Continuano a morire migranti. L’UE dov’è?

Mentre gli stati dell’Unione continuano a dibattere sull’opportunità di rafforzare ulteriormente i controlli alle frontiere interne ed esterne dell’Europa, almeno 21 persone, tra i quali sei bambini, sono morti in queste ore in due naufragi al largo delle isole greche di Farmakonissi e Kalolimnos, nel mar Egeo, e decine di persone mancano all’appello.

Continuano a morire innocenti costretti ad affidarsi a trafficanti senza scrupoli che agiscono indisturbati sotto il naso di un’Europa che sembra guardare da un’altra parte.
Mentre piangiamo le vittime innocenti di una vera e propria ecatombe, il progetto di un’Europa patria comune registra l’ennesima sconfitta.
Davanti alla più grande crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale ad oggi l’Ue si manifesta in tutta la sua inadeguatezza.

P. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli commenta così i fatti delle ultime ore: “Sospendere Schengen non risolve alcun problema. Serve solo ad esacerbare il clima, contribuendo ad alimentare l’idea che dobbiamo difenderci da un nemico fantomatico. Al contrario di come sembrano ritenere in molti, razzismo e xenofobia non sono misure contemplabili nell’approccio al fenomeno migratorio, ma sono tragici effetti di politiche nefaste e ingiuste.
Dal 1 gennaio sono morte più di 100 persone nel Mediterraneo. È un dato che colpisce, ma è un dato parziale e dannoso: non si può azzerare il contatore all’inizio di ogni nuovo anno come se tutte le vittime dei viaggi verso l’Europa non esistessero più. Già solo fare un esercizio quotidiano di memoria basterebbe a progettare un futuro diverso”

Il Centro Astalli ritorna a porre questioni urgenti e da troppo tempo rimandate:

Non si può tollerare che continuano le stragi quotidiane nel Mediterraneo, a cui si sommano quelle meno visibili nel Sahara e lungo le rotte della migrazione forzata. È urgente creare vie sicure e legali di accesso all’Europa: rilascio di “visti umanitari”, sospensione temporanea dell’obbligo di visto in alcune situazioni critiche, incremento del resettlement, ampliamento del diritto al ricongiungimento familiare o altri meccanismi che potrebbero essere sperimentati in progetti pilota, in collaborazione con chi opera nei Paesi di origine o di transito. Devono essere inoltre misure proporzionate per quantità al bisogno. Nonostante il dichiarato impegno a contrastare il traffico di esseri umani, non abbiamo ancora visto un impegno europeo significativo su questo tipo di misure, che sono le uniche in grado di contrastare effettivamente lo smuggling.

La soluzione non può essere chiudere le frontiere. Ci aspettiamo che l’imminente revisione del Regolamento di Dublino introduca un meccanismo completamente diverso di condivisione di responsabilità, che non guardi unicamente alla procedura d’asilo, ma più ampiamente alle prospettive a medio e lungo termine per chi si vede riconoscere la protezione internazionale da uno Stato europeo. Nessun meccanismo, per quanto sofisticato, può avere successo se non riporta al centro la persona del rifugiato.

Costruire una protezione europea. È quanto mai urgente creare un Sistema Comune d’Asilo Europeo (CEAS) credibile ed efficace. Il concetto di protezione non può essere ridotto al rilascio di un permesso di soggiorno, peraltro di validità territoriale limitata. Se la procedura deve seguire standard comuni, così dovrebbe essere comune l’impegno degli Stati Membri di prospettare soluzioni adeguate per consentire ai rifugiati e alle loro famiglie di vivere nel territorio dell’Unione in dignità e sicurezza, mettendoli in condizione di contribuire attivamente allo sviluppo delle società che li accolgono.

 

 

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