Sarajevo, capitale della Bosnia ed Erzegovina, è la città delle quattro religioni, dove Oriente e Occidente si incontrano.

Qui sono presenti 6 moschee, 5 chiese cristiane, 2 Sinagoghe, una ex chiesa evangelica, oggi sede dell’Accademia delle Belle Arti, e ovunque ci si può rendere conto della dimensione interculturale e interreligiosa della città. Il grande clima di tolleranza e rispetto tra queste confessioni ha portato a soprannominare Sarajevo la Gerusalemme d’Europa anche se in seguito alle guerre jugoslave i rapporti tra le fedi sono cambiati.

Sarajevo ha iniziato a prosperare nel XVI secolo quando Gazi Husrev-beg, militare ottomano e fondatore della città, diede il via ai lavori di costruzione dell’odierna città vecchia. Con la presenza ottomana, per Sarajevo iniziò un periodo di importanza strategica, e le tracce della presenza turco-ottomana sono ancora oggi ben visibili. Con una spedizione condotta dal principe Eugenio di Savoia nel 1699 contro l’Impero ottomano, Sarajevo fu bruciata e rasa al suolo. La città fu in seguito ricostruita anche se non si riprese mai pienamente dalla distruzione. Nel 1878, la Bosnia fu occupata dall’Impero austro-ungarico: architetti e ingegneri invasero Sarajevo cercando di ricostruirla come una moderna capitale europea. Questo portò alla fusione della città vecchia, ancora costruita in stile ottomano, con l’architettura contemporanea occidentale della città nuova, Novo Sarajevo. Sarajevo ospita anche brillanti esempi del periodo della Secessione e dello stile pseudo-moresco.

La città è anche il luogo dell’evento che nel 1914 scatenò la prima guerra mondiale: l’assassinio, il 28 giugno di quell’anno, dell’arciduca d’Austria ed erede al trono imperiale Francesco Ferdinando, e di sua moglie. In seguito alla Seconda guerra mondiale, Sarajevo divenne il più importante centro industriale regionale della Jugoslavia. Il momento di massima crescita della città si ebbe agli inizi degli anni ottanta del ’900 quando Sarajevo venne nominata città ospitante dei giochi olimpici invernali (febbraio 1984).

A causa dell’inizio della guerra in Jugoslavia, il 6 aprile 1992 la città venne accerchiata ed in seguito assediata dalle forze serbe. La guerra, che è durata fino all’ottobre del 1995, ha portato alla distruzione quasi totale della città e una fortissima percentuale di emigrazione. La ricostruzione è iniziata a partire dal marzo del 1996, subito dopo la fine della guerra. Il centro storico ottomano e la parte ottocentesca, di impronta austriaca, sono completamente rimessi a nuovo, a parte alcuni singoli edifici. L’assedio di Sarajevo, conosciuto in tutto il mondo, ha provocato non pochi danni nel passato e nella storia della città, come la distruzione dell’importante Biblioteca nazionale ed universitaria di Bosnia ed Erzegovina con la drastica perdita di numerosi libri e manoscritti, riaperta al pubblico solo nel 2014. Molti edifici di Sarajevo sono stati sottoposti a restauro dopo le distruzioni della non lontana guerra del 1992-95, ma i segni più evidenti si possono ancora trovare nella città nuova, dove ve ne sono molti ancora distrutti, e accanto ad essi sono tanti i cantieri di nuovi centri commerciali ed edifici destinati ai servizi.

⇒ Quattro passi nella storia

Sarajevo Meeting of Cultures

Sarajevo è conosciuta per la coesistenza di diverse culture e religioni, come si può osservare nel centro cittadino, dove in un raggio di 100 metri troverete una moschea, una chiesa ortodossa, una cattedrale cattolica e una sinagoga.

Camminando lungo la via pedonale Ferhadija, andando verso la Baščaršija, ci si imbatte in una linea netta che separa l’Oriente dall’Occidente, la Sarajevo meeting of cultures, che indica la demarcazione tra città “vecchia” e “nuova”. Le due culture corrispondono rispettivamente a quella dell’Impero Ottomano e dell’Impero Austroungarico.

