GEOGRAFIA

L’Ucraina confina con la Bielorussia a nord, la Russia a est, il Mar d’Azov e il Mar Nero a sud, Moldova e Romania a sud-ovest e Ungheria, Slovacchia e Polonia a ovest. Nell’estremo sud-est, l’Ucraina è separata dalla Russia dallo stretto di Kerch, che collega il Mar d’Azov al Mar Nero. Il paese è costituito quasi interamente da pianure, con un’altitudine media di 175 metri sul livello del mare, interrotte saltuariamente da altopiani, che si estendono in una cintura continua da nord-ovest a sud-est. Le aree montuose come i Carpazi ucraini e le montagne della Crimea si trovano solo ai confini del paese e rappresentano appena il 5% della sua area.

L’Ucraina si trova in una zona climatica temperata, influenzata dall’aria moderatamente calda e umida proveniente dall’Oceano Atlantico. Gli inverni a ovest sono notevolmente più miti di quelli a est. In estate, invece, l’est è spesso caratterizzato da temperature più elevate rispetto all’ovest.

ECONOMIA

Ai tempi dell’Unione Sovietica, quella ucraina era l’economia più forte dopo la Russia: infatti, pur ricevendo una bassa percentuale dei fondi di investimento dall’Unione Sovietica, era in grado di produrre la quota maggiore della produzione totale nel settore industriale (17%) e nel settore agricolo (21%).

Conosciuta come il “Cesto del pane d’Europa” per via del suo fertile suolo nero, la produzione agricola dell’Ucraina è molto sviluppata. La sua produzione di cereali e patate è tra le più alte d’Europa ed è tra i maggiori produttori mondiali di barbabietola da zucchero e olio di girasole. Il settore zootecnico ucraino è in ritardo rispetto al settore delle colture, ma la sua produzione totale è ancora considerevolmente maggiore di quella della maggior parte degli altri paesi europei.

Il panorama economico dell’Ucraina ha subito vari rallentamenti nel corso del tempo, a cominciare dal disastro atomico di Chernobyl nel 1986 e dal periodo di estrema inflazione valutaria attraversato negli anni ’90, post scioglimento dell’URSS. In seguito vi sono state l’annessione illegale della penisola di Crimea da parte della Russia nel 2014, con conseguente destabilizzazione della regione orientale del Donbas, fino ad arrivare al devastante attacco russo del febbraio 2022, eventi che hanno continuato a danneggiare l’economia ucraina, fortemente dipendente dalla produzione di grano e dalle esportazioni di prodotti industriali ed energetici.

Prima dell’invasione su vasta scala della Russia nel febbraio 2022, in particolare, il settore agricolo ucraino rappresentava l’11% del PIL del paese, quasi il 20% della sua forza lavoro e quasi il 40% delle esportazioni totali, essendo l’Ucraina il quinto esportatore mondiale di grano, quarto esportatore di mais e terzo esportatore di colza. Secondo un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO),i prezzi alimentari globali sono aumentati del 12,6% durante circa il primo mese di guerra, un chiaro indicatore dello status dell’Ucraina come granaio globale.  Ad oggi invece, l’indice dei prezzi alimentari ha registrato una media di 121,4 punti ad agosto 2023, con un netto calo del 24% rispetto al marzo precedente. Il calo riflette la diminuzione degli indici dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari, degli oli vegetali, della carne e dei cereali, mentre l’indice dei prezzi dello zucchero è aumentato moderatamente.

La crisi tra Russia e Ucraina ha non soltanto contribuito all’insicurezza alimentare in tutto il mondo ma ha altresì comportato problemi cruciali per la fornitura di gas. Difatti, prima dell’invasione russa, circa il 36% del gas importato dall’UE proveniva da Mosca. L’Italia era il paese che più faceva ricorso al gas naturale (42,5%), insieme a Germania (26%) e Francia (17%). Negli ultimi anni l’Ue ha cercato in più modi di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento di gas, aumentando l’import di gas naturale liquefatto (GNL). Nonostante questo, la dipendenza dal gas russo ha radici ben più profonde poiché è molto più rapido ed economico trasportare gas via tubo da Mosca. Il tentativo di affrancarsi gradualmente dal gas russo ha incontrato non pochi ostacoli a causa del calo di produzione in Norvegia, dei problemi di produzione in Algeria e dell’instabilità politica in Libia, fattori che hanno incrementato enormemente la dipendenza europea da Mosca nell’ultimo decennio. A causa della fornitura di armi da parte dell’Occidente alle forze ucraine, il rifornimento di gas russo in Europa è crollato del 73%, causando un importante aumento dei prezzi sui mercati energetici a livello globale. Per far fronte a questa difficile situazione, i paesi occidentali stanno cercando nuovi partner energetici.

INDICI DI SVILUPPO DEMOGRAFICO

CONTESTO STORICO

La presidenza di Victor Janukovyč e le manifestazioni “Euro Maidan” (2010 – 2014):

Alle elezioni presidenziali tenutesi il 17 gennaio 2010 erano candidati Victor Juščenko, filo-occidentale, Victor Janukovyč, filo-russo, e Julija Tymošenko; la vittoria fu ottenuta da Janukovyč al successivo ballottaggio del 7 febbraio con il 48,95% dei voti, un vantaggio di poco rispetto al 45,47% di Tymošenko. Come presidente, Janukovyč non tardò a dimostrare le sue tendenze filo-russe; nell’aprile 2010, infatti, a seguito di un acceso dibattito parlamentare, raggiunse un accordo con il presidente russo Dmitry Medvedev per il prolungamento dell’affitto russo del porto di Sebastopoli, la base della flotta russa del Mar Nero, fino al 2042. In cambio, l’Ucraina avrebbe ricevuto una riduzione del prezzo del gas naturale russo.

La relazione tra Russia e Ucraina subì un ulteriore miglioramento nel giugno 2010, quando il presidente Janukovyč annunciò che il paese avrebbe abbandonato il suo obiettivo di entrare a far parte della NATO, opzione a cui la Russia si opponeva duramente. Nel 2011 l’oppositrice Tymošenko, che aveva sostenuto l’illiceità del ballottaggio presidenziale a seguito del quale era risultata perdente, fu accusata di abuso di potere e condannata a sette anni di carcere. L’anno successivo una sorte simile toccò al ministro degli interni Yuri Lutsenko, il quale ricevette una condanna a quattro anni per le stesse accuse; l’opinione internazionale fu critica riguardo ad entrambe le sentenze, definendole come “politicamente derivate”. I leader dell’UE cominciarono ad esprimere preoccupazione per il mantenimento dello Stato di diritto in Ucraina.

Nell’aprile 2013, il presidente Janukovyč ordinò il rilascio di Lutsenko in previsione della firma di un accordo di associazione con l’Unione Europea, il quale avrebbe aperto la strada ad un’assistenza economica sostanziale dell’UE e ad altri vantaggi, come l’esenzione dal visto per l’Europa per i cittadini ucraini, ed avrebbe anche imposto il rispetto delle disposizioni in materia di trasparenza e responsabilità. Tuttavia, pochi giorni prima della firma del trattato prevista nel novembre 2013, Janukovyč, sotto la forte pressione proveniente dalla Russia, decise di ritirarsi dall’accordo, proponendo invece la formazione di un organismo tripartito comprendente Ucraina, UE e Russia per affrontare le questioni relative al commercio e allo sviluppo.

Questa decisione innescò una lotta tra i leader dell’UE e scatenò un’ondata di proteste popolari passate alla storia con il nome di “Euro Maidan”, Euro” poichè guidata dagli europeisti, e “Maidan”, che significa “Piazza” in lingua ucraina. Leader di tali manifestazioni, scoppiate nelle strade di Kiev, furono Lutsenko, ex primo ministro, e Klitschko, sindaco della capitale ucraina. Le proteste si protrassero nei mesi successivi, subendo una svolta violenta nel gennaio 2014; a seguito di alcune leggi atte a limitare la libertà di manifestare, promulgate dal Presidente, gli scontri tra manifestanti e polizia si fecero più aspri. La folla venne repressa e spinta violentemente verso Maidan Nezalezhnosti (“Piazza dell’Indipendenza”) a Kiev, con conseguente reazione dei manifestanti che decisero di occupare il municipio della capitale, chiedendo le dimissioni di Yanukovich. I motiraggiunsero un tragico picco a fine febbraio 2014, quando 84 manifestanti morirono sotto i colpi dei cecchini. Il bilancio totale fu di 103 morti tra i manifestanti e 13 tra i poliziotti.

La settimana più sanguinosa nella storia post-sovietica dell’Ucraina si concluse il 21 febbraio 2014 con un accordo tra Yanukovich e i leader dell’opposizione (con mediazione dell’UE), che prevedeva elezioni anticipate e la formazione di un governo di unità provvisoria. Il parlamento approvò in modo schiacciante il ripristino della costituzione del 2004, riducendo così il potere della presidenza. Ai manifestanti fu concessa la piena amnistia.

Il 22 febbraio 2014, Janukovyč fu rimosso definitivamente dall’incarico di presidente da una maggioranza di 328 membri del Consiglio supremo dell’Ucraina; questa decisione, insieme all’accusa di omicidio di massa per i fatti di piazza Nezalezhnosti, lo spinsero alla fuga. Nel gennaio 2019 fu, inoltre, condannato da un tribunale distrettuale di Kiev per tradimento e condannato a 13 anni di carcere.

