A dieci anni dal naufragio davanti alle coste di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e a meno di un anno da quello di Cutro, il contrasto all’immigrazione irregolare si sta concentrando non sui trafficanti ma sui migranti, accomunati e confusi nella categoria dell’irregolarità, anche quando sono persone in fuga da guerre, crisi climatiche e gravi violazioni dei diritti umani.
È quanto emerge dal Dossier Statistico Immigrazione 2023 , realizzato a cura di IDOS, in collaborazione con Centro Studi Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.
Il rapporto raccoglie i contributi di oltre 100 tra i più autorevoli studiosi e ricercatori in materia, esprimendo così un ampio pluralismo di competenze e approcci analitici. All’interno di questa 33° edizione è presente anche un contributo del Centro Astalli sull’accesso al territorio e alla protezione in Italia dei migranti forzati.
I dati raccolti, aiutano a orientarsi nel dibattito in corso, anche in relazione all’efficacia e alla sostenibilità delle misure introdotte dal governo, a partire dalla detenzione amministrativa, estesa anche ai richiedenti asilo.
A fine 2022 si stimano in circa 295 milioni i migranti nel mondo: circa un abitante della Terra ogni 30. Tra questi 62,5 milioni sono sfollati interni i quali, insieme ai 35 milioni di richiedenti e titolari di protezione e ad altre categorie specifiche (5,9 milioni di rifugiati palestinesi del 1948 e loro discendenti di competenza dell’Unrwa, e 5,2 milioni di venezuelani sfollati all’estero senza aver fatto domanda di asilo), portano a 108,4 milioni i migranti forzati nel mondo (nel 2000 erano appena 20 milioni). Il 40% di essi è costituito da minorenni.
La guerra in Ucraina (che nelle sue fasi iniziali ha visto fuggire dal Paese oltre 200mila persone al giorno) ha alimentato di 5,9 milioni il numero degli sfollati interni e di 5,7 milioni quello dei titolari di protezione, concentrati soprattutto in Ue dove, a fine 2022, i beneficiari della protezione “temporanea” (rilasciata loro in virtù della Direttiva 55/2001) erano 3.826.620, la metà dei quali distribuiti tra Germania (968mila) e Polonia (961mila).
Del resto, la metà dei richiedenti asilo nel mondo è originario dell’America Latina e, in particolare, del Venezuela (1,1 milioni), che primeggia tra tutti i Paesi d’origine precedendo, nella stessa area, i nicaraguensi (terzi con 267mila) e i cubani (quarti con 241mila). A giugno 2023 i migranti venezuelani – spinti dai pesanti effetti pandemici sull’economia, dai frequenti disastri ambientali e da una persistente insicurezza alimentare – sono saliti a oltre 7,3 milioni, la stragrande maggioranza dei quali (6,1 milioni) trasferitisi in altri Paesi dell’America Latina e nei Caraibi, dove il carattere massivo dei flussi non ha reso possibile, per molti di loro, presentare domanda di asilo.
Come è noto, lungo le rotte migratorie del Mediterraneo scompaiono migliaia di migranti diretti in Europa: dal 2014 ad agosto 2023 i morti e dispersi accertati sono stati circa 28mila (ma probabilmente altrettante sono state le vittime di naufragi non intercettati), di cui 2.411 solo nel 2022 (in 3 casi su 5 lungo la rotta centrale) e già altri 2.324 nei primi 8 mesi del 2023.
In particolare, lungo la rotta centrale (ancora la più letale al mondo) tra gennaio e agosto 2023 il numero delle persone arrivate è stato già di circa 115.000, a fronte delle 105.561 nel corso del 2022 e delle 67.724 del 2021, con un aumento del numero di morti o dispersi in mare nei primi 7 mesi dell’anno e con i migranti giunti dalla Tunisia che per la prima volta hanno superato quelli arrivati dalla Libia. Questi ultimi sono diminuiti anche perché la “guardia costiera” del Paese nordafricano ne ha nel frattempo intercettati a migliaia in mare e ricondotti nei propri centri di detenzione
È una strategia onerosa, questa della “esternalizzazione delle frontiere”, definita dagli accordi con la Libia e la Tunisia, che si associa alla pratica delle espulsioni e dei respingimenti illegali: secondo il Black book of pushbacks 2022, tra il 2017 e il 2022 sarebbero stati oltre 25mila quelli realizzati, con metodi brutali (percosse, denudamenti, bruciature, bastonate, docce gelide, torture ecc.), da diverse polizie nazionali lungo le varie rotte dirette verso l’Unione o interne ad essa.
In particolare, quella dei Balcani occidentali resta la seconda più attiva con 39.580 attraversamenti nei primi 6 mesi del 2023, sebbene in calo del 29% rispetto allo stesso periodo del 2022. Uno dei terminali di questa rotta è l’Italia, che nel 2022 ha ripreso le “riammissioni” dei profughi in Slovenia nonostante la pronuncia di illegittimità del Tribunale di Roma (2021) e il fatto che, con ciò, essi subiscano “trattamenti inumani e degradanti”.
