Le “Pietre d’inciampo” (in tedesco Stolpersteine) sono un monumento diffuso e partecipato ideato e realizzato dall’artista tedesco Gunter Demnig in memoria di cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa è partita nel 1995, a Colonia. In tutta Europa oggi si contano più di 27mila “pietre” in Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi e anche in Italia.
Materialmente, la memoria consiste in una piccola targa d’ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm), posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, sulla quale sono incisi il nome della persona deportata, l’anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta, per ricordare chi si voleva ridurre soltanto a un numero. Un inciampo non fisico, dunque, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino. La maggior parte delle “pietre d’inciampo” ricordano vittime ebree dell’Olocausto, ma ce ne sono alcune in memoria di persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti “indesiderabili” dalla dottrina nazista: omosessuali, oppositori politici, Rom, Sinti, testimoni di Geova, pentecostali, malati di mente, portatori di handicap, ecc. A Roma, le prime 30 pietre d’inciampo in Italia furono collocate il 28 gennaio 2010, in occasione del giorno della Memoria. Oggi sono più di 150, in diversi quartieri della città: al Ghetto, a Monteverde, al Pigneto (in memoria di deportati politici).
Le Stolpersteine sono finanziate da sottoscrizioni private; il costo di ognuna, compresa l’installazione, è di 100 euro. Presso la Biblioteca della Casa della Memoria e della Storia è sempre attivo uno “sportello” a cui possono rivolgersi quanti intendono ricordare familiari o amici deportati attraverso la collocazione di una Stolpersteine davanti alla loro abitazione. L’artista afferma:
“Ogni volta che incido i nomi, lettera dopo lettera, ricordo a me stesso che dietro quel nome c’è un singolo individuo. Bambini, uomini e donne che erano vicini di casa, compagni di scuola, amici e colleghi. E ogni nome evoca un’immagine. Vado nel luogo, nella strada, davanti alla casa dove la persona viveva. L’installazione di ogni Stolperstein è un processo doloroso ma anche positivo perché rappresenta un ritorno a casa, almeno della memoria di qualcuno”.
Foto in anteprima: Archivio Centro Astalli/Valentina Pompei
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