Ponte Latino (Latinski most)

Conosciuto anche come il Ponte di Princip – chiamato così durante l’era jugoslava – è uno storico ponte ottomano che attraversa il fiume Miljacka.

Il ponte ha quattro arcate e poggia su tre possenti pilastri. Costruito in pietra e gesso, è visibile quasi da ogni parte della città lungo il fiume. Come è rilevabile dalle sue fondamenta, il ponte è il più antico della città. Si ritiene sia stato edificato inizialmente in legno e solo dopo – nel 1565 – riedificato in pietra. La parte settentrionale del ponte fu scena dell’attentato di Sarajevo del 1914, in cui l’erede al trono di Austria-Ungheria, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este venne ucciso assieme alla moglie, la Duchessa Sofia, dal giovane studente Gavrilo Princip, membro dell’organizzazione segreta la “Mano Nera”. Per il Primo conflitto mondiale e quello degli anni Novanta, si dice che Sarajevo abbia aperto e chiuso il secolo del Novecento.

Cattedrale Cattolica del Sacro Cuore (Katedrala Srca Isusova)

Realizzata secondo lo stile neogotico e l’architettura romanica, la cattedrale è dedicata al Sacro Cuore di Gesù, sede dell’Arcidiocesi di Vrhbosna (Arcidiocesi di Sarajevo). I lavori iniziarono il 25 agosto del 1884 e furono completati nell’agosto del 1889. Danneggiato durante l’assedio, successivamente è stato sottoposto a restauro.

La cattedrale viene considerata un simbolo della città in quanto il disegno che sovrasta la porta di ingresso viene riportato sullo stemma del Cantone di Sarajevo, mentre le torri romaniche dell’edificio sono riprodotte sulla bandiera della città. Di fronte vi è una statua dedicata a Papa Giovanni Paolo II in memoria della sua visita alla Cattedrale nel 1997, opera dello scultore Hrvoje Urumovic. Stando in piedi sulla linea disegnata sul lastricato, a seconda di come ci si orienta, si possono vedere sullo sfondo due stili completamente diversi: da una parte sembrerà di passeggiare fra le strade di Istanbul, mentre dall’altra in una tipica cornice viennese.

Cattedrale Serbo Ortodossa della natività di Gesù (Saborna Crkva)

La cattedrale dedicata alla natività della Beata Vergine Maria è la più grande Chiesa ortodossa di Sarajevo e fra le più significative di tutti i Balcani. Costruita su richiesta della comunità ortodossa di Sarajevo, tra il 1863 e il 1868, si distingue per il suo stile barocco al quale si mescolano elementi serbo-bizantini. La struttura è quella di una basilica a tre sezioni, inscritta in un piano a forma di croce, e sovrastata da cinque cupole. Il piccolo campanile dorato in stile barocco sorge in prossimità dell’ingresso. Nelle zone inferiori delle pareti gli ornamenti dipinti simulano l’aspetto della costruzione in pietra di marmo. Nel 1898, il palazzo metropolitano ortodosso fu costruito vicino alla cattedrale.

Il capo dei lavori per la costruzione era Andreja Damjanov, un uomo della famiglia Damjanovi-Renzovski di maestri costruttori, muratori, pittori e carpentieri del villaggio di Papradište, vicino a Veles. La costruzione della chiesa iniziò nel 1863 quando Sarajevo faceva parte della Bosnia Vilayet, una suddivisione della Bosnia all’interno dell’Impero ottomano. Gran parte dei 36.000 dukat dei costi di costruzione furono coperti dai mercanti serbi di Sarajevo, guidati da Manojlo Jeftanović che ne donò 2.000. Con un atto simbolico, il sultano ottomano Abdülaziz e il sovrano della Serbia, il principe Mihailo Obrenović, donarono ciascuno 500 dukat. Lo zar russo Alessandro II inviò esperti artigiani per costruire l’iconostasi.

Conosciuta localmente come la “Nuova chiesa ortodossa“ per distinguerla dalla chiesa del XVI secolo a poche centinaia di metri a est, fu il primo edificio a rompere il monopolio musulmano sugli edifici monumentali di Sarajevo.

