di Vauro Senesi
Piemme, 2007

La trama
Kualid ha 10 o 11 anni, non lo sa con esattezza, vive sulle montagne sopra Kabul con il nonno e la mamma, in una casetta con i muri di fango. Nella sua vita c’è sempre stata la guerra, forse è per questo che la notte non riesce a sognare e sta sveglio per ore ad osservare la città dall’alto. Trascorre le giornate cercando di guadagnare qualche spicciolo da portare a casa, riempiendo con la pala le buche sulla strada per Jalalabad o aiutando il nonno a vendere abiti usati al mercato. Ma la sua vera passione è la bottega del bonario Babrak, un calligrafo, che gli insegna l’arte di mescolare i colori e lo fa diventare un “pittore”. Intanto la guerra arriva a Kabul, il nonno è morto, Babrak è fuggito, Kualid e la mamma, rimasti soli, cercano di sopravvivere.

Un brano
“Quando i due cugini, tornati a Kabul, si salutarono, stava già calando la sera e le nubi grigie sembravano assorbire il colore degli ultimi riflessi di un sole invisibile. Presto i muezzin avrebbero chiamato alla preghiera, poi la città si sarebbe spenta in una delle sue infinite notti di coprifuoco. Kualid si affrettava a imboccare il viottolo che portava a casa sua, poco sopra la città, a mezza costa, ai piedi della montagna. Si sentiva soddisfatto, e anche un po’ orgoglioso del bottino della giornata; oltre al cibo, lui e Said erano riusciti a rimediare anche qualche moneta, e non vedeva l’ora di consegnare tutto al nonno e alla madre” (p. 43-44).

L’autore
Vauro Senesi, nato a Pistoia nel 1955, è un giornalista e un vignettista. Le sue vignette satiriche sono state pubblicate da importanti giornali italiani ed esteri. Nel 1996 ha vinto il Premio di Satira politica di Forte dei Marmi. La presenza e l’impegno nelle zone di guerra prosegue grazie all’attuale collaborazione con la ong Emergency, per la quale si occupa di informazione e comunicazione. Inoltre è vignettista e inviato per peacereporter.net.

Per riflettere, per discutere
Sono 35 anni che l’Afghanistan è un paese dilaniato dalla guerra, dal 1979 al 1989 è stato invaso militarmente dall’Unione Sovietica; dal 1989 al 2001 ha vissuto prima la guerra civile tra i diversi gruppi di mujaheddin e poi tra i talebani, di origine pashtun, e i mujaheddin tagiki, uzbeki e hazari, uniti nell’Alleanza del Nord e guidati dal generale Massud. Dal 2001 è ancora in corso l’invasione da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna: “Ai ruderi semidistrutti che conosceva bene si erano aggiunte nuove macerie, e molte di quelle vecchie erano definitivamente crollate. Le distruzioni recenti si distinguevano da quelle che negli anni avevano trovato una sorta di stabilità a lui familiare. In genere erano enormi voragini che laceravano il terreno, creando ampi vuoti tra gli agglomerati di case. Ai bordi di quelle buche si accumulavano montagnole di detriti di ogni dimensione: blocchi grossi e minuscoli di fango secco che erano stati mura e pareti, stracci, brandelli di lamiera contorta, pezzi di legno bruciato, polvere” (p.183-184).

Dal 1996 i talebani hanno assunto il controllo del 90% del paese, imponendo un regime fortemente repressivo, basato su un’interpretazione estremista dell’Islam. Tutte le forme di spettacolo televisivo, immagini, musica e danza sono state bandite, indossare scarpe bianche (il colore della bandiera talebana) era illegale, così come portare la barba troppo corta o radersi del tutto. La condizione delle donne è fortemente regredita ed è stato imposto il burka. Per il reato di furto è stata reintrodotta l’amputazione di una o di entrambe le mani e la lapidazione per gli adulteri conclamati. Infine è stata istituita una polizia religiosa: “A un tratto il rombo prepotente di un pick-up annunciò l’arrivo di una pattuglia della polizia morale talebana. Era un corpo speciale, che aveva il preciso compito di assicurarsi che i precetti del Corano, o almeno l’interpretazione che i talebani ne davano, venissero rispettati alla lettera” (p.77).

L’Afghanistan è uno dei paesi più minati del mondo, dal 1979 ad oggi 400 mila afgani (per l’80% civili) sono rimasti uccisi o mutilati dalle mine: “Lo sai che non devi mai lasciare il sentiero battuto! Sulla costa della montagna ci sono mine e proiettili inesplosi, vuoi crepare? O restare mutilato? Quante volte te l’ho ripetuto? Spero che questo ti serva a ricordartelo meglio!” (p.50).

Per approfondire
Solo tra l’ottobre 2001 e il marzo 2002 le forze aeree Usa hanno sganciato sull’Afghanistan 250 mila cluster bomb. Le bombe a grappolo sono particolarmente pericolose perché circa il 20% degli ordigni non esplode e rimane sul terreno come una vera e propria mina antipersona. Simili a palline da tennis o a cilindri dai colori sgargianti suscitano curiosità e vengono facilmente raccolte. Il 30 maggio 2008 a Dublino è stato firmato uno storico trattato, dai rappresentanti di 109 nazioni, per la messa al bando di tali ordigni. I Paesi firmatari avranno otto anni di tempo per smettere di costruire, stoccare, commercializzare le bombe, e per distruggere gli arsenali. Nel documento si prevedono anche misure di assistenza per le vittime civili, che a migliaia ogni anno vengono ferite o uccise. Stati Uniti, Israele, Cina, Russia, India e Pakistan non hanno sottoscritto il documento (www.campagnamine.org).

Due giovani registe afgane Alka e Roya Sadat, di 21 e 25 anni, hanno girato il documentario 3,2,1…? per testimoniare la condizione di numerose donne, ricoverate in alcuni ospedali afgani, spesso giovanissime, che si danno fuoco per sfuggire alle continue violenze familiari. Sono donne a cui è stato imposto di sposare uomini anziani o che sono state vendute a famiglie dove diventano praticamente delle schiave.

Ricerca/Tesina: Le leggende afgane. Il nonno di Kualid narra la leggenda del drago di Chark; essendo la cultura afghana basata sulla tradizione orale, è particolarmente ricca di fiabe e di leggende che spesso hanno come temi dominanti l’acqua e la pietra, i due elementi che maggiormente distinguono anche le caratteristiche fisiche del paese.

Nei panni dei rifugiati: schede 1 e 5.