Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro – Ad duas lauros

Le Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro (chiamate anche catacombe di Sant’Elena o Catacombe di San Tiburzio) nacquero all’incirca tra il 100 e il 200 d.C. Sono situate sulla via Casilina, al terzo miglio dell’antica via Labicana a Roma dove oggi sorge il quartiere di Tor Pignattara. La zona faceva parte di un fondo imperiale di proprietà della Augusta Flavia Giulia Elena, come testimoniato nel Liber Pontificalis nella vita di San Silvestro (314-315) dove si parla della donazione di questa area da parte di Costantino.

L’avvento dell’imperatore e la sua politica filo cristiana fecero sì che in questo luogo fosse edificata una basilica circiforme e il cimitero cristiano ipogeo, il cui accesso è ubicato presso la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro.  Insieme al mausoleo di Elena, tomba dell’imperatrice madre di Costantino, il complesso è denominato Ad duas lauros -“Ai due allori”, per la presenza di due alberi di alloro sul posto.

Le catacombe si estendono per una superficie di 18.000 m² e se ne indicano i confini dalla Porta Sessoriana (Porta Maggiore) fino alla Via Latina e a sud fino a Monte Cavo. Si stima che, nel solo III secolo, accolsero più di 15.000 sepolture sotterranee a cui vanno aggiunte alcune migliaia in superficie.  Nel 2006 vennero alla luce nuovi ambienti inesplorati contenenti affreschi e una fossa comune con oltre 1.200 corpi di persone, probabilmente deceduti a causa di un’epidemia di peste, probabilmente di alto rango, perché onorati con gli stessi incensi cerimoniali come lasandracca, il franchincenso e l’ambra.  Dopo un’opera di restauro degli ambienti finanziata dalla Repubblica dell’Azerbaigian, dall’aprile 2014 le catacombe sono regolarmente visitabili ogni sabato e domenica.  I restauri, che hanno restituito luminosità e vitalità a quelle rappresentazioni, fanno sì che le catacombe dei SS. Pietro e Marcellino siano ancora un gioiello archeologico di inestimabile valore storico e culturale.

Pur essendo luoghi di sepoltura comunitari, le catacombe meravigliano sempre il visitatore, soprattutto per gli affreschi che impregnano le pareti di quelle stanze sotterranee – i cubicula – e degli arcosoli.  Attraverso gli affreschi, i defunti narrano la propria vita, trasmettendo i valori della fede cristiana e la speranza in un aldilà al fianco dei santi, di Cristo, e degli apostoli.

I cubicoli e gli affreschi

Raccontano di miracoli, di storie Vetero e Neotestamentarie, come nel caso “della matrona orante” recentemente restaurata. Sulla volta, all’interno di una ricca cornice color rosso mattone, intervallata con inserti vegetali fioriti, vi è Daniele nudo e orante tra i leoni e la storia di Giona rappresentata in tre dei momenti principali: il profeta gettato in mare e ingoiato dal pistrice, poi sdraiato sotto il pergolato e, infine, seduto e pensoso sotto la pianta oramai secca.

Al centro della volta vi è il nucleo del programma figurativo, costituito dal Buon Pastore, simboleggiante Cristo, con due pecorelle ai lati e una sulle spalle. Vi è anche la presenza di Noè orante nell’arca, raffigurata come una cassetta lignea, mentre la colomba con il rametto d’ulivo giunge in volo. Sulle pareti fa la sua comparsa il motivo del pavone, celebre simbolo cristiano per indicare l’immortalità, in quanto si credeva che le sue carni fossero incorruttibili dopo la morte. Le raffigurazioni, che rimandano alla salvezza, sono state pensate appositamente per far sì che i defunti qui sepolti avessero, in qualche modo, assicurato un aldilà paradisiaco. 

Il cubicolo “delle stagioni”, invece, costituisce un ulteriore monumento che si distingue per la sua ricchezza di immagini. Databile intorno alla prima metà del IV secolo d.C., trae il suo nome dalle motivazioni stagionali collocate agli angoli della volta: le personificazioni dell’estate, della primavera, dell’autunno e dell’inverno osservano lo svolgersi del ciclo di Giona.

Vi sono inoltre quattro oranti, due donne e due uomini, probabilmente riconducibili ai defunti proprietari del cubicolo. Lo spazio centrale della volta è nuovamente occupato dal Buon Pastore, mentre ogni spazio tra le sepolture è affrescato: vi è rappresentata la moltiplicazione dei pani, seguita da personaggi come Giobbe, Mosè che percuote la rupe per farne scaturire la sorgente d’acqua e Noè nell’arca che attende la colomba.

Le catacombe dei SS. Pietro e Marcellino si distinguono anche per le numerose rappresentazioni riguardanti i banchetti: uomini e donne sono sdraiati o seduti intorno a queste mense dalla forma di sigma lunato, con un tripode sormontato da grossi piatti con cibarie che compare in posizione centrale. I servitori si accingono a porgere le bevande all’interno di coppe. È questo il caso dell’arcosolio di Sabina, oppure di Irene e di Agape.

Il IV secolo avanza e, data l’elevata committenza, dai pittori viene ripreso un tema ispirato al mondo profano e molto caro all’arte cristiana: quello di Orfeo che suona e che canta, incantatore di animali e comparabile a Cristo il quale, con la sua parola, attrae le anime degli uomini. È allora che nasce l’arcosolio di Orfeo, la cui lunetta presenta proprio il cantore abbigliato alla maniera orientale, con il berretto partico, una tunica variopinta e chiusa con bottoni, tenuta ferma da una preziosa cintura. In una mano tiene la lira, mentre nell’altra stringe il plettro. 

 

Il cubicolo dei Santi Pietro e Marcellino

Il cubicolo dei martiri che danno il nome alle catacombe – Pietro, un esorcista, e Marcellino, un presbitero – detto “dei santi”, è databile al tardo IV – inizi del V secolo d.C. Essi sono presentati insieme ai SS. Tiburzio e Gorgonio, altri due martiri venerati nelle catacombe della via Labicana, mentre acclamano Cristo, abbigliato con una tunica porpora e con un codice aperto tra le mani. Ai suoi lati sono raffigurati i Principi degli Apostoli, Pietro e Paolo e, in asse con lo stesso Cristo, vi è la sua trasposizione zoomorfa, l’Agnus Dei, posto sul monte da cui sgorgano i quattro fiumi paradisiaci.

La monumentalizzazione dell’ambiente si deve a Papa Damaso (366-384), promotore del culto martiriale. Quella stessa cripta, già ricca in epoca antica, mutò in una piccola basilica in epoca altomedievale, cui si accedeva tramite un ampio scalone percorso dai numerosi pellegrini che lasciarono tracce del loro passaggio, incidendo nomi e invocazioni sulle pareti. Nel IX secolo, quando le spoglie dei martiri furono traslate, la piccola basilica cadde e non venne più utilizzata, così come gli edifici esterni.

Foto in anteprima e nel testo: Archivio Centro Astalli

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