Sono 11 i centri di detenzione operativi ad oggi in Libia, formalmente controllati dal Governo di accordo nazionale. 2800 i migranti ancora reclusi nelle strutture, tra cui 1700 sotto mandato dell’UNHCR. Un numero parziale perché numerosi sono i centri informali gestiti da varie organizzazioni criminali da cui in questi anni sono transitati migliaia di persone.
Sono dati raccolti da Medu – Medici per i diritti umani e pubblicati nel rapporto “La fabbrica della tortura”, in cui si evidenzia che dei 660 mila migranti sbarcati in Italia a partire dal 2014 – la maggior parte provenienti dall’Africa occidentale o dal Corno d’Africa – circa il 90% di essi ha trascorso settimane, mesi o anni in Libia.
Il rapporto si basa su oltre tremila testimonianze di migranti e rifugiati transitati dalla Libia, raccolte nell’arco di sei anni dal 2014 al 2020, che illustrano l’effettivo quadro di violazioni dei diritti umani in Libia e le violenze che si consumano sistematicamente nel territorio, all’interno e fuori dai centri di detenzione e di sequestro.
Tre i punti di vista alla base dell’analisi: 1) i flussi migratori che giungono in Italia dalle coste libiche; 2) il sistema di abusi e di sfruttamento che si consuma in Libia ai danni di migranti e rifugiati; 3) le conseguenze psico-fisiche delle violenze subite. Viene inoltre approfondito il confronto di due fasi; i tre anni che precedono l’accordo Italia-Libia sui migranti (febbraio 2014 – gennaio 2017) e i tre anni successivi al medesimo accordo (febbraio 2017 – gennaio 2020).
Nel rapporto sono presenti anche testimonianze dei migranti e rifugiati assistiti da Medu. Si tratta per lo più di uomini (88%) con un età media di 26 anni. Tra di loro anche più di 300 minori (13%), incontrati presso il sito umanitario di Agadez e negli insediamenti informali di Roma.
Sintesi del rapporto
La mappa dei centri di detenzione in Libia ricostruita in base alle testimonianze