L’invasione russa della Crimea e l’annessione del Donbass alla Federazione Russa (2014)

Focus Crimea: La Crimea era nel 2014 una Repubblica autonoma (a forte maggioranza russa) all’interno dell’Ucraina. Una situazione che si era creata negli anni ’50, quando fu deciso di spostare il controllo amministrativo della penisola dalla Russia all’Ucraina stessa. All’interno dell’Unione Sovietica, questa scelta venne giustificata in termini di efficienza amministrativa. La penisola era separata dalla Russia dallo Stretto di Kerch (oggi c’è il grande Ponte di Crimea), mentre è legata al territorio ucraino attraverso l’istmo di Perekop, dove peraltro passano acquedotti e linee elettriche.

In seguito alla fuga di Janukovyč in Russia, a capo del governo ucraino fu nominato ad interim il filo-europeo Arseniy Yatsenyuk, carica ricoperta dal 27 Febbraio 2014 al 14 Aprile 2016. Il presidente russo Putin interpretò i fatti tumultuosi di Kiev come un “pericoloso” avvicinamento all’occidente e li descrisse come «un colpo di stato incostituzionale e una presa del potere militare», preoccupazioni che non tardarono a mutarsi in azione; infatti la Russia, con un’operazione di maskirovka (guerra sotto copertura), il 27 febbraio 2014 invase la Crimea. Centinaia di soldati delle forze speciali russe entrarono nella penisola prendendo possesso, progressivamente, degli aeroporti e degli edifici governativi; gli stessi soldati, tuttavia, non sfoggiavano stendardi o particolari segni di riconoscimento, e venivano chiamati dalla popolazione locale “I piccoli uomini verdi”. Il motivo di tale copertura risiedeva nella volontà propagandistica del presidente russo di negare l’operazione militare in corso, dipingendola come l’azione di singoli membri di gruppi di autodifesa autoctona che avevano l’intenzione di reagire al “colpo di stato” di Kiev per proteggere la propria terra. Grazie alla peculiare organizzazione e alla prontezza d’azione, all’inizio del mese di marzo la penisola era completamente sotto il controllo russo.

Il 6 marzo, di conseguenza, il parlamento della Crimea effettuò una votazione per la secessione dall’Ucraina e l’adesione alla Federazione Russa, prevedendo un referendum pubblico sulla questione per il 16 marzo 2014, il quale si concluse con uno schiacciante 97% a favore dell’adesione alla Russia. La reazione dell’Ucraina e dell’Occidente al risultato fu di condanna alle numerose irregolarità riscontrate nel processo di voto, inclusa la presenza di uomini armati ai seggi elettorali; vi seguirono pesanti reazioni da parte, in particolare, degli Stati Uniti, che imposero il congelamento dei beni e il divieto di viaggio a numerosi funzionari russi e membri del parlamento della Crimea.

Contestualmente alla crisi in Crimea, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2014 nei distretti di Luhansk e di Donetsk della regione orientale del Donbass si animarono violente proteste dall’intento separatista, capitanate da cittadini filo-russi, i quali millantavano l’indipendenza della propria regione dall’Ucraina. Il governo russo non tardò a manifestare il proprio supporto a tali rivolte, armando e finanziando i ribelli del Donbass e giocando un fondamentale ruolo nella presa di controllo del territorio, nonostante Putin continuasse a negare il proprio coinvolgimento.

Le feroci rivolte sfociarono ben presto in una vera e propria guerra civile, che si svolse da settembre 2014 a gennaio 2015; secondo una stima delle Nazioni Unite, le vittime del conflitto furono circa 14.000, di cui 3.000 civili. 

La risposta della Russia: Il progetto “Novorossiya”

In concomitanza al crescente avvicinamento dell’Ucraina all’occidente, il presidente Vladimir Putin decise di mettere in atto una campagna di sovversione violenta per le strade ucraine che prese il nome di “progetto Novorossiya”; la scelta del termine (Novorossiya – Nuova Russia) fu decretata dal significato che lo stesso aveva ai tempi dell’URSS, il quale richiamava alle “glorie del passato imperiale”, in seguito ripreso dal filosofo teologo del nuovo “eurasiatismo” Aleksandr Dugin, considerato una delle basi del “putinismo”. Si trattava quindi di una strategia progettuale già presente nel passato della Russia ma che, in seguito al conflitto in Donbass e all’annessione della Crimea alla Federazione Russa nel marzo 2014, ritornò in primo piano. <<In questa cornice il concetto incrocia la retorica della denazificazione e implica la «liberazione» delle terre russofone dalla morsa degli oligarchi ucraini.>>

Rispetto all’invasione della Crimea, che fu una vera e propria operazione militare, il progetto Novorossiya era meno organizzato ed eseguito da gruppi di sabotatori (sia locali che russi) supportati da agenti dell’intelligence russa. L’iniziativa rifletteva una visione dell’Ucraina ampiamente condivisa in Russia, che vede russi e ucraini come “un singolo popolo” con un destino condiviso, non riconoscendo la sovranità dell’Ucraina. Il presidente Putin, durante la sua telefonata annuale il 17 aprile 2014, fece pubblico accenno a questo concetto:

<<… le terre che componevano la Novorossiya (Nuova Russia) ai tempi dello zarismo – Kharkov, Lugansk, Donetsk, Kherson, Nikolayev e Odessa – non facevano parte dell’Ucraina a quei tempi. Questi territori furono dati all’Ucraina negli anni ’20 dal governo sovietico. Come mai? Solo Dio lo sa. Furono vinti da Potemkin e Caterina la Grande in una serie di guerre molto conosciute. Il centro di quel territorio era Novorossiisk, quindi la regione è stata chiamata Novorossiya. La Russia ha perso questi territori per vari motivi, ma il popolo è rimasto.>>

Il progetto Novorossiya mostrava però varie difficoltà nel coordinamento tra gli insorti e la sua forza demagogica subiva un sempre più forte indebolimento da parte del crescente patriottismo in Ucraina, esemplificato dalla vittoria di Petro Porošenko alle elezioni presidenziali del 25 maggio, la prima volta che un presidente ucraino è stato eletto senza un ballottaggio al secondo turno.

La presidenza di Petro Oleksijovyč Porošenko e l’avvicinamento all’Europa

Le elezioni presidenziali del 25 maggio 2014 si svolsero in concomitanza con le rivolte separatiste delle Regioni dell’Est dell’Ucraina; a vincere la presidenza del paese fu il miliardario Petro Oleksijovyč Porošenko, il quale ottenne più del 50% dei voti, a fronte del 13% ottenuto dalla rivale Tymoshenko e dell’1% dei partiti ultranazionalisti. L’affluenza alle urne da parte dei cittadini ucraini risultò molto forte, nonostante i disagi riscontrati nelle Regioni di Luhansk e Donetsk dove uomini armati filo-russi crearono scompiglio occupando i seggi elettorali.

Nei giorni successivi alle elezioni, i combattimenti nell’Ucraina orientale si inasprirono, decretando l’avvicendarsi di eventi funesti come la morte di decine di separatisti filo-russi durante una battaglia nell’aeroporto internazionale di Donetsk e l’abbattimento di un elicottero militare ucraino fuori Slov’yansk, con 14 vittime. Il giorno del giuramento di Porošenko come presidente, il 7 giugno, egli non esitò ad esprimere la sua intenzione a porre fine al conflitto nel Donbass, presentando una proposta per ripristinare la pace. I combattimenti, tuttavia, non raggiunsero il loro esito e la Russia fu nuovamente accusata di sostenere i ribelli quando un trio di carri armati dell’era sovietica non identificati apparve nelle città ucraine vicino al confine russo. Il 14 giugno, il giorno successivo alla rivendicazione della città di Mariupol da parte di forze governative, l’esercito ucraino subì la più grave perdita di vite umane in un solo giorno fino a quel momento, quando i ribelli abbatterono un aereo che trasportava 49 persone mentre tentava di atterrare a Luhansk.

Porošenko, in seguito, interruppe le operazioni militari nell’est, offrendo una tregua temporanea e un’amnistia ai separatisti che erano disposti a deporre le armi. Una grande importanza riveste la data del 27 giugno 2014, quando il Governo ucraino firmò l’Accordo di associazione con l’Unione Europea, promettendo legami più stretti con l’Europa e allontanandosi dalla morsa Russa.

Il bilancio delle vittime civili registrò un drammatico picco il 17 luglio, quando un 777 della Malaysia Airlines che trasportava 298 persone venne abbattuto da un missile nella regione di Donetsk. Sia le forze ucraine che quelle filo-russe negarono la propria responsabilità, accusandosi a vicenda.

Tentativi di pace: gli accordi di “Minsk-1” (settembre 2014) e “Minsk-2” (febbraio 2015)

In un tentativo di dialogo, Il 5 settembre 2014 i governi di Ucraina e Russia si incontrarono con i leader separatisti a Minsk, città in Bielorussia, e concordarono un “cessate il fuoco” che ebbe l’effetto di rallentare le violenze, non riuscendo tuttavia a porvi fine. Nel frattempo il presidente Porošenko, in continuità con la sua politica filo-occidentale, propose una serie di riforme politiche ed economiche progettate per preparare l’Ucraina a presentare domanda per l’adesione all’Unione Europea nel 2020, con generale sostegno da parte della cittadinanza. Nei mesi successivi vi furono tensioni crescenti tra le due parti, con varie violazioni dei termini degli accordi stipulati da parte dei separatisti filo-russi e conseguenti minacce di limitazione dell’autonomina promessa ai distretti di Donetsk e Luhansk da parte del presidente Porošenko. Entro la fine dell’anno, i combattimenti avevano raggiunto i livelli di violenza precedenti, segnando la fine del primo accordo di “cessate il fuoco” stipulato. A gennaio 2015, la stima delle vittime totali dall’inizio delle ostilità, secondo le Nazioni Unite, ammontava a più di 5.000 persone. 28

Il fallimento degli accordi di “Minsk-1” e l’inasprimento degli scontri e delle violenze durante i primi mesi del 2015 rese più forte la necessità di ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi da parte dei leader mondiali. A febbraio vi fu quindi un secondo tentativo di stipulare dei negoziati di emergenza a Minsk, con la mediazione della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese François Hollande. Si giunse, quindi, alla produzione di un “pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk” (“Minsk-2”) che fu firmato il 12 febbraio 2015 da rappresentanti dell’OSCE, della Russia, dell’Ucraina, del DNR (Donetsk People’s Republic) e dell’LNR (Luhansk People’s Republic).

