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- Scheda 7 – Istanbul delle religioni
Istanbul, il cui nome ufficiale fino al 1923 era Costantinopoli, ma prima ancora era anche chiamata Bisanzio, è stata la capitale dell’Impero romano, dell’Impero bizantino, dell’Impero latino e dell’Impero ottomano.
Conosciuta anche con l’appellativo di “seconda Roma“, è stata fino alla conquista ottomana nel 1453 una tra le più grandi città della cristianità, divenendo in seguito per quasi cinquecento anni la capitale di uno dei più grandi imperi della storia e crocevia di culture.
Sin dal 1985 le aree storiche di Istanbul fanno parte della lista UNESCO dei patrimoni dell’umanità e nel 2010 Istanbul è stata una delle capitali europee della cultura
La quasi totalità della popolazione di Istanbul è di fede musulmana, ma la città è anche abitata da diverse comunità religiose, retaggio del suo passato ottomano. Le minoranze includono: i greco – ortodossi, gli Armeno – ortodossi, i Siro-Caldei, i cattolici – levantini e gli ebrei sefarditi.
Secondo il censimento del 2000, a Istanbul sono attive 2691 moschee,123 chiese, 26 sinagoghe, 109 cimiteri islamici e 57 cimiteri non islamici.
Sino alla seconda metà del ventesimo secolo ogni minoranza si concentrava in uno o più quartieri; per esempio, Kumpaki era abitato da molti armeni (ed è ancora sede del Patriarcato Armeno), Balat aveva una notevole popolazione ebraica, a Fener e Samathia vi erano molti greci, mentre i Levantini si concentravano a Nisantasi e Beyoğlu. In alcuni quartieri, come a Kuzguncuk, risulta subito evidente la natura multi religiosa della città. Sono presenti infatti una chiesa armena accanto a una sinagoga e dall’altra parte della strada una chiesa Greco – ortodossa è di fianco a una moschea.
La sede del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è localizzata nel distretto di Fener (in greco Phanar).
Istanbul è anche sede dell’arcivescovado della comunità turco-ortodossa, del Patriarcato Armeno e del Gran Rabbinato di Turchia. Numerosi altri siti riflettono il passaggio di antiche comunità, in particolare: Arnavutköy (villaggio albanese), Polonezköy (frazione polacca) e Yenibosna (Nuova Bosnia).
Quattro passi nella storia
La Moschea Blu
La Sultanahmet camii, meglio conosciuta come Moschea Blu, è una delle più importanti moschee di Istanbul. Fu la prima moschea imperiale costruita ad Istanbul, su volere del sultano Ahmet I, dopo la moschea di Solimano, eretta quarant’anni prima. La costruzione della moschea iniziò nel 1609 e la cerimonia di apertura avvenne nel 1617.
Il suo nome deriva dalle 21.043 piastrelle di ceramica turchese inserite nelle pareti e nella cupola. Anche le colonne e gli archi sono ricoperti dalle maioliche di İznik (l’antica Nicea), decorato in toni che vanno dal blu al verde.
Rischiarate dalla luce che filtra da 260 finestrelle, conferiscono alla grande sala della preghiera un’atmosfera suggestiva quanto surreale.
La Moschea Blu, è anche l’unica a poter vantare ben sei minareti, superata in questo solo dalla moschea della Ka’ba, alla Mecca, che ne ha sette.
La basilica di Santa Sofia
La basilica di Santa Sofia è uno dei principali monumenti di Istanbul. Fu cattedrale cristiana di rito bizantino fino al 1453 e sede patriarcale greco-ortodossa, cattedrale cattolica (1204-1261), poi moschea, infine museo dal 1935.
Nota per la sua gigantesca cupola, apice dell’architettura bizantina, fu terminata nel 537, ma ebbe varie fasi di costruzione. Sembra che la prima chiesa fosse stata fatta erigere da Costantino stesso; l’edificio fu progettato come una tradizionale basilica latina con colonnato e gallerie, dotata di un tetto in legno. A causa di vari incendi e terremoti la chiesa subì notevoli danni e venne fatta ristrutturare varie volte.
Durante l’occupazione latina di Costantinopoli (1204-1261) divenne una cattedrale cattolica romana.
Dopo la riconquista della città da parte dei Bizantini nel 1261, la chiesa si trovava in uno stato fatiscente. Nel 1317, l’imperatore Andronico II ordinò la costruzione di quattro nuovi contrafforti.