Vecchia Chiesa Ortodossa

La vecchia chiesa ortodossa è dedicata ai Santi Arcangeli Michele e Gabriele. Non si conosce l’esatto anno di costruzione, ma esistono testimonianze scritte che la nominano già nel 1539. Ospita un’apprezzabile iconostasi risalente al XVII secolo: si tratta di una parete divisoria che serve a separare la navata delle chiese dal cosiddetto “bema”, il santuario dove viene celebrato il rito dell’Eucarestia. Questa è stata decorata dagli artisti Radulo e Maksim Tujkovic. In questa chiesa, dal campanile barocco, è ospitato anche il suo museo, che è stato fondato nel 1889. Dato il valore delle icone è considerato uno dei più importanti musei ortodossi del mondo che vanta una collezione di varie opere d’arte tra manoscritti, immagini, icone e libri. Il museo custodisce manoscritti molto rari, tra cui il famoso codice, l’editto di Sarajevo del 1307, oltre a monete antiche, vestiti, armi…

Lontana dal grande traffico turistico, a 100 metri dal quartiere ottomano, la chiesa è tra i più antichi luoghi di culto della città. Data alle fiamme molte volte nel corso della sua storia, è sempre stata ricostruita, permettendole di conservare un aspetto autentico. L’ultima ricostruzione risale al 1726. L’edificio visitabile oggi è del 1730: le porte furono realizzate di così piccole dimensioni per impedire le incursioni a cavallo. L’interno si sviluppa su due piani: il primo, con l’iconostasi dorata che contiene la reliquia della mano di Santa Tecla e, il secondo, al primo piano, dove si trova il sarcofago di un bimbo: una leggenda lo rende mèta di visite da parte di coppie sterili, a favore delle quali si ritiene che abbia un potere bene augurante.

Moschea Gazi-Husrev Beg (Gazi Husrev-begova džamija)

Costruita nel 1531 al centro della Baščaršija, è uno dei più importanti esempi di architettura islamica della Bosnia Erzegovina e dell’Impero Ottomano. La moschea è famosa per la bellezza della sua cupola centrale e dei suoi tetims, cupole laterali più piccole. All’interno della moschea si trovano la fontana, la scuola musulmana, la sala per le abluzioni e le stanze per la preghiera. Sulla piazza del mercato antistante domina il minareto, alto circa 45 metri.

L’edificio è dedicato a Gazi-Husrev Beg, bey (signore) bosniaco durante la prima metà del XVI secolo. È stato un militare e un efficace stratega, il più grande donatore e fondatore della città di Sarajevo. Questa grande moschea (la più grande di Sarajevo e della Bosnia ed Erzegovina) è uno degli edifici cardine dell’intera Baščaršijala sua cupola e il minareto (alti rispettivamente 26 e 47 metri) sono visibili da ogni angolo della città). Distrutta durante l’assedio, oggi è completamente ristrutturata e vede un grande afflusso di credenti in preghiera. Di fronte ad essa nel 2015 ha aperto l’omonimo museo.

Moschea dell’Imperatore

La moschea è stata costruita nel 1457 dopo la conquista della città da parte dell’Impero ottomano. Dedicata inizialmente al Sultano Maometto II e successivamente a Solimano il Magnifico, è considerata una delle più belle moschee del periodo ottomano nei Balcani. Un autentico gioiello realizzato secondo lo stile classico dell’epoca, con la sua cupola e i dettagli decorativi che balzano subito agli occhi.

La moschea è stata danneggiata durante la Seconda guerra mondiale, ma soprattutto durante le guerre nel corso degli anni ’90 del XX secolo, e il lavoro di ristrutturazione è tuttora in corso. I primi insediamenti a Sarajevo sono stati costruiti intorno alla moschea, a partire dalla residenza dei rappresentanti del Sultano, allora in costruzione accanto alla moschea. Furono costruiti anche un hammam (bagno pubblico) e un ponte, che portava direttamente alla moschea. Il ponte è stato smontato durante il governo austro-ungarico e ricostruito pochi metri più a monte, dove esiste ancora oggi.

Sinagoga Ashkenazita (Aškenaska Sinagoga)

Gli Ebrei Ashkenaziti arrivarono a Sarajevo durante il dominio dell’Impero Austro-ungarico verso la fine del XIX secolo. Costruita nel 1902, la sinagoga ashkenazita della città è la terza più grande d’Europa.