Nel corso del 2022 nell’Ue (dove i 7,5 milioni di rifugiati e richiedenti asilo incidono per appena l’1,7% sulla popolazione totale) sono state presentate complessivamente 965.665 domande di asilo (+52,7% rispetto al 2021), di cui 884.630 per la prima volta. Ben un quarto di tali domande (240.205) ha riguardato minorenni e, in particolare, 39.520 minori non accompagnati, a testimoniare l’estrema vulnerabilità dei flussi di richiedenti asilo.
Solo il 49,1% delle 632.430 domande d’asilo esaminate, nello stesso anno, dagli Stati dell’Unione ha ricevuto, in primo grado, una risposta positiva, ma il tasso cambia a seconda dei vari Paesi membri (dal 6,3% di Cipro al 95,7% dell’Estonia) e delle nazionalità dei richiedenti. Alle decisioni di primo grado, si aggiungono le 217.480 definitive, di cui il 33,6% con esito positivo a seguito di ricorso. Ne risulta che complessivamente nel 2022 i Paesi Ue hanno concesso
protezione a circa 383.515 richiedenti.
Colpiscono il numero di richieste di trasferimento della domanda allo Stato di primo ingresso, in base al Regolamento di Dublino (174mila, secondo i dati provvisori di Eurostat, di cui solo 14.500 eseguiti), e, in ottica di lungo periodo, l’elevata quota di richiedenti che avevano già fatto istanza di protezione in passato: il 37,6% dei 950.768 set biometrici archiviati presso la banca dati Eurodac riguarda richiedenti asilo che negli ultimi 10 anni avevano già presentato una domanda.
In Italia aumentano i titolari di un permesso a termine (1.486.000 a fine 2022: +267mila annui), il 39,9% di tutti i soggiornanti, e diminuiscono in parallelo i lungo-soggiornanti (2.241.000: -101mila), principalmente a seguito dell’acquisizione della cittadinanza italiana.
I 449mila nuovi permessi rilasciati nell’anno (erano stati 242mila del 2021) segnalano il maggiore impatto degli arrivi per motivi di protezione (45,1%, inclusi i richiedenti asilo: 9,7%) e, all’interno di questi ultimi, il forte protagonismo dei profughi dall’Ucraina titolari di protezione temporanea (148.644, il 33,1% del totale complessivo). Seguono i motivi di famiglia (27,7%) e quelli di lavoro (14,4%), soprattutto post-regolarizzazione (10,9%).
Di riflesso, tra tutti i soggiornanti a termine, crescono innanzitutto i permessi per protezione (353mila: +172mila rispetto al 2021), il 23,7% del totale, rappresentati per oltre i due quinti dalle persone in fuga dall’Ucraina (146.367: 41,5%). Senza di loro, l’aumento annuo resta in linea con il periodo precedente. Appartengono ai soggiornanti per protezione anche i titolari dei permessi “anti-sfruttamento” (solo 69), “anti-tratta” (202) e “anti-violenza domestica” (131), ex artt. 22 e 18 del Tui, di cui si rileva la scarsissima incidenza. Sono 568mila (+51mila), invece, i soggiornanti per motivi familiari (38,2%) e 436mila (+17mila) quelli per lavoro (29,3%), per quasi un settimo beneficiari dell’ultima regolarizzazione (60mila).
La drastica restrizione della protezione speciale (che, in linea con gli obblighi costituzionali, dal 2020 ha consentito a migliaia di migranti – 37mila a fine 2022 – di poter regolarmente soggiornare nel Paese anche grazie a un maturato radicamento sul territorio) implica, al contrario, il rischio concreto di produrre un aumento dell’irregolarità, oltre che dei contenziosi giudiziali.
Una prospettiva avvalorata anche dalla scarsa efficacia delle misure di allontanamento. Nel 2022 solo l’11,7% dei migranti raggiunti da un provvedimento di espulsione (in tutto 36.770) e il 49,1% di quelli transitati nei Cpr (in tutto
6.383) sono stati effettivamente rimpatriati, a fronte di una presenza straniera irregolare che in Italia è stabilmente
stimata, nonostante ben 8 regolarizzazioni in 37 anni di legiferazione, in oltre 500mila immigrati.
Pur nel trend di crescita degli arrivi negli ultimi anni (dal Mediterraneo centrale: 11.500 nel 2019, 35.200 nel 2020, 67.000 nel 2021), proseguito nel 2023 (già 127mila al 15 settembre), è improprio sia parlare di uno scenario senza precedenti, data la persistenza del fenomeno e i picchi toccati tra il 2014 e il 2017, sia il reiterato richiamo all’emergenza e agli effetti destabilizzanti dell’accoglienza, superabili con una più attenta pianificazione, anche sulla scia del cambio di approccio sperimentato con i profughi dall’Ucraina.
Maggiore attenzione, invece, meriterebbe la sorte di quanti non riescono a concludere il viaggio. Nel 2022, la Guardia costiera italiana ne ha soccorsi 57mila e le navi umanitarie 11mila (circa il 10% degli arrivi, in linea con gli ultimi tre anni).