Nel 1453 il Sultano Maometto II assediò Costantinopoli e ordinò che essa venisse immediatamente trasformata in una moschea. Dunque, subito dopo la conquista di Costantinopoli, la Basilica di Santa Sofia fu convertita nella moschea di Aya Sofya. Il sultano ne ordinò la pulizia e la riqualificazione, aggiungendo i minareti e intonacando i mosaici parietali che durante i vari restauri successivi vennero scoperti e ricoperti. Alle colonne vennero appesi quattro giganteschi medaglioni circolari, opera del calligrafo Kazasker Mustafa İzzed Effendi (1801-1877). Essi riportano i nomi di Allah, del profeta Maometto, dei primi quattro califfi (Abu Bakr, Umar, Uthman e Ali) e dei due nipoti di Maometto: Hassan e Hussein.
Nel 1935, il primo presidente turco e fondatore della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, trasformò l’edificio in un museo. I tappeti vennero rimossi e le decorazioni del pavimento di marmo riapparvero per la prima volta dopo secoli, mentre l’intonaco bianco che copriva molti dei mosaici fu rimosso. Tuttavia, le condizioni della struttura erano deteriorate per cui occorsero vari anni per la riapertura.
Oggi l’uso del complesso come luogo di culto (moschea o chiesa) è severamente proibito. Tuttavia, nel 2006, subito prima della visita del Papa Benedetto XVI, è stato segnalato che il governo turco ha permesso di destinare una piccola stanza del complesso museale per essere utilizzata come sala di preghiera da chiunque lo voglia.
Dal 2010, diverse associazioni islamiche e membri del governo turco hanno richiesto con crescente insistenza la riapertura di Hagia Sophia al culto islamico. Nel 2020, viene riconvertita in Moschea in alcuni orari del giorno.
La cattedrale di San Giorgio
La cattedrale di San Giorgio si trova nel quartiere di Fener a Istanbul, in Turchia, ed è sede del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
La chiesa, precedentemente parte di un monastero ortodosso, nell’anno 1600 venne elevata a cattedrale dal Patriarca di Costantinopoli Matteo II (1596-1603), che ordinò il trasferimento della sede del Patriarcato ecumenico nella chiesa di San Giorgio, nel quartiere di Fener, centro della vita greco-ortodossa di Istanbul. L’edificio fu modificato più volte nel corso degli anni.
L’ultima ricostruzione principale fu intrapresa dal Patriarca Gioacchino III (1878-1912).
La chiesa venne nuovamente danneggiata da un incendio nel 1941 ma, per motivi politici, non fu pienamente restaurata fino al 1991. I suoi oggetti più preziosi vennero salvati dalle fiamme. Il 3 dicembre del 1997 un attentato dinamitardo ha ferito gravemente un diacono e danneggiato l’edificio.
Dopo la caduta dell’impero ottomano e l’ascesa della repubblica turca, la maggior parte della popolazione greco-ortodossa di Istanbul emigrò, ma ancora oggi la cattedrale di San Giorgio ha un ruolo simbolico come centro del Patriarcato ecumenico e come meta di pellegrinaggio per i cristiani ortodossi.
L’esterno della chiesa, con facciata di influenza neoclassica, appare piuttosto modesto, ma l’interno è riccamente decorato con icone e mosaici della tipica tradizione bizantina.
Nella chiesa sono inoltre custodite preziose reliquie, tra cui un frammento di una delle colonne della flagellazione di Cristo, oltre a quelle di Sant’Andrea apostolo, considerato il primo vescovo della città.
Gli ebrei di Istanbul e le sinagoghe
Gli ebrei – stanziati nel quartiere di Balat – vivevano nella città già durante il periodo bizantino, e furono gli unici abitanti a cui fu permesso di rimanere a Istanbul dopo la conquista. Gli ebrei sefarditi hanno vissuto nella città per oltre 500 anni. Essi lasciarono la penisola iberica durante l’inquisizione spagnola del 1492, quando dopo la caduta del Regno moresco di Andalusia furono costretti a convertirsi al cristianesimo oppure morire. Il sultano ottomano Bayezid II (1481 – 1512) inviò una flotta di notevoli dimensioni comandata da Kemal Reis con l’ordine di salvare gli ebrei sefarditi. Più di 200.000 ebrei si diressero prima verso Tangeri, l’Algeria, Genova e Marsiglia, per poi proseguire verso Salonicco e infine stabilirsi a Istanbul.
