La Libia non è un paese sicuro. Torna a sottolinearlo l’ONU nell’ultimo rapporto consegnato al Consiglio di sicurezza, che fornisce una panoramica della situazione umanitaria nel paese.
A partire dal 7 maggio, quando già il segretario generale Antonio Guterres aveva espresso in una precedente relazione una serie di dubbi sull’operato delle autorità libiche a danno di persone migranti e rifugiati, migliaia di donne, uomini e minori hanno continuato ad essere vittime di numerosi maltrattamenti. Nell’elenco dei colpevoli degli abusi, stavolta però, figurano anche funzionari statali, oltre a gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e bande criminali.
I migranti e gli stranieri presenti nel paese, infatti, sono sottoposti a ogni genere di tortura «compresa la violenza sessuale, il rapimento a scopo di riscatto, estorsioni, lavoro forzato e uccisioni illegali» – si legge nel rapporto. Il numero di persone sottoposte a questi trattamenti è cresciuto ed è destinato a crescere a causa dell’aumento delle intercettazioni in mare da parte della Guardia costiera libica e per effetto della chiusura delle rotte marittime ai migranti che di fatto impediscono la loro partenza.
La missione ONU a Tripoli (UNSMIL) ha raccolto la maggior parte di queste informazioni nel centro di detenzione di Zuara, nonostante le difficoltà e l’opposizione del governo libico, come dimostra quanto verificatosi lo scorso 16 maggio quando sono state negate le autorizzazioni alle Nazioni Unite che non hanno potuto «condurre visite di monitoraggio» nel centro.