Sono 77.200 le domande di protezione presentate per la prima volta in Italia nel 2022, l’8,7% del totale Ue, e circa 7.000 quelle reiterate. È un numero in crescita (erano state 54mila nel 2021), ma non inquadrabile in termini di eccezionalità: aveva superato le 100mila unità sia nel 2016 sia nel 2017 e resta ben al di sotto di quello di altri Paesi Ue.
Eppure, si registrano livelli di criticità mai raggiunti prima per la formalizzazione delle domande tanto negli hotspot quanto nelle questure.
Le 53mila domande esaminate nell’anno hanno avuto esito positivo nel 48,4% dei casi, in linea con la media Ue: in 7.610 casi si è ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, in 7.205 la protezione sussidiaria e in 10.865 la protezione speciale. Le 19mila decisioni assunte in seconda istanza, invece, hanno avuto esito positivo per il 72%.
Ben diverso, in virtù dell’attivazione della protezione temporanea, è il percorso dei profughi dall’Ucraina. Un’esperienza che ha mostrato gli ampi margini di semplificazione delle procedure e dissipato l’alibi dell’ingestibilità di numeri di richiedenti asilo ritenuti eccessivi. Un altro esempio virtuoso sono i corridoi umanitari, che da febbraio 2016 a marzo 2023 hanno garantito l’arrivo e l’accoglienza di 5.248 persone vulnerabili da aree di crisi, mostrando la percorribilità di strategie solidali ed efficaci.
Ma a fronte dell’aumento delle persone in fuga, il “Decreto Cutro” ha ulteriormente ristretto, invece di estendere, sia i canali di ingresso sicuro sia quelli di accesso alla protezione, potenziando invece il ricorso alla procedura accelerata di frontiera e al relativo trattenimento fino a 4 settimane per i richiedenti asilo che eludano (o tentino di eludere) i controlli o che provengano da un Paese designato come “sicuro”, qualora non abbiano il passaporto o non versino una “idonea” garanzia finanziaria (4.983 euro).
Sul fronte dell’accoglienza emerge una prolungata carenza di programmazione. Alla fine del 2022 sono 108mila i migranti inseriti negli appositi centri (in crescita ma ben inferiori ai 184mila del 2017), per i due terzi (66,8%, pari a 71.882 persone) concentrati nei Cas. Parallelo a questo sistema c’è il canale “privilegiato” dei profughi ucraini che, come titolari di protezione temporanea, hanno potuto accedere anche alla cosiddetta “accoglienza diffusa” (circa 5mila i posti disponibili) o avvalersi di un sostegno economico per una sistemazione autonoma (136mila le richieste ad aprile 2023).
Dal 2018 al 2021, anni di netta contrazione degli arrivi, il circuito dei centri di accoglienza ha conosciuto un ridimensionamento del 40% e, nonostante il continuo allarme di “collasso”, oltre il 20% dei posti disponibili è rimasto libero, anche nel Sai. La riduzione dei Cas, del resto, non ha coinciso con un consolidamento della rete Sai, mostrando una carenza di pianificazione che avrebbe potuto predisporre, invece, un sistema più ordinato e adeguato agli scenari attuali.
I primi dati disponibili sul rapporto posti/presenze nel 2022 mostrano una progressiva saturazione dei Cas a seguito del nuovo aumento degli arrivi: nonostante la crescita della capienza (+11mila posti), alla fine dell’anno la disponibilità si era ridotta al 3% del totale, contro il 16% nei centri Sai (+10mila). Un andamento che rivela una gestione ancora per molti versi disordinata e da razionalizzare.
Carente resta anche il sistema di accoglienza e accompagnamento riservato ai minori stranieri non accompagnati: su 20mila presenti in tutta Italia a fine 2022, 11.910 sono inseriti in centri Sai. La criticità maggiore si verifica quando i nuovi arrivati vengono collocati d’urgenza in luoghi non adeguati, che non rispettano gli standard minimi previsti (in promiscuità con gli adulti, saltando la prima accoglienza, ecc.).
In questo quadro, il “Decreto Cutro” è tornato ad escludere (con poche eccezioni) i richiedenti asilo dal Sai, che perde così la sua connotazione di sistema unico, e a prevedere un consistente taglio dei servizi erogati nei Cas e nei Cpa (assistenza psicologica, orientamento legale, insegnamento della lingua italiana, ecc.). Per i richiedenti asilo in attesa, inoltre, si prospetta lo stazionamento in nuovi centri “provvisori”, prima del loro smistamento in Cas e Cpa, in una sorta di sotto-circuito dell’accoglienza facente capo alle Prefetture.
Previsioni che, unite all’ampliamento delle possibilità di trattenimento dei richiedenti asilo, non solo rischiano di comprimere il rispetto dei diritti e della dignità dei migranti, ma anche di alimentare la ghettizzazione, il disagio sociale e la relativa pressione sui territori.