Fu costruita da Karl Paržik, (autore di molti edifici di Sarajevo), poco distante dal Ponte Latino, sulla riva sinistra del fiume Miljacka, secondo lo stile neomoresco, una scelta popolare per le sinagoghe del tempo. La sinagoga ha enormi archi con decorazioni riccamente dipinte. L’alto soffitto decorato è stato evidenziato da una stella a dieci punte. All’ingresso, una menorah di pietra commemora l’anniversario dei 400 anni della presenza degli ebrei in Bosnia Erzegovina. Le comunità ebraiche sefardite e ashkenazite di Bosnia Erzegovina hanno fin da subito convissuto pacificamente con i loro vicini cristiani e musulmani nel Paese e a Sarajevo. Nonostante ciò, a causa delle persecuzioni nei loro confronti durante la Shoah e in seguito alle devastazioni della guerra più recente, gli ebrei rimasti in Bosnia Erzegovina sono circa un migliaio.

Sinagoga Sefardita- Jevrejski Hram, Museo ebraico

L’antica Sinagoga Sefardita di Sarajevo è il primo tempio ebraico costruito a Sarajevo. I primi ebrei costruirono il loro quartiere nel 1577 e in seguito la sinagoga, i cui lavori furono finanziati da un benefattore turco.

Sarajevo era una città pacifica durante il periodo ottomano, in cui tutte le religioni coesistevano in armonia. Era uno dei pochi posti in Europa in cui gli ebrei non erano costretti a vivere in un ghetto. L’edificio si eleva su tre livelli, alla base dei quali si trova il pulpito da dove il rabbino capo guida le funzioni. Nonostante, nel 2004, il tempio sia stato riaperto al culto, l’edificio è utilizzato soprattutto durante le celebrazioni del capodanno ebraico.

L’antica sinagoga risale al 1581, ma è stata ristruttura nel 1697 e 1768 a causa di due incendi. Qui si trova anche l’odierno Museo Ebraico. Le comunità sefardite e ashkenazite rimasero separate fino alla seconda guerra mondiale. Prima dell’Olocausto, Sarajevo contava 12.000 ebrei (20% della popolazione), 15 sinagoghe ed era un importante centro balcanico della cultura sefardita. L’85% degli ebrei di Sarajevo morì durante l’Olocausto. All’interno del museo ebraico, vi era una cronaca della storia della comunità ebraica a Sarajevo. I due piani superiori erano costituiti da balconi ad arco in pietra che circondavano l’area del santuario. Al primo piano vi era una preziosa collezione in ladino e altri libri ebraici stampati 200-300 anni fa. Il ladino, noto anche come giudeo-spagnolo, era la lingua ispanica parlata e scritta di ebrei di origine spagnola.

Baščaršija e Sebilj

La Baščaršija, costruita nel XV secolo, è una zona originariamente adibita alla funzione di mercato. Isa-Beg Isaković, primo governatore della regione ottomana della Bosnia, decise la costruzione del sangiaccato che sarebbe poi diventato Sarajevo.

Sulla riva destra del fiume Miljacka fece edificare il caravanserraglio, che divenne poi una vera e propria area commerciale. La zona fu denominata baş çarşı, che in turco significa “mercato principale” (il nome è stato poi slavizzato in baščaršija). Ad oggi, conserva la funzione di mercato, ed è diventata anche il punto più turistico della città. Nella Baščaršija, si trova la piazza con al centro la fontana in legno, detta Sebilj. La parola ha origine araba e significa “strada”, ma il termine definisce un vecchio istituto di carità, situato tradizionalmente in prossimità dei mercati, dove veniva offerta acqua e cibo ai poveri. La fontana, unica nel suo genere a Sarajevo, fu costruita nel 1754 da un vizir bosniaco, Mehmed Pasha Kukavica, imitando lo stile di una fontana in pietra presente a Istanbul. La costruzione originale fu distrutta in un incendio, ma nel 1891 fu ricostruita (progetto attribuito a Josip Vancaš). Secondo gli abitanti, l’acqua che sgorga dalla fontana è una delle più buone di tutta la Bosnia.