Il sultano diede la possibilità di rifugiarsi nell’Impero ottomano a più di 93.000 ebrei spagnoli.
Più di 20.000 ebrei sefarditi vivono ancora a Istanbul, molte sinagoghe sono attive, di queste la più importante è la Neve Shalom inaugurata nel 1951 nel quartiere Beyoğlu.
Un’altra grande ondata di ebrei arrivò dal Sud Italia. La Sicilia era sotto diretto controllo spagnolo e gli ebrei che vivevano in quella regione furono sottoposti alle stesse leggi della Spagna
Negli anni successivi gli ebrei vennero espulsi da tutto il meridione italiano e molti di questi si diressero a Istanbul.
La sinagoga italiana di Galata è frequentata dai discendenti di questi ebrei italiani. Vennero fondate delle sinagoghe che riportavano i nomi delle zone o delle città da cui gli ebrei italiani vennero cacciati, come Sicilia, Calabria, Otranto.
La sinagoga Kal de los Frankos, è una sinagoga che si trova a nord del Corno d’oro a Istanbul. La sinagoga fu creata dalla comunità israelitico-italiana di Istanbul nel 1800. Nel 1931 l’edificio originario fu demolito per essere sostituito da una nuova sinagoga.
Accanto agli ebrei sefarditi esiste anche una comunità più piccola di ashkenaziti che vive in città dal XIX secolo. La città ne accolse molti provenienti dal centro ed est Europa, quando furono perseguitati dai nazisti tra il 1930 e il 1945.
Letture
Ayse Kulin, Le quattro donne di Istanbul, Newton Compton Editori, 2018
Dopo l’ascesa al potere di Hitler, Gerhard Schliemann, la moglie Elsa e i loro due figli, Peter e Susy, abbandonano la Germania per sfuggire alle persecuzioni naziste. Si rifugiano dapprima a Zurigo e poi, quando Gerhard riceve un’offerta dal Dipartimento di Medicina dell’Università di Istanbul, in Turchia. Mentre Susy e Gerhard sono affascinati dalla cultura turca e provano a integrarsi, Elsa e Peter sono invece fortemente ancorati alle origini tedesche. Nella città musulmana le nuove usanze avranno impatti fortissimi sulle loro vite, fino a ridisegnare i loro concetti di patria e appartenenza. In questa potente saga familiare, la Kulin racconta le sfide e le difficoltà di una vita in esilio, le ardue scelte di chi è costretto ad abbracciare un futuro incerto con una valigia piena di speranze. Un romanzo evocativo e commovente al tempo stesso, su un episodio poco noto, scritto con sapiente maestria dall’autrice più influente della letteratura turca.
Corrado Augias, I segreti di Istanbul. Storie, luoghi e leggende di una capitale, Einaudi, 2016
Protagonista è una città eterna, prodigiosa, una città incarnata nelle sue stesse rovine. A comporne la trama sono le storie degli uomini e delle donne che l’hanno fondata, vissuta, abbandonata: storie piccole e insieme grandissime; a tenerle insieme sono le parole di un autore capace, come raramente accade, di fondere in un unico sguardo sapere e meraviglia. Per secoli Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul, è stata una meta ricercata, talvolta fraintesa, altre volte amata, sempre guardata con stupore già dalla prima apparizione del suo straordinario profilo contro il cielo d’Oriente. Come il particolare profumo della città, i suoni, i richiami dei marinai, le luci riflesse sono – e non sono – le stesse di un porto del nostro continente. A renderli diversi è quella sensazione indefinita, quel contorno avvolgente, che una volta si chiamava “esotismo” e che ancora sopravvive.
Alessandro Barbero, Il divano di Istanbul, Sellerio Editore Palermo, 2015
Tra il Trecento e il Novecento gli ottomani edificarono un enorme impero incastrato tra Occidente e Oriente, con il chiaro proposito di unire l’Asia e l’Europa. I suoi sultani si credevano i successori di Costantino il Grande e nutrivano il sogno di conquistare la “Mela rossa”, cioè Roma probabilmente. La storia dei turchi, a noi sempre presente e insieme misteriosa perché sostanzialmente è stata storia dell’altro, racconta di un’orda venuta dalle steppe asiatiche, che si distende rapidamente nello spazio prima occupato dall’impero d’Oriente, che domina per secoli il Mar Mediterraneo e regna in pace interna su religioni e popoli diversi, protetti e spesso favoriti da un sistema di governo che rivaleggiò fino al Settecento con quello occidentale, apparendo a molti una preferibile alternativa ma è anche parte della contesa eterna tra popoli stanziali e nomadi.
