il numero di sfollati interni nella RDC, 1 abitante su 13. Secondo l’OIM è il più alto numero di sfollati mai registrato: la maggior parte delle persone sfollate, 6,9 milioni, si trova nelle province orientali di Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri; solo nel Nord Kivu sono presenti oltre 2,3 milioni di persone. Da decenni queste aree del Paese sono afflitte dai violenti scontri che si consumano tra le numerose milizie armate presenti sul territorio che negli anni hanno creato un elevato livello di insicurezza, divenuta ormai endemica.
Riepilogo fonti
- AMNESTY INTERNATIONAL, DR Congo: Rwandan-backed M23 rebels perpetrating summary killings and rapes.https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/02/dr-congo-rwandan-backed-m23-rebels-perpetrating-summary-killings-and-rapes/
- AMNESTY INTERNATIONAL, Entro il 2025 niente più bambini nelle miniere della Repubblica Democratica del Congo. https://www.amnesty.it/entro-2025-niente-piu-bambini-nelle-miniere-della-repubblica-democratica-del-congo/
- AMNESTY INTERNATIONAL, Rapporto Annuale 2021-2022 Repubblica Democratica del Congo, https://www.amnesty.org/en/location/africa/east-africa-the-horn-and-great-lakes/democratic-republic-of-the-congo/report-democratic-republic-of-the-congo/
- AMNESTY INTERNATIONAL, Rapporto Annuale 2021-2022, Panoramica Regionale sull’Africa Subsahariana, https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2021-2022/africa-subsahariana/
- ATLANTE GUERRE, La Repubblica Democratica del Congo. https://www.atlanteguerre.it/conflict/repubblica-democratica-del-congo/
- AVVENIRE, Crimini di guerra, la Corte penale indaga sul Congo. https://www.avvenire.it/mondo/pagine/congocpi
- AVVENIRE, In Congo le inondazioni provocano oltre 400 vittime, spazzati via interi villaggi.https://www.avvenire.it/mondo/pagine/congo-rdc-vittime-inondazioni
- AVVENIRE, La ricchezza mineraria del Congo è diventata la sua maledizione. https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-ricchezza-mineraria-del-congo-diventata-la-sua-maledizione
- BBC NEWS, Country profile – Democratic Republic of Congo.http://www.bbc.com/news/world-africa-13286306
- CIA, The World Factbook – Congo (Democratic Republic of the Congo).https://www.cia.gov/the-world-factbook/countries/congo-democratic-republic-of-the/#geography
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- CIA, The World Factbook –Italia. https://www.cia.gov/the-world-factbook/countries/italy/#introduction
- CIVILTÀ CATTOLICA, Crisi della Repubblica Democratica del Congo di Camille Mukoso.https://www.laciviltacattolica.it/articolo/crisi-della-repubblica-democratica-del-congo/?utm_source=Newsletter+%22La+Civilt%C3%A0+Cattolica%22&utm_campaign=8b1e1c6df4-1850_CAMPAIGN_12_2021&utm_medium=email&utm_term=0_9d2f468610-8b1e1c6df4-225862809&ct=t(1850_CAMPAIGN_12_2021)&mc_cid=8b1e1c6df4&mc_eid=809efdbf00#_ftnref10
- Constitution de la République Démocratique du Congo. http://www.refworld.org/docid/46caa1292.html
- Digital, S. (2023, May 19). Congo e violenze sessuali: 48 casi al giorno | MSF Italia. Medici Senza Frontiere Italia. https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/congo-allarme-violenza-sessuale-48-casi-giorno/
- EQUALDEX, LGBT Rights in Democratic Republic of the Congo, https://www.equaldex.com/region/democratic-republic-of-the-congo
- ERASING 76 CRIMES, Government’s censors in DR Congo demand news outlets stop reporting on LGBT issues. https://76crimes.com/2023/07/03/government-censors-in-dr-congo-demand-news-outlets-stop-reporting-on-lgbt-issues/