L’accordo di “Minsk-2” era prevalentemente incentrato sul ritiro delle truppe dal territorio ucraino e sulla cessazione degli scontri a fuoco, non facendo però alcuna menzione al futuro assetto dell’Ucraina e al ruolo che avrebbe dovuto avere la Russia in quella fase. Rispetto al precedente tentativo di pace raggiunto a settembre (“Minsk-1”), la linea d’azione non differiva di molto, avendo come obiettivo principale l’immediata risoluzione dell’ingente perdita di vite umane senza tuttavia trovare un punto d’incontro tra le parti che potesse garantire la pace nel lungo termine. A causa di ciò, e benché fossero stati firmati sia dal governo ucraino sia da quello russo, gli accordi non furono mai davvero rispettati e gli scontri continuarono.

La fine della presidenza di Porošenko (2014-2018) e l’elezione di Zelensky

Durante gli ultimi anni del suo mandato, l’indice di gradimento di Porošenko da parte della popolazione ucraina subì una graduale discesa, ma un paio di eventi alla fine del 2018 sembrarono arrestare debolmente questa tendenza. Nel novembre 2018, le navi della marina russa nello stretto di Kerch spararono contro le navi ucraine e sequestrarono sia le navi che i loro equipaggi. Porošenko dichiarò la legge marziale in 10 regioni, la prima volta dall’indipendenza dell’Ucraina dall’Unione Sovietica. L’Ucraina si appellò anche alle Nazioni Unite e l’Assemblea generale votò a favore di una risoluzione che invitava la Russia a ritirare le sue forze dalla Crimea e a porre fine alla sua occupazione del territorio ucraino. La Russia ignorò la risoluzione e continuò ad espandere la sua presenza militare in Crimea, ma lo scontro sembrava legittimare lo slogan della campagna di rielezione di Porošenko, “Esercito, lingua, fede”. Il terzo di questi pilastri, “fede”, sarebbe stato il fulcro della principale iniziativa politica pre-elettorale di Porošenko, vale a dire la creazione di una Chiesa ortodossa ucraina indipendente. Le chiese ortodosse dell’Ucraina risultavano sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca dal 17° secolo, ma nel dicembre 2018 Porošenko e i leader ortodossi annunciarono una rottura con Mosca. Il patriarca ecumenico Bartolomeo I concesse formalmente alla Chiesa ortodossa ucraina lo status di autocefala (indipendente) nel gennaio 2019; a questo punto, la Chiesa ortodossa russa aveva già interrotto i legami con Costantinopoli e il patriarcato ecumenico per protesta.

Nei mesi precedenti le elezioni presidenziali del marzo 2019, i candidati principali, Petro Porošenko, leader in carica, e Volodymyr Zelensky, famoso attore comico, adottarono stili differenti per le loro campagne elettorali, nel comune tentativo di dirigere la conversazione pubblica e attirare l’attenzione su di loro. La strategia adottata dal presidente uscente, in particolare, fu in seguito descritta come “piena di errori” dai responsabili stessi della campagna elettorale. Il secondo turno delle elezioni presidenziali, tenutosi il 21 aprile 2019, confermò i risultati ottenuti nella precedente giornata di votazioni del 31 marzo, decretando Volodymyr Zelensky nuovo presidente ucraino con il 73% dei voti. Questo risultato fu la naturale conseguenza del fatto che tra la popolazione ucraina si era diffuso un generale sentimento di delusione verso la presidenza per la mancata “lotta alla corruzione”, che rappresentava una delle maggiori speranze alla base della rivoluzione di Euromaidan; tra le accuse vi era anche quella di non aver protetto la libertà di stampa. Il malcontento dei cittadini era alimentato, in quel periodo, anche dai crescenti problemi economici del paese che avevano contribuito notevolmente ad accentuare il divario di povertà. Infine, durante gli anni di presidenza di Porošenko la situazione nella regione orientale del Donbass non era stata mitigata né tantomeno risolta, causando frustrazione tra gli ucraini, provati da anni di disordini e scontri.

Nonostante le diffuse preoccupazioni per la mancanza di esperienza politica di Zelensky, la sua forza risiedette nella sua seria campagna contro la corruzione politica, a fronte delle accuse di poca trasparenza che avevano invece investito la presidenza di Porošenko, e la promessa di avere come obiettivo primario quello di raggiungere una pace duratura nell’Ucraina orientale dilaniata dalla guerra. Il giorno dell’inizio ufficiale del suo mandato presidenziale, il 20 maggio 2019, Zelensky utilizzò il suo discorso di inaugurazione per annunciare lo scioglimento del parlamento e l’avvio di elezioni legislative anticipate. Quelle elezioni, tenutesi il 21 luglio, conferirono la maggioranza assoluta al “Partito Servo del Popolo” di Zelensky.

 Attualità: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (febbraio 2022)

I giorni precedenti all’invasione

Tra ottobre e novembre 2021, la Russia iniziò un massiccio accumulo di truppe ed equipaggiamento militare lungo il confine con l’Ucraina. Nei mesi successivi, forze aggiuntive furono inviate in Bielorussia, nell’enclave separatista della Transdniestria in Moldova, sostenuta dalla Russia, ed in Crimea. A metà febbraio 2022, si stimavano circa 190.000 soldati russi attorno al territorio ucraino. Mentre i leader occidentali si consultavano sia con Zelensky che con Putin nel tentativo di evitare un’invasione russa che sembrava inevitabile, Putin emetteva richieste che includevano il potere di veto de facto sull’espansione della NATO e il contenimento delle forze della NATO ai paesi che erano stati membri prima del 1997. Al rifiuto delle sue proposte, Il 21 febbraio 2022 Putin rispose riconoscendo l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.

Febbraio 2022: l’inizio dell’offensiva russa

La notte tra il 23 e il 24 febbraio 2022 la Russia diede inizio ad un’invasione su larga scala dell’Ucraina, denominata da Putin “operazione militare speciale” con l’obiettivo di «smilitarizzare e de-nazificare» l’Ucraina e sostenere i separatisti del Donbass e del Lugansk. Il presidente ucraino Zelensky, dopo aver lanciato un appello per la pace, dichiarò la legge marziale e chiese una mobilitazione generale della popolazione ucraina in età militare. Da quel momento ebbe inizio la resistenza ucraina. Le prime città occupate furono Luhansk, Chernihiv e Kharkiv, ed i primi attacchi militari colpirono i porti di Odessa e Mariupol. Dopo le prime 24 ore il numero delle vittime tra i soldati ucraini ammontava a 140 morti e 300 feriti, mentre il numero di russi caduti graviterebbe intorno agli 800, con perdite pesanti anche in termini di mezzi: 130 veicoli corazzati, 30 carri armati, almeno sette aerei abbattuti. 

Il 26 febbraio l’Unione Europea decise all’unanimità di chiudere il proprio spazio aereo ai voli russi e annunciò sanzioni contro Mosca. Lo stesso giorno cominciò l’assedio di Kiev da parte delle truppe russe, che contemporaneamente attaccano Kharkiv, Kherson e Sumy. La popolazione ucraina mostrò da subito un’abilità inaspettata alla resistenza e viene indetto un coprifuoco per difendere la città. Dopo il fallimento iniziale nella presa di Kiev, la Russia intensificò l’offensiva con ampi bombardamenti anche sui civili nelle principali città. 

Il 28 febbraio vi fu un primo tentativo di raggiungere un accordo di pace tramite negoziati, che si tengono a Gomel, città al confine bielorusso. Alla seduta partecipò anche Abramovich, l’oligarca proprietario del Chelsea. Zelensky firmò una richiesta ufficiale di ingresso in Unione Europea per l’Ucraina, ma il segretario Ue risponde che era fuori discussione. Proseguirono le sanzioni: il blocco occidentale decise l’esclusione della Russia dal sistema bancario internazionale SWIFT.  

