Simbolismo dell’alfabeto ebraico

L’alfabeto ebraico è composto da ventidue lettere; ventidue è la circonferenza, approssimata per leggero difetto, di un cerchio il cui diametro è sette, uno dei numeri-chiave della creazione. Esse sono tutte consonanti, accanto alle quali vi sono nove vocali, rappresentate da punti, che di solito non figurano nel testo scritto. La tradizione ebraica afferma che le ventidue lettere non sono segni arbitrari, scelti allo scopo di rappresentare oggetti e concetti, ma segni antecedenti alla stessa creazione del mondo.

Alfabeto ebraico
Ogni lettera è uno strumento attraverso il quale un intero settore della creazione fu formato: tramite opportune combinazioni di lettere il Creatore emanò, creò, formò ogni cosa che esiste nei mondi spirituali e materiali.
 

Lo studio delle ventidue lettere occupa un vasto settore nella Cabala. Ogni lettera possiede una forma (la sua figura visibile, e le associazioni che ne derivano); un nome (ad esempio, Beit significa ‘casa’) e un valore numerico (dall’uno al quattrocento). Ognuno di questi tre elementi può venir studiato su piani diversi dato che le lettere si estendono dal livello Divino a quello materiale.

Numerosi artisti di religione ebraica si ispirano all’alfabeto per le loro creazioni. Forme, colori, numeri e lettere ebraiche; un vero e proprio viaggio nella comunicazione simbolica.

Infatti, secondo un antico Midrash, il Signore creò prima l’alfabeto ebraico e poi, con esso, creò il cielo e la terra. La Torah stessa sarebbe un Ot, un segnale. E sarebbe composta di un codice di Otiyot, lettere. Queste lettere, così dense di significati, così eleganti ed essenziali, cariche di storia millenaria, diventano, agli occhi di un popolo a cui è vietata la raffigurazione, icone stesse dell’identità ebraica, testimoni grafici della storia del popolo e della storia dell’individuo.

Bosco di mimosa – Tobia Ravà

Un artista contemporaneo che nelle sue opere combina numeri e lettere dell’alfabeto ebraico è il veneziano Tobia Ravà: nel 2010 un suo lavoro è stato donato al Papa Benedetto XVI dal Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma.

La calligrafia islamica

Intorno al VII secolo d.c., durante la dinastia degli Omayyadi, iniziò il processo storico che determinò lo sviluppo dell’arte calligrafica sulla base dei principi dell’islam. L’abbandono del nomadismo e la necessità di consegnare il Corano per iscritto ai nuovi fedeli e ai posteri, portò al perfezionamento della grafia araba.

La perfezione formale è molto importante per la fede islamica in quanto nel nel Corano viene più volte ripetuto che “Dio ama la bellezza”. Da qui l’impegno a rendere bella anche la scrittura affinché sia degna di trasmettere la rivelazione e diventi il mezzo che “seducendo occhi, mente e anima” avvicina il lettore al divino. La calligrafia richiede quindi a chi la esegue di comporre sotto ispirazione divina, con lo scopo di comunicare la parola di Allah.

Inoltre nell’Islam (più o meno rigidamente a seconda delle varie scuole di pensiero) è proibita ogni raffigurazione del divino e dei profeti, e, in alcune interpretazioni, di ogni immagine figurativa.

Dio non si può conoscere e quindi rappresentare, ma si può scrivere il suo nome e diffonderne la conoscenza attraverso la scrittura, un’opera che deve mantenere proporzioni, simmetria, forma geometrica e armonia. Questo divieto aveva lo scopo di impedire la diffusione di forme di idolatria per cui la calligrafia è diventata, insieme alla recitazione del Corano, l’arte coranica per eccellenza. L’artista islamico, così come nell’arte medievale occidentale, non firmava le opere che produceva, ma restava anonimo; era il prodotto del suo lavoro che importava, non la sua persona.

L’alfabeto arabo è composto da 28 consonanti, tre vocali lunghe, indicate con segni “diacritici” (punti). Come le altre lingue semitiche l’arabo si scrive da destra a sinistra. Le parole in corsivo non si spezzano; per completare con armonia la riga si allungano i segni. Il punto, una volta definito, viene usato come unità di misura per determinare la proporzione fra altezza e larghezza di ogni singola lettera.

L’insieme degli stili calligrafici si può dividere generalmente in due gruppi: le scritture di carattere solenne riservate ai testi sacri e quelle corsive utilizzate per uso corrente. Le prime sono più spigolose, lineari e allungate, mentre le seconde hanno caratteri maggiormente arrotondati.

