Mark ha camminato a lungo. Ha attraversato confini, il deserto rovente. Aveva ai piedi i sandali che indossava tutti i giorni in Nigeria, ma non hanno resistito per molto tempo.
Jenkis si è messo in viaggio di notte, aveva delle scarpe da ginnastica nuove che gli aveva comprato la madre prima di farlo partire. Ma nessuno dei due sapeva che lo aspettavano la neve e il freddo delle montagne al confine tra Iran e Turchia; non hanno resistito e così è arrivato scalzo, con i piedi distrutti. Era esausto e quando a mensa gli hanno dato un paio di scarpe ha capito di essere in salvo.
Marcelina il giorno prima del suo primo colloquio di lavoro in Italia, con una famiglia che cercava una baby sitter, voleva a tutti i costi un paio di scarpe nuove, anche di pochissimo valore, ma nuove. Sua nonna in Congo le ripeteva sempre che una persona con le scarpe in ordine non deve temere nulla.
Immagina di camminare per giorni, settimane o mesi affondando ad ogni passo nella sabbia del deserto o nella neve delle montagne.
Immagina di attraversare il mare agitato dentro un gommone insieme ad altre centinaia di persone, tutte, come te, in cerca di un posto sicuro.
Questa è la realtà per milioni di persone nel mondo, costrette a scappare da conflitti, violenze diffuse, calamità naturali e violazioni dei diritti umani per sopravvivere. Li chiamiamo profughi, rifugiati, migranti, richiedenti asilo. Sono uomini, donne e bambini in cammino.
Hanno lasciato alle loro spalle tutto. Rimane loro solo il proprio corpo, i vestiti, e se fortunati, le scarpe, per fuggire.
Le scarpe dei rifugiati sono da sole la testimonianza di un’odissea. Le scarpe raccontano, anche quando non ci sono. Sono scalzi i migranti che arrivano sulle nostre coste. Impauriti, stanchi, ricevono da chi li soccorre e accoglie un paio di scarpe: un gesto che restituisce umanità, oltre ogni burocrazia. Scarpe straniere, come la terra su cui iniziano un nuovo cammino.
Sono passi affaticati quelli che i rifugiati si trovano a muovere oggi, aggravati da ostacoli nuovi e inaspettati. I mali che colpiscono tutti feriscono doppiamente i più vulnerabili. Il cammino verso l’integrazione per molti migranti, già incerto e insicuro, in questo tempo di crisi rimane interrotto, come sospeso.
Il 22 ottobre il Centro Astalli si unisce al gruppo GIAN Migrations (della Global Ignatian Advocacy Network) che riunisce il Settore Sociale della Compagnia di Gesù in Spagna, la Rete dei Gesuiti con i Migranti in America Latina e nei Caraibi (RJM LAC) e la sua Campagna per l’Ospitalità, la Federazione Internazionale di Fe y Alegría e il JRS Europa per una azione comune attraverso la campagna #PathsofHospitality, un’iniziativa il cui obiettivo è sviluppare una cultura di solidarietà e inclusione con le persone costrette a migrare, lasciarsi alle spalle i pregiudizi e costruire una cultura fraterna di speranza e di incontro con altre culture.
Invitiamo tutti coloro che si sentono vicini a una cultura dell’ospitalità a unirsi a noi. Come?
L’idea è quella di scattare una foto con scarpe spaiate per trasmettere visivamente l’idea di mettersi nei panni di un’altra persona, soprattutto di chi è sfollato con la forza, e di pubblicarla online sui social.
Cosa fare?
- Usare due scarpe diverse o scambiare una scarpa con un compagno di lavoro o di classe durante la giornata.
- Scattare una foto individuale o di gruppo in cui si veda la scarpa scambiata.
- Condividete la vostra foto sui social media il 22 ottobre con l’hashtag #PathsofHospitality e #HopeIsThePath
Photos by Sergi Camara (Entreculturas)/Jesuit Refugee Service