Marzo 2022: le stragi di Irpin, Mariupol e Chernihiv

Ad inizio marzo, l’agenzia di stampa statunitense Reuters denunciò le più di duemila vittime di civili ucraini e le centinaia di strutture distrutte, tra cui ospedali e asili. Il 12 marzo dopo aver circondato la città di Chernihiv, le forze russe uccisero almeno 98 civili e ferito altri 123. Durante i tre mesi di assedio di Mariupol, le forze russe usarono armi esplosive con effetti su vasta area, distrutto vari complessi urbani e ucciso e ferito un alto numero di civili.
La presidentessa della Commissione europea, Ursula von der Leyen, su Twitter dichiarò che “L’Europa è al fianco di chi ha bisogno di protezione. Tutti coloro che fuggono dalle bombe di Putin sono i benvenuti in Europa. Forniremo protezione a coloro che cercano riparo e aiuteremo coloro che cercano un modo sicuro per tornare a casa”. Il 2 marzo, Kherson fu la prima a cadere nelle mani di Mosca e l’esercito ucraino retrocede verso Mykolaiv. Quello stesso giorno l’Onu approvò con 141 voti su 193 la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu di condanna dell’invasione. Votarono contro la Russia, Bielorussia, Eritrea, Siria e Corea del Nord. Tra gli astenuti Cina, Iran e Cuba.  Nella notte del 3 marzo, i russi attaccarono la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, e si verificò un incendio in uno degli edifici che, nonostante i timori internazionali, non danneggiò nessuno dei 6 reattori. La centrale cadde in mano russa.

Il secondo appuntamento con i colloqui a Belovezhskaya Pushcha, in Bielorussia, ottenne l’apertura di corridoi umani per far fuggire i civili. Non sempre però la tregua venne rispettata. L’Unione Europea offrì un permesso di soggiorno permanente agli ucraini di 3 anni. 

Domenica 6 marzo, la strage di Irpin 

Il 6 marzo l’esercito russo bombardò una colonia di rifugiati ad Irpin, alle porte di Kiev: fece notizia la strage di una delle famiglie ucraine (padre, madre e due figlie), colpiti da colpi di mortaio mentre stavano tentando la fuga.

Mentre in Russia imperversava una repressione delle proteste interne, insieme ad una repressione dei giornalisti che esprimevano opinioni non conformi a quelle del regime, alcune grandi aziende occidentali, come PayPal, Inditex, H&M, Ikea e McDonald’s decisero di abbandonare la Russia, come segno di sdegno nei confronti dell’offensiva in corso.

Mercoledì 9 marzo, attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol 

Il 9 marzo, l’ospedale pediatrico di Mariupol venne attaccato durante un cessate il fuoco concordato con la parte russa. Il numero di vittime accertate fu di 516, tra questi 29 bambini. Il presidente Volodymyr Zelensky definì l’attacco un crimine di guerra.

Il 10 marzo L’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite dichiarò che erano oltre 2,3 milioni le persone fuggite dall’Ucraina verso i paesi confinanti. L’allarme arrivò da Save the children, che dichiarò che “oltre 1 milione” di bambini sono fuggiti nei Paesi limitrofi.”

Mercoledì 16 marzo, bombardamento del teatro di Mariupol e il Massacro di Chernihiv

Il 16 marzo risultò uno dei giorni più sanguinosi dall’inizio della guerra; infatti, i soldati russi bombardano il teatro della città di Mariupol, il Donetsk Academic Regional Drama Theatre, dove si erano rifugiate molte famiglie: 1300 persone rimasero bloccate sotto le macerie, 600 persone morirono.  Era noto che l’edificio venne utilizzato come rifugio antiaereo principale della città e lo scenografo del teatro aveva dipinto la parola “BAMBINI” sul marciapiede esterno in enormi lettere cirilliche che erano visibili anche nelle immagini satellitari.

Contemporaneamente, l’attacco russo imperversava anche su Chernihiv, città situata nel nord dell’Ucraina centrale; molte furono le vittime tra i civili e tra i soldati ucraini, e per questo si parlerà, in seguito, di “massacro di Chernihiv”. Il sindaco della città Vladislav Atroshenko, infatti, annuncia che, dall’inizio della guerra, le vittime in città sarebbero più di 700, tra militari e civili.

Durante la seconda metà del mese di marzo, continuarono gli attacchi da parte della Federazione: il consiglio comunale di Mariupol riportò il bombardamento di una scuola d’arte in cui si erano rifugiate circa 400 persone, a Chernihiv decine di civili vennero uccisi da “colpi di artiglieria indiscriminati” e viene colpito un ospedale. Il 21 marzo a Kiev un missile colpì un centro commerciale nel distretto di Podilskyi, dove si nascondevano alcuni civili, provocando 8 vittime. Alla fine di marzo, gli ucraini fuggiti dai combattimenti erano circa 3,7 milioni (dati UNHCR).

Aprile 2022: liberazione dell’Ucraina del nord e la scoperta del massacro di Bucha

Nella prima settimana di aprile, l’esercito russo cominciò a ritirarsi dal nord, lasciando spazio ai militanti ucraini: nei territori liberati vennero rinvenuti centinaia di fosse comuni lasciate dai nemici, di cui la più impressionante nella città di Bucha. Qui, infatti, la situazione di torture e devastazione era palese agli occhi degli ucraini e del mondo: oltre ad un’ampia fossa comune rinvenuta presso la Chiesa di Sant’Andrea e Pyervozvannoho, decine di corpi erano disseminati per le strade, i negozi e le case erano saccheggiati e bruciati. Le autorità locali riportarono più di 400 civili morti a causa di ferite mortali da arma da fuoco. In seguito a questi fatti, l’accusa verso Mosca di aver compiuto crimini contro l’umanità con modalità simili ad un genocidio crebbe, sia da parte di Kiev che di Washington; Il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Mikhailo Podolyak, infatti affermò: “Queste non sono state vittime di bombardamenti aerei, ma omicidi intenzionali, ravvicinati e sistematici”. Tale evento cambiò le sorti della guerra, rafforzando la volontà dei governi occidentali di armare l’Ucraina e riducendo lo spazio per una pace negoziata. Molti sono stati i leader europei a voler visitare di persona Bucha, con la conseguente promessa di elargire più di un miliardo di dollari in aiuti militari dalla sola Unione Europea.

Il 7 aprile, l’Assemblea Generale dell’Onu approvò con 93 voti a favore la richiesta degli Usa di sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra. 24 i contrari e 58 gli astenuti. Dall’invasione del 24 febbraio, l’Assemblea Generale Onu adottò altre due risoluzioni promosse: una denunciava Mosca per l’aggressione (ha ottenuto 141 voti a favore), l’altra riguardava la situazione umanitaria (140 i favorevoli). Nel frattempo, i combattimenti si spostarono nelle regioni orientali di Kharkiv, Donetsk e Luhansk, ed il governo ucraino invitò i residenti nell’est del paese ad evacuare. Il 9 aprile venne attaccata la stazione ferroviaria di Kramatorsk, provocando 52 morti tra donne, bambini e anziani in fuga, mentre il 14 l’esercito ucraino lanciò una controffensiva affondando il lanciamissili “Moskva”, parte della flotta russa del Mar Nero al largo di Sebastopoli. 

A fine aprile, gli sfollati interni ammontavano a 7 milioni, mentre erano già più di 4 milioni gli ucraini ad aver lasciato il Paese.

Maggio 2022: primi corridoi umanitari, la Russia conquista l’est e la crisi alimentare

Ad inizio maggio, mentre il conflitto continuava ad imperversare nell’est del paese, Mariupol continuava ad essere il bersaglio favorito dalla Russia; in risposta ai pesanti combattimenti nell’acciaieria Azovstal a Mariupol vennero organizzati i primi corridoi umanitari per evacuare i civili che si trovano ormai in condizioni estreme. All’interno dei bunker dell’acciaieria restarono alcune centinaia di civili tra cui decine di bambini piccoli, oltre a quasi 500 soldati feriti. Dopo 70 giorni dall’inizio dell’invasione della città, i morti accertati erano 3.800 civili, tra cui 215 bambini; i feriti sarebbero oltre 4mila, con quasi 400 bambini.

Il 13 maggio, il sergente russo Vadim Shysimarin, 21 anni, venne processato a Kiev con l’accusa di aver ucciso volontariamente un civile di 62 anni mentre tornava a casa in bicicletta, nel villaggio di Chupakhivka, nell’Ucraina nordorientale: ha così inizio il primo processo per crimini di guerra contro un soldato russo in Ucraina. La sentenza del giudice lo condanna all’ergastolo.

L’assedio della città di Mariupol ebbe definitivamente fine la notte tra il 17 e il 18 maggio, quando i militari ucraini rimasti si consegnarono alle forze russe come “prigionieri di guerra” in seguito all’accordo raggiunto tra Kiev e Mosca e mediato da Nazioni Unite e Croce Rossa Internazionale. La Russia conquistò il controllo del 95% di Luhansk, parte del Donbass.

3Nel frattempo, la crisi economica ed umanitaria si aggravava; a fine maggio, Il ministero dell’agricoltura ucraino annunciò che le esportazioni di grano erano diminuite del 64% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il World Food Program dichiarò grande preoccupazione per l’aumento senza precedenti dei prezzi dei generi alimentari, con 49milioni di persone in 43 paesi che sono vicine alla carestia.

Giugno 2022: invito formale a Svezia e Finlandia ad entrare nella NATO 

All’inizio del mese di giugno, il presidente Volodymyr Zelensky denunciò la deportazione forzata di 200mila bambini ucraini in Russia, di cui si sono perse le notizie. Contemporaneamente, il Ministero della Cultura ucraino, con il supporto di uno studio dell’UNESCO, dichiarò che più di 150 siti culturali in Ucraina erano stati parzialmente o totalmente distrutti a causa della guerra. Gli esperti delle Nazioni Unite identificarono, infatti, 152 siti culturali, inclusi 70 edifici religiosi, 30 edifici storici, 18 centri culturali, 15 monumenti, 12 musei e sette biblioteche, la maggior parte dei quali situati a Donetsk, Kharkiv e Kiev.