Lo stile calligrafico di lingua araba più antico che raggiunse una certa diffusione intorno al IX secolo è il cufico (dalla città di Kufa in Iraq).

Esempio di cufico

Fu lo stile di scrittura maggiormente usato nei primi secoli di diffusione del Corano. Ha caratteri minimali e geometrici, più adatti a essere iscritti sulla pietra nelle decorazioni delle moschee. Si possono distinguere prevalentemente due varianti: il cufico quadrato, con angoli verticali e orizzontali più spigolosi, e il cufico fiorito che presenta lettere con un finale arrotondato e curato.

La scrittura corsiva naskh era la grafia inizialmente usata per la corrispondenza ordinaria poi, rivista e abbellita, divenne abbastanza elegante per essere usata anche per la scrittura coranica. Il thulth è invece quella scrittura statica e monumentale che dal XIII secolo sostituì il cufico. La troviamo generalmente all’inizio dei vari capitoli. Thult vuol dire “un terzo”, infatti le lettere sono alte un terzo di quelle a struttura verticale.

Nel XV secolo nasce il diwani, un corsivo decorativo caratterizzato dalla complessità delle linee all’interno delle lettere che donano donano al testo scritto un aspetto complessivo di forma geometrica.

Lo strumento tradizionale del calligrafo è il qalam, una penna di canna secca. L’inchiostro può essere di vari colori e presenta grandi variazioni di intensità, a seconda della dinamicità che si vuole dare alle singole parti. Nel tempo vennero utilizzati diversi supporti: dal papiro e la pergamena fino alle diverse tipologie di carta in uso oggi.

Intorno al X secolo in Persia nacque l’uso di riportare iscrizioni anche sui tessuti di seta decorati.

Un’evoluzione particolare della calligrafia è costituita dai calligrammi che conferiscono un aspetto naturalistico all’insieme calligrafico. Attraverso la combinazione e l’intreccio delle parole, l’artista realizza forme antropomorfe e zoomorfe.

Esempio di Basmala in stile tughra

La formula più comunemente usata per queste composizioni calligrafiche è la cosiddetta Basmala, con cui iniziano quasi tutte le sure coraniche (Bismillah ar – Rahman ar – Rahim – Nel nome di Dio Misericordioso, Misericorde). Un elegante virtuosismo calligrafico è la tughra, ovvero il sigillo dei sultani ottomani apposta nei documenti ufficiali. Famosa è la tughra di Solimano il Magnifico.

I calligrammi infatti, maggiormente legati alla mistica islamica, furono molto popolari in Turchia, Persia (attuale Iran) e India a partire dal XVII secolo. La calligrafia araba, persiana e turco-ottomana si collega a quello stile definito arabesco, composto da elementi calligrafici e motivi geometrici, che troviamo sulle pareti interne ed esterne a decorazione delle moschee.

Alcuni dipinti occidentali contengono negli strati sottostanti delle scritte in arabo, in quanto spesso le tele venivano riutilizzate nei secoli. Un caso particolare è quello della Madonna della Trinità di San Giovenale, del 1422, in cui Masaccio inserì (nell’aureola di Maria) una parte della shahada, ovvero la testimonianza di fede islamica. La frase è scritta alla rovescia, per cui è difficile stabilire se il pittore lo abbia fatto intenzionalmente o in maniera casuale per il tocco esotico delle lettere iscritte.

Nell’islam mistico, in particolare nel Sufismo, si pone altresì attenzione al carattere misterico dei numeri e delle lettere dell’alfabeto, che rappresenterebbero l’armonia e la perfezione del creato. Nel mondo fisico il numero è uno strumento di misurazione e analisi e supporta discipline quali la musica, l’aritmetica, l’astronomia; sul piano metafisico, invece, esso sollecita l’espansione della conoscenza interiore dell’uomo e rappresenta lo strumento che permette di percepire l’Unità del Tutto.

La disciplina esoterica delle lettere prende il nome di simiya, parola che deriva dal greco semeion – segno. È una scienza secondo la quale le lettere sarebbero la diretta emanazione del divino sulle forme del Creato, che spinge l’uomo a ricercare la pace della psiche e dunque la piena ricongiunzione con la dimensione spirituale.


 

Calligrafi contemporanei

Shamira Minozziè un’artista veneziana ispirata dalla calligrafia islamica e ideatrice di innovative composizioni calligrafiche.

Amjed Rifaieè un calligrafo iracheno che dopo aver lasciato l’Iraq e aver raggiunto Roma per ragioni di salute fa conoscere la sua cultura d’origine attraverso l’arte della calligrafia.


Foto in anteprima: Amjed Rifaie (concessa gratuitamente al Centro Astalli)