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- Scheda 5 – Torino delle religioni
Torino, fondata probabilmente dai Taurini, popolazione celto-ligure, nel III secolo a.C., ebbe un’importanza rilevante soprattutto nel XIX secolo e precisamente dal 1861 al 1865 quando divenne prima capitale del Regno d’Italia.
Oggi è uno dei maggiori poli industriali, artistici ed universitari. Molti sono i nomi illustri legati alla città piemontese: Primo Levi, Edmondo de Amicis, Emilio Salgari, Natalia Ginzburg. È alla fine del 1800 che Torino inizia a sviluppare una propensione multietnica, soprattutto nel quartiere San Salvario, dove oggi pulsa il cuore della multiculturalità.
Quattro passi nella storia
Il Tempio valdese
Nel luglio 1849 la congregazione evangelica di Torino, composta dagli stranieri residenti nella capitale, dai valdesi di antico o nuovo insediamento, dai neo convertiti torinesi e dai fuoriusciti politici provenienti dai vari stati preunitari, entrò a far parte dell’ordinamento della chiesa valdese ponendosi la questione di un luogo di culto adeguato alle esigenze.
È grazie al pastore Beckwith che nel 1850 vennero avviate le pratiche burocratiche per la costruzione del tempio in un terreno individuato lungo il viale del Re (oggi Corso Vittorio Emanuele): il tempio doveva essere un monumento della vita cristiana di valore artistico non inferiore agli edifici più grandiosi che si stavano costruendo nella capitale.
Il 26 ottobre 1851 venne posta la prima pietra mentre il 15 dicembre del 1853 il nuovo tempio fu inaugurato con una cerimonia solenne; cinque anni dopo si costruì anche la casa parrocchiale con una sala per le riunioni, l’ospedale, i locali scolastici e gli alloggi pastorali. Grazie alla contemporanea costruzione del quartiere San Salvario l’edificio, inizialmente collocato ai margini della città, veniva ora a trovarsi in uno dei quartieri più affollati di Torino costituendo un elemento di richiamo, apertura, dialogo e anche accoglienza di rilevanza cittadina.
Tempio Israelitico
Sulla stessa strada del tempio valdese, pochi anni dopo la sua inaugurazione, fu concesso il terreno per la costruzione della Sinagoga.
Dopo l’emancipazione del 1848 poi sanzionata nel 1857, la comunità ebraica uscì dal ghetto, aprendosi e mescolandosi alla popolazione torinese.
La decisione presa nel 1859 di costruire un tempio a Torino, dava un luogo di culto ufficiale alla comunità ebraica giocando un ruolo centrale nel suo riconoscimento cittadino, diventando così il simbolo della sua identità e coesione.
La comunità acquistò quindi l’area di via Cannon d’Oro (attuale via Montebello) ed il progetto fu affidato all’architetto Antonelli: l’edificio, oggi “Mole Antonelliana”, non divenne però mai una sinagoga (per gli eccessivi costi) e nel 1884 se ne inaugurò un’altra nello stesso quartiere del tempio valdese, nel quartiere San Salvario, in quella che oggi è la Piazzetta Primo Levi. La sinagoga di Torino venne concepita come un tempio sul modello delle chiese cristiane dell’epoca prendendo come riferimento la sinagoga di Lipsia, progettata nel 1855 da Otto Simonson, in uno stile moresco destinato ad aver fortuna in Italia come mostrano, tra gli altri, gli analoghi edifici di Vercelli e Firenze.
Moschea “Re Mohamed VI”
La prima costruzione da parte della comunità islamica presente a Torino risale alla fine degli anni settanta in via Berthollet 24. Tra i più importanti luoghi dell’islam da annoverare nel capoluogo piemontese c’è la sala di preghiera di corso Giulio Cesare 6. Il locale, nato nel 1996, può contenere circa 100-150 persone ed è formato da due sale rispettivamente per gli uomini e per le donne. Il venerdì, dalle 13:30, i musulmani si trovano insieme per la preghiera e la Khutba (il sermone) metà in italiano e metà in arabo. A volte, a causa dei grandi numeri, i fedeli sono costretti a riversarsi nel cortile, come accade durante il ramadan quando i passaggi aumentano al momento del tramonto.