Intanto, il bilancio umanitario del conflitto si aggravava: erano più di 14milioni gli ucraini che furono costretti a fuggire dalle loro case dall’invasione russa del 24 febbraio, mentre furono 263 i bambini rimasti uccisi, e più di 467 quelli feriti. Per Pramila Patten, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la violenza sessuale, lo sfollamento “senza precedenti” di milioni di ucraini si stava “trasformando in una crisi della tratta di esseri umani”.

L’avanzata russa continuò feroce nella città orientale di Severodonetsk, che il 25 giugno venne dichiarata sotto “la piena occupazione della Russia”. Nel frattempo, sul fronte internazionale la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen incontrò il presidente Zelenskyy a Kiev per discutere della candidatura dell’Ucraina all’adesione all’Unione europea, mentre il 29 giugno la NATO invitò formalmente Svezia e Finlandia ad unirsi all’alleanza, mossa che venne commentata come “puramente destabilizzante” dal leader del Cremlino.

Il 27 giugno le forze russe lanciarono un missile che ha colpì un affollato centro commerciale a Kremenchuk, nell’Ucraina centrale. L’attacco provocò 18 vittime civili e centinaia di feriti.

Luglio 2022: continua l’avanzata russa ad est, accuse reciproche tra Russia e Ucraina

All’inizio di luglio, sul fronte diplomatico l’Europa preparò un piano di emergenza per aiutare gli Stati membri a ridurre l’energia russa, a Lugano nella giornata del 4 e 5 luglio i leader di decine di paesi e organizzazioni internazionali si incontrarono per discutere di un “Piano Marshall” per la ricostruzione dell’Ucraina. Si giunse anche alla firma di un accordo per consentire le esportazioni di grano dai porti ucraini del Mar Nero, per far fronte alla crisi alimentare globale. Nel frattempo, continuava l’avanzata russa verso ovest dalla città di Lysychansk nella regione di Luhansk verso Siversk a Donetsk, mentre Zelensky denunciò l’attacco missilistico nella città centrale di Vinnytsia, definendolo un “atto di terrorismo”. Gli ultimi giorni di luglio, dozzine di prigionieri di guerra ucraini rimasero uccisi in un attacco dalla matrice sconosciuta; infatti, Russia e Ucraina si accusarono a vicenda della responsabilità dell’azione militare, affermando i primi che sia stata Kiev a prendere di mira la struttura con razzi fornitegli dagli Stati Uniti statunitense, mentre asserendo i secondi che sia stato l’esercito russo ad attaccare con lo scopo di nascondere i maltrattamenti dei prigionieri.

7 Agosto 2022: controffensiva ucraina e preoccupazione per la centrale nucleare di Zaporizhzhia 

Nell’ultimo mese dei conflitti, l’attenzione internazionale era puntata sulla delicata situazione nella centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, in seguito al bombardamento che il 5 agosto danneggiò parti del complesso. Ne indicò un primo allarme il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Mariano Grossi. Contemporaneamente, Oleksandr Starukh, capo dell’amministrazione militare regionale di Zaporizhzhia, riportava ai giornalisti che la Russia trasformava la centrale nucleare in una base militare e iniziava a immagazzinarvi attrezzature pesanti, mentre il capo della compagnia nucleare statale ucraina Energoatom chiedeva che la centrale nucleare di Zaporizhzhia fosse resa una zona senza militari, avvertendo del rischio di un disastro nucleare in stile Chernobyl.

A sei mesi dall’inizio della guerra, la situazione militare stava subendo un’evoluzione; a fronte di un’inaspettata e crescente abilità alla resistenza dimostrata fin dall’inizio dal popolo ucraino, irrorata da un continuo supporto militare fornitogli dall’occidente e, in particolare, dagli Stati Uniti, le truppe ucraine stavano anche dimostrando una capacità offensiva. Infatti, il conflitto era focalizzato nel territorio di Kherson, dove gli ucraini lanciavano una controffensiva per la riconquista del territorio, con l’obiettivo di respingere le forze occupanti russe ai confini precedenti al 2014.

Le conseguenze dell’offensiva russa in Ucraina: la risposta dell’Europa alla crisi umanitaria

L’invasione su larga scala dell’Ucraina avvenuta per mano della Russia, guidata dal presidente Vladimir Putin, ha dato il via alla più grave crisi umanitaria dopo la Seconda Guerra mondiale: se, infatti, alla fine del 2021 l’UNHCR aveva stimato 89.3 milioni di rifugiati nel mondo, dall’inizio della guerra in Ucraina a febbraio 2022, questo numero aveva raggiunto in poco tempo il drammatico record di 108,4 milioni di persone costrette a fuggire a causa di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani.

La reazione del mondo e, in particolare, della vicina Europa è stata unanime: condanna all’aggressione russa ed immediata attivazione del supporto alla popolazione ucraina.

Supporto finanziario: i fondi speciali per il sostegno ai rifugiati ucraini

Nel primo mese del conflitto, i deputati europei hanno approvato la proposta della Commissione europea per l’Azione di coesione per i rifugiati in Europa (Care) per reindirizzare i fondi disponibili a protezione delle persone in fuga dall’aggressione russa. Il Parlamento Europeo ha inoltre prorogato di un anno – fino alla metà del 2024 – il periodo di validità del Fondo Asilo, migrazione e integrazione e il Fondo Sicurezza interna. L’estensione consente ai paesi dell’UE di ridistribuire urgentemente i fondi inutilizzati per far fronte all’afflusso di rifugiati dall’Ucraina, prevedendo circa 420 milioni di euro per supporto aggiuntivo, come alloggio, cibo, assistenza sanitaria o personale.

Importante è stato anche il sostegno inviato ai paesi limitrofi all’Ucraina (in particolare Polonia e Moldavia) che, per la loro posizione geografica, si sono trovati ad affrontare la più grande parte di ondata migratoria: tramite il meccanismo di protezione civile dell’UE, sono stati inviati forniture mediche, tende e generatori di corrente. Più recentemente, a fine giugno, è stato approvato dal Parlamento un pacchetto di sostegno di 400 milioni di euro per aiutare i paesi dell’UE che accolgono la maggior parte dei rifugiati ad affrontare misure urgenti di gestione della migrazione e delle frontiere. I fondi dell’UE contribuiscono al finanziamento dei costi di prima accoglienza e registrazione delle persone in fuga dall’Ucraina, attraverso il rafforzamento del Fondo Asilo, migrazione e integrazione e dello strumento per la gestione delle frontiere e dei visti.

Oltre ai fondi provenienti dall’UE, il sostegno pecuniario maggiore è giunto dallo Ukraine Humanitarian Fund (UHF), uno strumento di finanziamento umanitario multi-donatore gestito dallo United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA). Nel 2022, l’UHF ha stanziato 93,9 milioni di dollari per 55 progetti implementati da 38 partner a livello nazionale. L’obiettivo è finanziare progetti che forniranno un sostegno mirato e tempestivo agli sfollati interni, ai rimpatriati e ad altre persone vulnerabili colpite dalla guerra in Ucraina. Dall’inizio dell’anno, donatori e partner hanno contribuito all’UHF con quasi 197 milioni di dollari, aiutando le persone più colpite dalla guerra. I maggiori donatori dell’UHF nel 2022 sono stati finora il Regno Unito (42 milioni di dollari), il Canada (31 milioni di dollari), i Paesi Bassi (22 milioni di dollari), gli Stati Uniti (20 milioni di dollari) e la Germania (18,5 milioni di dollari).

L’UHF ha lanciato, inoltre, nel marzo 2023, la sua prima dotazione standard, destinando 67 milioni di dollari a 31 progetti che forniranno sostegno vitale a quasi 500.000 persone colpite dalla guerra. Attraverso questo stanziamento ha erogato 35 milioni di dollari (il 53% del finanziamento totale) alle organizzazioni ucraine, di cui 27 milioni di dollari (40%) direttamente a 12 ONG nazionali.

L’allocazione standard fa seguito all’allocazione della prima riserva 2023 di 50 milioni di dollari lanciata a gennaio, che ha consentito ai partner umanitari di iniziare, dall’inizio dell’anno, a fornire assistenza nelle aree in cui i bisogni sono più acuti, secondo la priorità del Piano di risposta umanitaria. Inoltre, in risposta alla distruzione della diga di Kakhovka all’inizio di giugno, l’UHF ha sostenuto la risposta rapida nelle aree colpite attraverso estensioni dei costi per un totale di 3,4 milioni di dollari e una riprogrammazione flessibile dei progetti in corso.
Inoltre, in agosto è stata lanciata un’altra allocazione di riserva di 55 milioni di dollari, attualmente in corso, per sostenere la risposta invernale.

Supporto umanitario: accoglienza dei rifugiati ucraini, protezione temporanea

Il 1° marzo 2022, il Parlamento Europeo ha approvato l’attivazione della direttiva sulla protezione temporanea per la prima volta da quando è entrata in vigore nel 2001. La direttiva mirava a garantire una protezione temporanea immediata nell’UE alle persone in fuga dalla guerra in Ucraina per un periodo iniziale di un anno, compresi cittadini ucraini, persone al di fuori dell’UE, apolidi o persone con permesso di soggiorno nel paese. Ciò consente agli sfollati di beneficiare degli stessi diritti in tutta l’UE, come il permesso di soggiorno, la possibilità di lavorare, un alloggio e l’accesso all’assistenza sociale e all’assistenza medica, e la possibilità di utilizzare la loro patente di guida nell’UE.41 La protezione temporanea, prevista originariamente per un solo anno (fino al 4 marzo 2023) è stata più volte estesa per “dare certezza a oltre 4 milioni di rifugiati che vivono attualmente nell’UE”, prorogandola fino al 4 marzo 2025.