Biblioteca Vijećnica (Biblioteka Vijećnica)

Costruita in epoca austroungarica, sotto la supervisione di Alexander Wittek, il quale propose di realizzare una costruzione in stile pseudo moresco, essa rappresenta la perfetta unione architettonica tra Oriente e Occidente, dove ospitare la futura sede del governo della città. Dalla sua inaugurazione (20 aprile 1896) l’edificio è diventato un simbolo di Sarajevo, motivo iconico in molte fotografie della città. Dopo la seconda guerra mondiale, la Vijećnica (Municipio, in lingua locale) diventò sede della Biblioteca Nazionale Universitaria della Bosnia Erzegovina.

Il 25 agosto 1992, le granate serbe, nel contesto dell’assedio di Sarajevo, causarono la completa distruzione della biblioteca. Prima dell’attacco la biblioteca ospitava 1,5 milioni di volumi e più di 155.000 libri rari e manoscritti. Fu il più grande incendio di una biblioteca nella storia moderna. Alcuni cittadini e bibliotecari tentarono di portare in salvo alcuni testi anche se erano sotto il tiro dei cecchini. La bibliotecaria Aida Buturović di 32 anni perse la vita mentre era intenta a salvare dalle fiamme alcuni libri. Quasi il 90% del suo patrimonio culturale è andato perduto.

Grazie ai fondi europei elargiti, i lavori di ricostruzione sono stati avviati nel 1996 e sono stati conclusi nel 2014, riuscendo così a inaugurare la sede in occasione del centesimo anniversario dall’inizio della Prima guerra mondiale. L’edificio, ora monumento nazionale, ospita diversi eventi come concerti ed esibizioni ed è diventato simbolo dell’assedio e della tragedia di Sarajevo.

⇒ Letture

Ivo Andric, Il ponte sulla Drina, Mondadori

Alla confluenza di due mondi – quello cristiano e quello musulmano – sorge Višegrad, in Bosnia, da sempre città di incontro fra diverse etnie, religioni e culture. Ed è qui che nel Cinquecento il visir Mehmed-pascià fece erigere un ponte, diventato un simbolo dell’oppressione – perché costruito grazie alla fatica e ai sacrifici di molti  –, ma anche una testimonianza della fusione di due diversi mondi. Il ponte è il centro del romanzo di Andric: un grande affresco che va dal Cinquecento alla Prima guerra mondiale e che ha per sfondo una Bosnia romantica, con le sue complesse vicende storiche ma anche con i drammi quotidiani degli uomini che vi abitano. Andric si conferma interprete e commosso cantore di questa terra tormentata.

Arianna Cavigioli-Andrea Caira, La resistenza oltre le armi. Sarajevo 1992-1996, Mimesis, 2021

Focalizzata durante i giorni più duri dell’assedio cetnico alla capitale bosniaca, la ricerca prova a ricomporre i vari tasselli per comprendere pienamente l’impatto antropologico del conflitto. Attraverso lo sguardo non convenzionale degli stessi attori culturali attivi in quei giorni, il racconto è a metà strada tra l’inchiesta giornalistica e l’indagine archivistica. Nel dedalo di viuzze sarajevesi, dove a ogni incrocio sembra di sentire gli echi della Storia e di popoli passati, la città ha scoperto nella forza di una penna un’arma indistruttibile. Nella luce di una candela, che tiepidamente illumina il palco di qualche teatro improvvisato, l’inossidabile desiderio di sopravvivere e la spasmodica ricerca di normalità. I racconti dei protagonisti, di una durezza commovente, si scagliano contro quel monolitico silenzio internazionale che per troppo tempo li ha ignorati. Il grigiume dello scontro fratricida viene abbattuto dalla creatività.