Proprio per assecondare le richieste di un maggiore spazio congruo alle esigenze della comunità, è stato ideato il progetto di una moschea in Via Urbino 5 che sarebbe dovuta diventare il luogo di culto ufficiale del capoluogo piemontese. A sorpresa però il progetto di via Urbino è stato abbandonato e la nuova moschea è sorta in Via Genova 268 nei locali di un ex cinema al confine tra Torino ed il comune di Moncalieri.
Il nuovo edificio, di orientamento sunnita, è stato inaugurato il 6 Luglio del 2013 con il nome di “Re Mohamed VI”. La superficie interna è di 1100 m², di cui 800 dedicati alla sala di preghiera e 300 alla balconata per le donne. Il locale seminterrato è illuminato dai lucernai ricavati dal soffitto e gli arredi interni sono per la maggior parte doni di fedeli Torinesi. Le attività che si svolgono all’interno della moschea, oltre alle 5 preghiere giornaliere, sono corsi di italiano e di arabo per donne e bambini ed incontri di scambio culturale.
Basilica Cattedrale di San Giovanni Battista
Il Duomo di Torino ha una storia molto antica ed interessante che si intreccia con le vicende della Sindone.
Nel 2010 per l’ostensione di quest’ultima, portata a Torino nel 1578, venne visitato da circa un milione di pellegrini. La cattedrale, dedicata a san Giovanni Battista patrono di Torino, venne costruita tra il1491 e il 1498 e nel 1513 fu eretta da papa Leone X in sede metropolitana.
Le vicende più significative riguardanti la Reliquia sono: le prime ostensioni, tra fine Cinquecento e Seicento, il trasferimento a Genova nel 1706, la prima fotografia nel 1898, il ritorno nel 1946 dopo lo sfollamento durante la guerra, la prima ripresa televisiva nel 1973, l’incendio del 1997 in un’ala del confinante Palazzo Reale e nella cupola di Guarini. Fino al 1997 il telo venne conservato arrotolato su un cilindro di legno dentro una cassetta d’argento, mentre oggi è riposto disteso all’interno di un contenitore realizzato con moderne tecnologie da cui è stato estratto, l’ultima volta, dal 18 Aprile al 24 Giugno nel 2015 per l’ostensione.
Chiesa della Gran madre di Dio
La chiesa della Gran Madre di Dio è uno dei più importanti luoghi di culto cattolici di Torino. Sita nella piazza omonima, è la chiesa principale di Borgo Po. Fu costruita per festeggiare il ritorno del Re Vittorio Emanuele I (20 Maggio 1814) dopo la sconfitta di Napoleone.
L’architettura della chiesa riprende quella del Pantheon romano; il tempio infatti si trova rialzato rispetto alla piazza dove sorge e per raggiungerlo si deve salire una scalinata al termine della quale ci si trova su un ampio sagrato. Ai piedi della scalinata sorge una statua dedicata a Vittorio Emanuele I di Savoia.
Ai lati della scalinata, su un basamento, sono presenti due statue rappresentanti la Fede e la Religione. Secondo gli esoteristi della “Torino magica” tra le due statue sarebbe sepolto il Sacro Graal.
Altri luoghi di culto presenti nel territorio piemontese:
Gurdwara Singh Sabha
Il Tempio Sikh di Marene (CN) nasce ne 2010 per dare un luogo di culto a tutti i sikh presenti nel Piemonte che da diversi anni lavorano nel territorio circostante.
L’edificio si trova in una via un po’ periferica rispetto al centro del piccolo comune piemontese ed è sorto nel luogo dove precedentemente c’era un night club. L’iniziativa di costruire un tempio a Marene, dove non si riscontra una presenza sikh, è da attribuire al vicesindaco di Orbassano, città dove Sonia Gandhi ha trascorso la sua infanzia.
Tra gli scopi primari dell’associazione rientrano l’integrazione, il sostegno e l’insegnamento della cultura e della lingua italiana alla comunità sikh della zona di Marene e del torinese. Il centro è aperto comunque a persone di qualsiasi cultura e religione, l’associazione infatti nasce con l’intento di creare una rete tra le persone in modo che possano sentirsi meno sole e isolate.
Centro Spirituale di Pace Haidakhandi
Il Centro Spirituale di Pace Haidakhandi è un’associazione fondata nel 1989 come luogo di ritiro e vita comunitaria con sede a Villa S. Secondo (AT).
Dal 1989 ad oggi il centro ha subito diverse variazioni dovute soprattuto alla crescita dei frequentatori.