Il 28 settembre 2023, questa protezione è stata prorogata fino al 4 marzo 2025 dal Consiglio degli Affari interni dell’UE.

A fine marzo 2022, la Commissione Europea ha rilasciato un Piano in 10 punti per un coordinamento europeo più forte sull’accoglienza delle persone in fuga dalla guerra contro l’Ucraina. Il primo punto riporta la creazione di una piattaforma dell’UE per la registrazione e per lo scambio di informazioni ad uso dei beneficiari della Protezione Temporanea, di grande aiuto per la popolazione ucraina in Europa.

Riguardo alla protezione delle centinaia di minori ucraini, i quali rappresentavano, insieme alle donne, il 90% dei rifugiati, Il Consiglio Europeo ha ribadito il forte impegno dell’Europa nella protezione tutti i minori fuggiti dalla guerra in Ucraina, in particolare quelli separati dalle loro famiglie, da qualsiasi rischio di adozione, sottrazione o sfruttamento illegali. Sottolineando che tutti i minori in fuga hanno diritto alla protezione in UE, ha inoltre incaricato gli Stati Membri a fornire loro, tra le altre cose, un’assistenza legale ed un accesso ai servizi sanitari gratuito, nonché un’istruzione e a un’assistenza di qualità.

 Il supporto dell’Italia: potenziamento dei CAS e accoglienza diffusa

Il governo italiano, in risposta all’arrivo dei profughi ucraini in fuga dall’aggressione russa, ha deciso di potenziare con posti aggiuntivi i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e il Sistema di Accoglienza e Integrazione gestito dagli Enti Locali. L’accesso a queste strutture è stato consentito anche ai profughi ucraini che non hanno richiesto la protezione internazionale. Inoltre, con il Decreto Legge 21/2022 si è prevista l’introduzione di ulteriori forme di accoglienza diffusa con la collaborazione del Terzo Settore e contributi per il sostentamento di chi ha trovato autonomamente una sistemazione.

Riguardo al sistema di accoglienza diffusa, a partire dal 9 maggio 2023 sono stati messi a disposizione 17.012 posti distribuiti sull’ intero territorio italiano, diversificati tra appartamenti, nel 26% presso famiglie, e altre strutture messe a disposizione dal Terzo Settore. La maggior parte delle strutture è situata in Campania (19%), seguita da Lombardia (11%), Sicilia (11%), Veneto (10%) e Calabria (9%). A seguito dell’aumento dei flussi migratori, sono stati aumentati i posti all’interno dei centri di accoglienza. Ad oggi sono disponibili 43.449 posti nei SAI e 84.151 posti nei centri CAS.

Vittime civili, rifugiati

Dall’inizio della guerra fino a fine 2023, il bilancio ufficiale secondo l’ONU sarebbe di oltre 10.000 vittime accertate, tra civili, militari e sconosciuti

Secondo il Global Trends 2023 a cura dell’UNHCR sono 6 milioni i rifugiati Ucraini (90% donne e bambini).

I Paesi maggiormente coinvolti nelle procedure di prima accoglienza dei rifugiati dall’Ucraina sono quelli ad essa confinanti: Polonia, Slovacchia, Romania, Ungheria e Moldavia. La tabella seguente riporta i dati più aggiornati riguardo alle presenze registrate in tali paesi:

     Settembre 2022: firmata annessione dei territori ucraini alla Russia

Vladimir Putin firmò il protocollo di annessione dei territori ucraini di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson. Il passaggio delle regioni alla Russia avvenne dopo che si sono tenuti dei referendum farsa avvenuti a partire dal 23 settembre 2022 fino al 27 settembre 2022, ritenuti illegali dall’Ucraina e dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale a causa delle modalità con cui si è svolto: nessuno degli standard minimi di un processo elettorale valido è stato rispettato. Alle regioni di Donetsk e Luhansk, che la Russia già considerava indipendenti, nel quesito referendario veniva chiesto se si «sostiene l’accesso della propria repubblica alla Russia come un’entità federale», mentre a Kherson e Zaporizhzhia veniva chiesto se si «sostiene la secessione dall’Ucraina, la creazione di uno stato indipendente e il successivo accesso nella Russia come un’entità federale». I referendum indicano, secondo Putin, una chiara volontà di autodeterminazione da parte delle popolazioni delle quattro regioni. Dopo il risultato del referendum convocato a partire dal 23 settembre 2022 fino al 27 settembre 2022 circa il 15 % della superficie totale dell’Ucraina, costituita dalle quattro regioni occupate, vennero annessa il 30 settembre alla Russia. L’Unione Europea condannò fermamente l’annessione dei territori. Di contro, Kiev promise di liberare le regioni occupate e ha chiesto di poter aderire alla NATO.

Nel corso del conflitto, l’Ucraina fu attaccata dalle forze russe su più fronti: da nord, da est dalla Crimea a sud. Lungo il confine settentrionale, inoltre, alcune unità bielorusse furono coinvolte in esercitazioni militari insieme alle forze di terra russe con l’intento di intimidire l’offensiva ucraina.

A fine settembre Putin annunciò la mobilitazione parziale chiamando alle armi 300.000 riservisti che andranno ad integrare l’esercito russo.

Le forze russe commisero importanti violazioni del diritto internazionale umanitario bombardando case e strutture civili, sanitarie ed educative. Sono stati commessi vari crimini di guerra, tra cui torture, esecuzioni sommarie, violenze sessuali e sparizioni forzate. Coloro che hanno tentato di fuggire dalle zone di combattimento affrontarono numerosi ostacoli.

Centinaia di civili furono torturati e detenuti illegalmente per settimane in condizioni disumane e degradanti in strutture improvvisate come pozzi, scantinati e fabbriche. Nella città nord-orientale di Yahidne, le forze russe trattennero oltre 350 abitanti del villaggio, tra cui almeno 70 bambini, per 28 giorni in un seminterrato di una scuola. Dieci persone anziane morirono durante quel periodo.

Il 3 ottobre l’Ucraina rivendicò il pieno controllo dell’hub logistico russo nella località di Lyman, il suo più significativo guadagno sul campo di battaglia dopo svariate settimane.

L’8 ottobre il Fondo Monetario Internazionale approvò la richiesta dell’Ucraina di 1,3miliardi di dollari per ulteriori finanziamenti di emergenza per sostenere l’economia mentre combatteva l’invasione della Russia.

Il 10 ottobre attacchi missilistici russi colpirono varie città tra cui Kiev, Lviv e Dnipro.

Il 16 ottobre le forze armate ucraine affermarono che le forze russe hanno presero di mira più di 30 città e villaggi in tutta l’Ucraina, lanciando cinque missili e 23 attacchi aerei e fino a 60 attacchi missilistici. I combattimenti si intensificarono sempre di più nelle province orientali di Donetsk e Luhansk, e nella provincia di Kherson, tre delle quattro province annesse dalla Russia dopo il referendum.

Il 1 novembre la Russia lanciò decine di missili contro le strutture energetiche ucraine, tra cui le centrali idroelettriche, causando svariati blackout e riduzioni delle forniture d’acqua.

Il 13 novembre Kherson celebrò il ritiro delle truppe russe, una delle più grandi conquiste militari per Kiev, anche se il 70% della regione di Kherson rimane sotto il controllo di Mosca che fortifica le sue linee di battaglia sulla sponda orientale del fiume Dnepr.

Il 14 dicembre continuarono incessantemente i combattimenti intorno alla città di Bakhmut, mentre Klintsy, città nella Regione meridionale di Bryansk in Russia fu bombardata durante la notte dall’Ucraina. Intanto 70 paesi promisero più di un miliardo di euro in aiuti immediati per aiutare l’Ucraina a superare l’inverno.

Il 21 dicembre il presidente ucraino Zelensky si recò negli Stati Uniti per incontrare il presidente Joe Biden e visitare il Congresso: fu il primo viaggio dopo l’invasione russa di febbraio. La Banca Mondiale intanto approvò un pacchetto di finanziamenti per un totale di 610milioni di dollari per far fronte alle urgenti esigenze di soccorso e ripresa in Ucraina, mentre l’OMS affermò che sarebbero potute essere 10milioni le persone (circa un quarto della popolazione) con disturbi mentali a causa della guerra.

Gli ultimi sviluppi (dal 2023 ad oggi)

Il 19 gennaio 2023 un elicottero è precipitato nella città di Brovary, vicino Kiev, mentre si dirigeva al fronte. Il velivolo ha colpito un asilo prima di schiantarsi su un edificio residenziale. L’incidente ha provocato almeno 14 morti: tra le vittime anche il ministro dell’Interno ucraino, Denys Monastyrskyi, il suo vice e un segretario di Stato.

Il 1 febbraio la Russia ha affermato di aver conquistato il villaggio di Blahodatne, nella periferia di Bakhmut e ha intensificato gli sforzi per circondare la città di Donetsk.

Il 1 marzo i presidenti di Cina e Bielorussia hanno chiesto un cessate il fuoco e l’avvio dei negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina. L’appello congiunto è stato fatto durante un incontro a Pechino tra i due Presidenti.

Il 18 marzo la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto per crimini di guerra nei confronti del presidente russo, Vladimir Putin, e della commissaria per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova-Belova, affermando che Mosca ha deportato con la forza bambini ucraini in Russia. È la prima volta nella storia che viene emanato un mandato d’arresto nei confronti di un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Il 6 aprile gli USA hanno stanziato un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina da 2,6 miliardi di dollari. Il presidente ucraino Zelensky si è recato a Varsavia per incontrare il suo omologo polacco Andrzej Duda.