 

Miljenko Jergovic, Le Marlboro di Sarajevo, Bottega Errante Edizioni, 2019

Il libro è stato scritto mentre la guerra devastava quella bellissima e composita città che è Sarajevo. Narra le storie di quei giorni, viste dalla parte degli assediati, legando una vita all’altra, la sorte di un uomo a quella di una donna, di una casa indenne a una colpita dalle cannonate. Ne risulta un racconto corale, di amore e malinconia per una terra distrutta, ma privo di lamenti inutili, accettando l’inevitabilità della sorte e degli accadimenti. E un compendio di feroci pugni allo stomaco, in cui il conflitto balcanico fa da sfondo ai bislacchi protagonisti, sempre in bilico tra quotidianità e sopravvivenza. “Jergovic è uno scrittore epico; possiede la capacità di lasciar parlare l’oggettività delle cose e degli avvenimenti, di cogliere la storia di un individuo o di un paese nei dettagli più concreti, con sobria essenzialità”.

Bozidar Stanisic’, I buchi neri di Sarajevo e altri racconti, Bottega Errante Edizioni, 2016

La Bosnia degli anni Novanta, prima e dopo lo scoppio del conflitto, la meravigliosa Sarajevo distrutta dall’assedio, i momenti di incredulità che precedono la guerra e gli attimi di spaesamento immediatamente successivi; questi sono gli sfondi delle storie di uomini e donne che vedono cambiare all’improvviso il corso della loro vita. Uno stile tutto giocato sui movimenti, i pensieri, i silenzi di chi è sopravvissuto in un sottilissimo e precario equilibrio tra follia, proiezioni, ricordi e il riaffiorare dei fantasmi del passato e della vita prima della guerra. 

Paolo Rumiz, Maschere per un massacro, Feltrinelli

Un reportage capace di svelare i veri meccanismi della guerra balcanica dietro i fraintendimenti e le mistificazioni. “La guerra mette a nudo la verità degli uomini e insieme la deforma. Ci sono tanti aspetti di questa verità; uno di essi è la cecità generale – cecità delle vittime, degli spettatori (i servizi d’informazione occidentale, oscillanti tra esasperazione, ignoranza o rimozione dell’orrore e fra cinismo e sentimentalismo) e della “grande politica”, che nel libro di Rumiz fa una figura grottesca.”

 

⇒ Sapori

Burek al formaggio

La ricetta del Burek o “pita sarajevese” arriva nei Balcani con l’Impero Ottomano. Conosciuto anche come borek o lakror, è un piatto tipico di cui esistono numerose varianti a seconda dei paesi della penisola. Il burek si prepara generalmente con la pasta fillo o lo yufka, una sorta di pane molto sottile che viene farcito con diversi ingredienti. Il suo ripieno cambia in base al luogo in cui si mangia ma generalmente si farcisce con carne, formaggi, verdure e salumi. Il termine bur, di origine turca, significa arrotolare e si riferisce alla pasta che avvolge il ripieno e in base al tipo di forma che viene data alla pietanza si attribuisce un nome differente… Il burek al formaggio è un involucro di croccante pasta fillo farcita con un impasto a base di uova, yogurt e skuta, un formaggio tradizionale preparato con latte vaccino simile ad una ricotta ma più asciutta e dal sapore più acidulo.

Ingredienti

Per la pasta

  • 500 gr di farina
  • 25 gr di burro
  • Acqua calda – q.b.

Per il ripieno

  • 600 gr di Skuta
  • 125 gr di yogurt greco
  • 150 ml di olio extra vergine di oliva
  • 3 uova medie
  • sale fine q.b.
Lavorazione

Per prima cosa miscelate la farina, il burro fuso, il sale e l’acqua calda ed impastate fino ad ottenere un composto liscio. Intanto preparate il ripieno: ponete il formaggio fresco in una ciotola a parte. In un’altra ciotola sbattete le uova, poi unite lo yogurt greco, il sale, e mescolate con la frusta per incorporarlo, unite il composto di uova sbattute allo skuta, mescolate il composto, e per ultimo unite a filo l’olio di oliva continuando a mescolare. Stendete ciascuna sfoglia molto fine sul piano di lavoro e lasciatela seccare per qualche minuto. Spennellate leggermente la pasta con del burro, distribuite, quindi, un po’ del ripieno ad una estremità della sfoglia e arrotolatela fino ad ottenere un rotolo. Prendete un piatto da portata per ciascun rotolo e fate una spirale iniziando dal centro del piatto. Infine cuocete a 180°C in forno per circa 35 minuti, verificate la cottura della pasta e del ripieno.

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Foto in anteprima: Centro Astalli/Valentina Pompei