- EURONEWS, La Repubblica Democratica del Congo punta ad attirare nuovi investitori.https://it.euronews.com/next/2023/07/06/la-repubblica-democratica-del-congo-punta-ad-attirare-nuovi-investitori
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- LA REPUBBLICA, Repubblica Democratica del Congo, la crisi nel Nord Kivu diventa sempre più grave: a Goma ormai si contano 300 mila sfollati. https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2023/03/15/news/repubblica_democratica_del_congo_la_crisi_nel_nord_kivu_diventa_sempre_piu_grave_a_goma_ormai_si_contano_300_mila_sfollati-392187299/
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- LA REPUBBLICA, Repubblica Democratica del Congo, le alluvioni hanno provocato centinaia di morti e migliaia di sfollati nella regione del Kivu meridionale.https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2023/05/09/news/congo_alluvioni_in_rdc_centinaia_di_morti_e_sfollati_in_sud_kivu_case_e_campi_coltivati_distrutti_msf_feriti_evacuati_i-399400009/
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- LA REPUBBLICA, Repubblica Democratica del Congo: aumenta il livello di violenza contro i bambini e le aggressioni sessuali contro donne e ragazze. https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2023/05/19/news/repubblica_democratica_del_congo_aumenta_il_livello_di_violenza_contro_i_bambini_e_le_aggressioni_sessuali_contro_donne_e_r-400865855/
- LA REPUBBLICA, Repubblica Democratica del Congo: i crimini di guerra dei ribelli M23, sostenuti dal governo del Ruanda, tra esecuzioni sommarie e stupri. https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2023/02/25/news/repubblica_democratica_del_congo_i_crimini_di_guerra_dei_ribelli_m23_sostenuti_dal_governo_del_ruanda_tra_esecuzioni_somm-389533166/
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- LA REPUBBLICA, Repubblica Democratica del Congo: i rimpatri forzati dei richiedenti asilo nell’Est del Paese che non trova pace. https://www.repubblica.it/solidarieta/profughi/2022/11/20/news/repubblica_democratica_del_congo_i_rimpatri_forzati_dei_richiedenti_asilo_nellest_del_paese-375336627/
- AVVENIRE, Luciano Bertozzi – La giornata Onu. Un esercito di bambini continua a combattere nel mondo –. https://www.avvenire.it/mondo/pagine/giornata-mondiale-bambini-soldato;
- MSF, Catastrofe umanitaria nel Nord Kivu, necessaria una risposta urgente.. https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/rdc-catastrofe-umanitaria-necessaria-risposta-urgente/
- MSF, Goma, Congo: rispondere subito alla crisi umanitaria.https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/congo-nord-kivu-crisi-umanitaria/
- NIGRIZIA, Danni di guerra: l’Uganda deve versare alla Rd Congo 325 milioni di dollari.https://www.nigrizia.it/notizia/danni-di-guerra-luganda-deve-versare-alla-rd-congo-325-milioni-di-dollari
- NIGRIZIA, La Rd Congo entra nella Comunità economica dell’Africa orientale.https://www.nigrizia.it/notizia/rd-congo-comunita-economica-africa-orientale
- NIGRIZIA, Rd Congo, relazioni pericolose.https://www.nigrizia.it/notizia/rd-congo-relazioni-pericolose
- NIGRIZIA, Rd Congo: l’insicurezza alimentare minaccia 27 milioni di persone. https://www.nigrizia.it/notizia/rd-congo-insicurezza-alimentare-minaccia-27-milioni-persone
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- REPUBBLICA, Repubblica Democratica del Congo, nella regione orientale gruppi armati attaccano e costringono alla fuga 20.000 civili.https://www.repubblica.it/solidarieta/profughi/2021/07/16/news/repubblica_democratica_del_congo_nella_regione_orientale_gruppi_armati_attaccano_e_costringono_alla_fuga_20_000_civili-310579998/
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