Il 9 aprile 30 bambini sono tornati alle loro famiglie dalle aree occupate dai russi al termine di un’operazione di scambio di prigionieri. Sono circa 19.500 i minori portati in Russia o nella Crimea occupata a partire dall’invasione. Il Cremlino ha sostenuto che ciò sia avvenuto per la loro sicurezza, mentre per Kiev sono state deportazioni illegali.

Nella notte tra il 2 e il 3 maggio 2023 viene sventato un attentato al presidente della Russia Vladimir Putin, che è rimasto illeso. Due droni hanno colpito la cupola del Cremlino. Sui social network russi sono comparse le immagini delle esplosioni. Mosca ha denunciato che i due droni erano ucraini aggiungendo che adotterà misure di ritorsione contro Kiev che, da parte sua, afferma invece di “non ha nulla a che fare” con l’attacco. Il presidente Putin non era al Cremlino nel momento dell’attacco.

Il 24 giugno 2023 è scoppiato il caso Wagner. Il gruppo di miliziani guidati da Evgeny Prigozhin ha lasciato il teatro di combattimento in Ucraina ed è entrato in territorio russo prendendo il controllo di tutti i siti militari nella città di Rostov-sul-Don, la più grande città della Russia meridionale e punto chiave dell’offensiva di Mosca contro Kiev. Prigozhin ha chiesto un incontro alla leadership militare russa, intimando che se il capo dello stato maggiore Gerasimov e il ministro della Difesa Shoigu non si dovessero recare a Rostov-sul-Don, i mercenari sono pronti a marciare verso Mosca, dichiarando a nome dei suoi uomini “Tutti noi siamo pronti a morire. Tutti e 25 mila, e poi altri 25 mila”.

Durissima è stata la risposta alle minacce del capo della Wagner da parte del presidente russo, Vladimir Putin, che ha registrato un appello alla nazione messo in onda dalle tv russe nelle dichiarando che “l’azione della Wagner è una pugnalata alle spalle del popolo e del Paese”. Appena 48 ore dopo, Prighozin dichiara la volontà di tornare indietro in Ucraina per “evitare un bagno di sangue”, riferendo di aver accettato la mediazione del presidente bielorusso Alexandr Lukashenko per far finire la crisi innescata dalla milizia.

Il 7 luglio Zelensky va in Turchia. Il presidente ucraino ha incontrato, in una visita ufficiale, il presidente turco Erdogan per siglare una serie di accordi fra cui l’impegno turco di stabilire produzioni militari in Ucraina. Inoltre è stato permesso a Zelensky di riportarsi a casa cinque comandanti del gruppo Azov. In una dichiarazione Erdogan ha riferito che “l’Ucraina ha il diritto di diventare membro della Nato”.

L’8 luglio  a 500 giorni dall’inizio della guerra la Missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite in Ucraina (HRMMU) ha certificato la morte di 9.177 civili ucraini (494 bambini, di cui 1.051 rimasti feriti) e più di 11.000 feriti dall’inizio del conflitto, ma il numero sarebbe stato molto più alto. Secondo l’esperto di affari militari Stefano Orsi, gli ucraini avrebbero perso almeno 200.000 uomini sul fronte, i russi circa 45.000.

Il 17 luglio due persone sono rimaste uccise in un raid contro il ponte di Kerch, in Crimea, di cui le autorità russe accusano apertamente Kiev. Il ponte collega la Crimea ai territori della Federazione russa Le autorità ucraine non hanno smentito il loro coinvolgimento nell’attacco. Mosca minaccia dure ripercussioni. L’attacco è avvenuto a poche ore dalla scadenza dell’ultimo accordo fra Mosca e Kiev, patrocinato dalla Turchia, per consentire l’export di grano e cereali dai porti ucraini. Il presidente Putin ne ha annunciato la fine, sottolineando che l’attacco di Kerch non ha alcun legame con questa decisione.

Il 5 ottobre un attacco russo nel Villagio di Groza, nella regione nordorientale di Khariv ha provocato la morte di 51 persone e il ferimento di altre sei. L’esplosione è avvenuta mentre si svolgeva una cerimonia commemorativa nel piccolo villaggio di Groza che ha solo 330 abitanti.

Il 12 ottobre il Comitato olimpico internazionale (Cio) ha sospeso la partecipazione del Comitato olimpico russo con effetto immediato a causa dell’annessione illegale da parte della Federazione Russadelle quattro regioni Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Cherson. La sospensione promossa del Cio rappresentava l’impossibilità del comitato olimpico russo di operare come comitato olimpico nazionale, pertanto non avrebbe potuto ricevere alcun finanziamento dal movimento olimpico.

Il 3 gennaio 2024 l’Ucraina ha sferrato degli attacchi nelle due regione russe al confine con la Crimea nelle città russe di Belgorod e più al nord, nella regione di Kursk colpendo infrastrutture elettriche e condutture dell’acqua, lasciando senza corrente e riscaldamento le persone dei villaggi vicini alle due località. Negli attacchi hanno perso la vita 25 civili. 

Il 24 febbraio in occasione del secondo anniversario dall’invasione russa in Ucraina, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha riferito che sono oltre 31.000 i soldati ucraini che hanno perso la vita in guerra. Un rapporto dell’intelligence USA pubblicato a dicembre 2023 ha rivelato che i soldati russi rimasti uccisi o feriti in Ucraina sono oltre 315.000.

Il 17 marzo Vladimir Putin ha vinto le elezioni presidenziali con una percentuale dell’87%. Hanno partecipato al voto 87.1 milioni di elettori su 112.3 milioni nel totale. La maggior parte dei candidati dell’opposizione sono morti, incarcerati, esiliati o esclusi dalla candidatura. Tra questi, Evgeny Prigozhin, comandante del gruppo paramilitare russo Wagner, ucciso mentre si trovava a bordo del suo jet privato abbattuto da un missile nei pressi di San Pietroburgo, esattamente due mesi dopo aver guidato la marcia su Mosca come sfida nei confronti del presidente Putin. Il Cremlino, tuttavia, ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nella morte di Prigozhin. Un altro noto esponente dell’opposizione candidato alle elezioni era Alexey Navalny, morto in circostanze sospette mentre si trovava in un carcere in esilio in Siberia. La famiglia e i sostenitori dell’ex dissidente russo hanno accusato Putin di essere il responsabile della morte di Navalny, affermazione fortemente respinta dal Cremlino.

Il 22 marzo un massiccio bombardamento russo ha colpito più grande centrale idroelettrica ucraina vicino al fiume Dnepr. Il lancio di otto missili ha causato la morte di 5 persone e il ferimento di atre 30. Gli ingenti danni alla centrale idroelettrica causati dalle esplosioni hanno lasciato senza elettricità oltre 1.5 milioni di abitanti delle regioni di Zaporižžja (sudest dell’Ucraina) e Chmelnytskyj (ovest dell’Ucraina).

Il 26 aprile la Russia blocca la rete ferroviaria ucraina con il tentativo di paralizzare le forniture militari, in particolare quelle provenienti dagli alleati occidentali. La rete ferroviaria è stata spesso presa di mira dai bombardamenti russi negli ultimi due anni, in special modo è stata colpita più volte la stazione di Kramatorsk, grande snodo ferroviario nell’est del Paese e luogo di riparo per centinaia di civili fin dall’inizio della guerra. I bombardamenti hanno colpito anche le infrastrutture ferroviarie nelle regioni di Balaklia, Khariv e Cherkassy, causando la morte di una decina di persone solo nelle ultime due settimane.

Il 25 giugno l’Unione Europea avvia formalmente i negoziati di adesione dell’Ucraina, la cui domanda era stata presentata dal presidente Zelenskiy nel febbraio del 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione russa. La Commissione ha presentato il suo parere sulla domanda nel giugno 2022 e tutti gli Stati membri dell’UE hanno concesso all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione all’UE. Ciò ha spinto l’Ucraina a promuovere una stagione di riforme che ha trovato un largo consenso a parte della popolazione, come la riforma del sistema giudiziario, la riduzione del potere degli oligarchi, garantire la tutela delle minoranze nazionali, lottare contro il riciclaggio di denaro e la riforma degli organi di governance giudiziaria.  Per questo, dato lo sforzo del paese di soddisfare gli standard richiesti, anche in circostanze di guerra, l’UE ha deciso di avviare formalmente il processo di annessione.

L’8 luglio viene bombardato l’ospedale pediatrico più grande del Paese. Gli attacchi militari russi su diverse città in Ucraina, tra cui Kiev, hanno provocato la morte di 42 civili, tra cui 5 bambini, e il ferimento di altre 190. Le esplosioni hanno causato gravi danni a varie infrastrutture vitali, tra cui l’ospedale pediatrico Okhmatdyt di Kiev. Il direttore dell’ospedale ha riferito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che l’attacco ha reso inagibili diversi reparti, tra cui l’unità di terapia intensiva e quello di oncologia e chirurgia, distruggendo completamente quelli di tossicologia e traumatologia. Durante i bombardamenti centinaia di bambini, tra cui quelli sottoposti a dialisi, sono stati evacuati subito dopo l’allarme delle sirene antiaeree.