Qui si possono praticare gli insegnamenti di Sri Babaji di Herakhan, l’Avatar di Shiva, descritto nel famoso “Autobiografia di uno Yoghi” di Paramahansa Yogananda. La disciplina spirituale da lui promossa si basa sul “Karma Yoga” (Lavoro dedicato al progresso dell’umanità), concetto molto simile a quello espresso dal motto “prega e lavora”.
Letture
Renzo Sicco, Cieli su Torino, Voglino Editrice, 2021
Laura Mancinelli, Attentato alla Sindone, Einaudi 2000
L’attentato si riferisce alle recenti sventure della reliquia, l’incendio della cappella in cui era o doveva essere custodita e alla conseguente distruzione della bellissima cupola del Guarini. Tentativo di furto della Sindone? Volontà perversa di far scomparire per sempre un’opera d’arte di incomparabile valore? O l’azione vandalica di qualche balordo? Per rispondere a queste domande Carmine, docente di storia delle religioni, e Priscilla, una giovane germanista, si improvvisano investigatori. Un romanzo intessuto di una bonaria ironia che stempera l’orrore del labirinto sotterraneo della Torino infera e sfocia con ovvia naturalezza in una cena nelle Langhe con divagazioni sui tartufi bianchi e neri.
Sapori
Supa Barbetta
Il piatto sicuramente più noto della cucina valdese è la cosidetta Supa Barbetta, una zuppa a base di pane raffermo, brodo di carne, formaggio e spezie. Un tempo era preparata soprattutto nei giorni di festa, nelle ricorrenze e nei momenti in cui le famiglie si ritrovavano per lavorare insieme nei campi. In origine la supa era confezionata esclusivamente con pane raffermo ma a partire dalla seconda metà dell’Ottocento le famiglie più benestanti, in occasione delle feste o di ricorrenze speciali, cominciarono a sostituirlo con i grissini che andavano appositamente a prendere con il calesse a Torino; questo uso si è pian piano diffuso in tutte le famiglie e ora la supa si confeziona quasi esclusivamente con i grissini e l’uso delle basine è stato soppiantato dal “foujot” di terracotta.
Ingredienti (per 8 persone)
1/2 kg di grissini o pane raffermo
200 g di burro
600 g di toma fresca (formaggio)
1 gallina
500 g di carne di maiale
ossa di maiale sotto sale
4 carote
2 gambi di sedano
1 porro
alloro
salvia
rosmarino
serpillo
spezie miste (chiodi di garofano, noce moscata, cannella, pepe)
2 foglie di cavolo verza
sale
Lavorazione
Tempo di cottura: 130 minuti + preparazione del brodo
Per la cottura tradizionale si usano le “basine” in rame, si ricopre il fondo di una basina con le foglie di cavolo, si forma uno strato con i grissini e il pane raffermo, quindi si ricopre con un pugno di toma fresca tagliata a piccoli dadi, qualche fiocco di burro e un pizzico di spezie; si ricopre il tutto con un altro strato di pane e grissini e tutti gli altri ingredienti e si procede nello stesso modo fino ad arrivare fino al bordo della basina. A parte sarà preparato un brodo utilizzando la gallina, le ossa del maiale che tradizionalmente vengono messe in salamoia e conservate per tutto l’inverno per insaporire le varie minestre, la carne del maiale,
le carote, le cipolle, i sedani i porri e le erbe aromatiche. Con il brodo ben sgrassato, si ricopre tutta la preparazione e si mette a cuocere per 130 minuti sulle braci del camino oppure sul fuoco della stufa tenendolo abbastanza basso. La tradizione vuole che la supa non debba essere mai rimestata, ma che debba essere capovolta di volta in volta in un’altra basina e che a fine cottura i grissini e il pane si presentino integri. Prima di portare a tavola la supa, si prepara in una padella del burro al quale si aggiungono nel momento in cui spumeggia due cucchiai di spezie intere; si lascia insaporire un pò e quindi si versa sopra il tutto. In origine la supa era confezionata esclusivamente con pane raffermo ma a partire dalla seconda metà dell’Ottocento le famiglie più benestanti, in occasione delle feste o di ricorrenze speciali, cominciarono a sostituirlo con i grissini che andavano appositamente a prendere con il calesse a Torino; questo uso si è pian piano diffuso in tutte le famiglie e ora la supa si confeziona quasi esclusivamente con i grissini e l’uso delle basine è stato soppiantato dal “foujot” di terracotta anche perché è quasi impossibile cuocere ancora sulle braci del camino.
Foto in anteprima: Archivio Centro Astalli
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