Detenuti in modo “arbitrario e sistematico”, sono vittime di “omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, stupro e altri atti disumani”: è questa la condizione in cui si trovano a vivere i migranti in LIbia. È quanto emerge da un nuovo rapporto sullo stato dei migranti detenuti in Libia redatto dalla Commissione Indipendente avviata nel giugno 2020 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha il compito di documentare gli abusi commessi in Libia dal 2016.
Gli investigatori dell’Onu spiegano, nel rapporto, che i migranti che cercano di raggiungere l’Europa hanno subito violenze sessuali da parte di vari trafficanti, spesso con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie rimaste nei paesi di origine.
“La missione conoscitiva dell’Onu ha fondati motivi per ritenere che crimini contro l’umanità siano stati commessi contro migranti in Libia” si legge nel rapporto, e denuncia il comportamento delle unità libiche chiamate “Guardia costiera”, sostenendo che le operazioni per bloccare i migranti in mare sono tutte pericolose.
Il rapporto Onu prosegue sostenendo che “l’assenza di responsabilità per gli abusi contro i migranti conferma una politica dello Stato che incoraggia le estorsioni contro i migranti in detenzione, e l’applicazione di trattamenti violenti e discriminatori. Le milizie – alcune delle quali gestiscono i centri di detenzione -, gruppi criminali, trafficanti e contrabbandieri contribuiscono a incrementare questa politica”.
Durante i mesi della guerra civile che ha opposto il governo di Tripoli alla milizia del generale Khalifa Haftar, le indagini della commissione evidenziano che “tutte le parti in conflitto, inclusi paesi terzi, combattenti stranieri e mercenari, hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e ragionevolezza, e alcune hanno commesso crimini di guerra”.