Shafak Elif, La bastarda di Istanbul, Rizzoli, 2009
Istanbul non è una città, è una grande nave. Una nave dalla rotta incerta su cui da secoli si alternano passeggeri di ogni provenienza, colore, religione. Lo scopre Armanoush, giovane americana in cerca nelle proprie radici armene in Turchia. E lo sa bene chi a Istanbul ci vive, come Asya, diciannove anni, una grande e colorata famiglia di donne alle spalle, e un vuoto al posto del padre. Quando Asya e Armanoush si conoscono, il loro è l’incontro di due mondi che la storia ha visto scontrarsi con esiti terribili: la ragazza turca e la ragazza armena diventano amiche, scoprono insieme il segreto che lega il passato delle loro famiglie e fanno i conti con la storia comune dei loro popoli.
Sapori
Baklava
Il baklava è un dolce dalla storia molto antica, la cui ricetta si è perfezionata nei secoli con il contributo di popoli diversi. Secondo alcune ipotesi l’origine è situata in epoca assira (VIII secolo a.C.). A questo periodo, infatti, risale un libro di cucina sui piatti a base di noce che contiene la la ricetta di un piatto molto simile al baklava: un dolce che univa sottili strati di pasta con una farcitura di noci tritate e miele, il tutto cotto al forno. I greci, durante i loro viaggi in mare, entrarono in contatto con questo dolce, sostituendo però la rigida pasta originale con la loro pasta “phyllo” più friabile e sottile. La ricetta è stata poi perfezionata nei secoli dai romani e dai bizantini, fino a raggiungere la sua versione definitiva nelle cucine dell’impero Ottomano. Per via della sua complessità e raffinatezza, il piatto è sempre stato un’esclusiva di nobili e famiglie ricche, ma dalla seconda metà dell’800 si è diffuso anche a livello popolare in Turchia e nel bacino del Mediterraneo orientale.
Ingredienti
Per la base
250 g di farina 00
2 uova
60 g di yogurt
125 g di burro
250 g di granella di pistacchi
100 ml di acqua
Per lo sciroppo
300 g di zucchero
35 ml di succo di limone
4 cucchiai da tavola di miele
200 ml di acqua
Lavorazione
Mettete la farina, le uova, lo yogurt, l’acqua ed il burro fuso in una planetaria ed impastate per qualche minuto. Se l’impasto dovesse risultare troppo molle aggiungete qualche cucchiaio di farina.
Formate un panetto e riponetelo in frigorifero per almeno 2 ore. Foderate una teglia con carta forno, riprendete l’impasto dal frigorifero e, tagliando delle fette, tirate con il mattarello delle sfoglie abbastanza sottili (5mm), la prima sfoglia deve essere più larga perché deve servire per “chiudere” la torta. Mettete la prima sfoglia sul fondo della teglia facendola strabordare, copritela con parte del mix di frutta secca. Tirate un altro pezzo di sfoglia (più piccola) e sovrapponetela sulla farcitura e così via fino a finire tutti gli ingredienti. Terminate con uno strato di sfoglia, spennellate con un po’ di burro fuso e ripiegate la prima sfoglia; tagliate il tutto in piccoli rombi. Cuocete in forno già caldo a 170°C per 45 minuti. Per lo sciroppo mescolate lo zucchero, l’acqua, il limone ed il miele in una casseruola e portate ad ebollizione per circa 5 minuti. Quando la baklava è pronta cospargetela con lo sciroppo.
Foto in anteprima: Pexels/fotovegraf ad uso gratuito
Il materiale didattico del Centro Astalli per l'assistenza agli immigrati ODV è disponibile esclusivamente per finalità educative, di ricerca o studio privato. I contenuti provenienti dal sito internet www.centroastalli.it devono essere accompagnati dalla citazione della fonte, tramite l’indirizzo web (URL) del testo.(2024)