 Ordinamento dello Stato e contesto socio-culturale

L’Ucraina ha dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica il 24 agosto 1991 ed oggi è una Repubblica semipresidenziale. Il presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto e rimane in carica 5 anni. Il Parlamento (Verchovna Rada – Consiglio Supremo), su proposta del presidente della Repubblica, nomina il Primo Ministro. Il Parlamento è monocamerale ed è composto da 450 deputati, con un mandato di 5 anni. La mozione di sfiducia al governo può essere votata a maggioranza assoluta, su proposta del presidente della Repubblica o di almeno 1/3 dei suoi membri.7

L’Ucraina è un paese multietnico, multilingua e multiculturale. Secondo l’ultimo censimento, avvenuto nel 2001, circa il 77,8% della popolazione ucraina si identifica come etnia ucraina, mentre il secondo gruppo più numeroso sono i russi, che rappresentano il 17,3% della popolazione. Altre nazionalità rappresentate in modo significativo includono moldavi (0,5%), rumeni (0,3%), bielorussi (0,6%), tartari di Crimea (0,5%), bulgari (0,4%), ungheresi (0,3%), polacchi (0,3%) e ebrei (0,2%).7

A grandi linee, si può quindi affermare che la popolazione ucraina si divide in tre grandi gruppi:

  • Etnia ucraina;
  • Etnia russa;
  • Altre minoranze etniche.

Un dato interessante rivela una discrepanza piuttosto ampia tra etnia dichiarata e lingua: tra i 77,8% dichiaratesi di nazionalità ucraina, l’85,2% ha dichiarato l’ucraino come lingua madre mentre il 14,8% il russo. Tra il 17,3% di coloro dichiaratesi di etnia russa, invece, il 95,9% ha identificato il russo come lingua madre mentre solo il 3,9% l’ucraino.

Dal giorno in cui l’Ucraina ha dichiarato la propria indipendenza nel 1991, il paese si è impegnato nella costruzione di un’identità nazionale che fosse in grado di unire varie regioni con popolazioni etnicamente diverse. Gli eventi storici che si sono susseguiti hanno tuttavia minato questo obiettivo: dalle proteste di Euromaidan, all’annessione della Crimea alla Russia fino all’attuale conflitto Russo-Ucraino, le divisioni tra est e ovest sono aumentate. Tutto ciò è molto interessante anche dal punto di vista politico, poiché è stato riscontrato che alle elezioni nazionali le persone dei distretti dominati da un determinato gruppo di maggioranza (di lingua ucraina di etnia ucraina) tendono a votare per un candidato. E le persone provenienti da distretti con molti russi etnici o di lingua russa tendono a votare per l’oppositore.

Verso il moderno nazionalismo ucraino

Dal primo giorno di aggressione russa a discapito dell’Ucraina, è stato subito chiaro all’attenzione internazionale che l’inaspettata capacità di resistenza mostrata dal popolo ucraino fosse alimentata da un forte sentimento nazionalista; la lealtà, l’unione e il sacrificio degli uomini rappresentano un unicum nella storia del paese. A sei mesi dall’inizio del conflitto, tale situazione si è rafforzata e ha totalmente demolito la convinzione di Vladimir Putin secondo cui l’Ucraina non sia effettivamente una vera nazione ma solo “un’entità di fabbricazione sovietica”. Il ritrovato nazionalismo ucraino non è di tipo “etnico”, quindi basato sulla supremazia di un determinato gruppo demografico, ma, di contro, mostra un carattere inclusivo e si basa sulla lealtà all’intero stato-nazione piuttosto che a qualsiasi etnia al suo interno. Questa svolta, diretta conseguenza del brutale attacco russo di inizio 2022, risulta molto interessante se si pensa alle divisioni interne che hanno caratterizzato storicamente l’Ucraina.

Diritti umani e libertà fondamentali

Tortura e altri maltrattamenti

Sebbene la costituzione e la legge ucraina proibiscano la tortura e altre punizioni violente, ci sono state segnalazioni secondo cui le forze dell’ordine avrebbero messo in atto tali abusi, tra cui torture alle persone in custodia per ottenere confessioni.

In generale, secondo il Rapporto 2022/23 di Amnesty International, l‘impunità per la tortura e gli abusi commessi dalle forze dell’ordine rimane un problema significativo del paese. Le indagini sulle accuse di questo tipo sono molto lente e spesso inefficaci. Tuttavia, sono stati riscontrati alcuni progressi nei procedimenti giudiziari relativi alle morti durante le proteste EuroMaidan nel 2014, compreso il processo a molti titushki (agenti che lavorano per la polizia) e ad una manciata di ex agenti di polizia. Sono stati aperti 1.918 casi di presunto abuso di autorità da parte della legge contro agenti delle forze dell’ordine. A marzo 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata a favore dei ricorrenti, e contro lo stato, in 115 casi riguardanti condizioni di detenzione che equivalgono a tortura o altri maltrattamenti; 120 casi risultano ancora pendenti.

Nel corso del 2023, le forze russe hanno commesso numerosi gravi abusi contro i civili nelle zone occupate delle regioni di Zaporizka, Khersonska, Donetska e Luhanska. Tra queste l’Human Rights Watch ha certificato numerose sparizioni forzate, esecuzioni sommarie di civili e detenzioni illegali e torture in special modo nei confronti di dipendenti pubblici, attivisti e giornalisti filo-ucraini e altri civili presumibilmente contrari all’occupazione. Hanno commesso violenze sessuali nei confronti di donne dai 19 agli 83 anni, trasferimenti forzati di adulti e bambini ucraini e saccheggi di reperti culturali. Tutte le prove di questi crimini di guerra commessi dalle forze russe nelle regioni di Khersonska e Kharkivska, sono emerse grazie alla scoperta dei centri di tortura che le forze russe hanno gestito a Kherson durante la loro occupazione.

 Abusi contro i prigionieri di guerra

I prigionieri di guerra ucraini e russi sono stati maltrattati, torturati e, in alcuni casi giustiziati.

Dall’inizio della guerra l’OHCHR ha documentato episodi di tortura e maltrattamento di prigionieri di guerra russi detenuti dalle forze ucraine, al momento della cattura e durante l’internamento, comprese le percosse all’ingresso nei luoghi di internamento e l’inginocchiamento forzato per lunghi periodi. Sia le autorità russe che quelle ucraine hanno trasmesso immagini e dettagli dei prigionieri di guerra catturati mentre subivano torture.

Tra il 2023 e il 2024, la Missione di Monitoraggio delle Nazione Unite ha documento 77 casi di tortura in Ucraina. I prigionieri russi hanno subìto maltrattamenti che includono l’uso di minacce, intimidazioni e il ricorso alla violenza fisica durante gli interrogatori all’interno di luoghi di detenzione non ufficiali o nel corso dei trasferimenti dal fronte. Sono stati documentati 900 casi di detenzione arbitraria di civili, di cui 864 effettuati dalle forze russe. Tra i detenuti, 260 erano civili arrestati per le loro opinioni politiche. La maggior parte dei detenuti è stata sottoposta a tortura e maltrattamenti, inclusa la violenza sessuale.

Anche i prigionieri di guerra ucraini fin dall’inizio del conflitto hanno continuato a subìre sistematiche violazioni dei diritti umani. Nell’ultimo report dell’OHCHR emerge che su 60 prigionieri di guerra intervistati, 58 hanno fornito resoconti dettagliati delle torture inferte loro dai soldati russi durante il loro periodo di prigionia. I prigionieri ucraini hanno subìto percosse, scosse elettriche, minacce di esecuzione, finte esecuzioni e torture posizionali.

Secondo il Report di Human Rights Watch 2023, sia le forze russe che le forze ucraine hanno utilizzato munizioni a grappolo che mine antiuomo, assolutamente vietate dalla legge internazionale. Prove significative incriminano le forze armate ucraine per l’utilizzato mine antiuomo, ciò rende l’Ucraina uno dei più contaminati dalle mine al mondo, con oltre 174.000 chilometri quadrati contaminati da mine e residuati bellici esplosivi che richiederanno decenni per essere bonificati.

Condizioni delle carceri

Durante il primo anno di guerra, si era riscontrato che le condizioni delle carceri e dei centri di detenzione in Ucraina sono precarie e non soddisfano gli standard internazionali, rappresentando spesso una seria minaccia per la vita e la salute dei detenuti. Abusi fisici, sovraffollamento delle celle, mancanza di cure mediche e nutrizione adeguate, scarse condizioni igienico-sanitarie e mancanza di luce adeguata sono problemi persistenti.

Discriminazione

A luglio 2021, il governo ha approvato una strategia nazionale al 2030 per combattere la discriminazione contro la comunità Rom. Tuttavia, alcune violenze a scapito della comunità accadute negli anni passati, tra cui la distruzione di un campeggio e l’attacco avvenuti a Kiev nell’agosto 2018, non hanno ricevuto l’attenzione necessaria. Ad agosto 2021, l’ufficio del procuratore generale ha informato Amnesty International di aver annullato la decisione di interrompere le indagini, ma non sono stati segnalati ulteriori progressi.

La guerra ha peggiorato la situazione già critica di questa minoranza anch’essa in fuga dal paese, ma il permesso di soggiorno una volta raggiunta la frontiera viene loro negato poiché sprovvisti di cittadinanza ucraina. Trovare un alloggio risulta difficile per via del clima di ostilità e indifferenza nei loro confronti, per questo in molti scelgono di tornare indietro accettando i rischi del vivere in un contesto di guerra invece che proseguire e scontrarsi con la costante discriminazione.

 Libertà di espressione e di stampa

La costituzione e la legge ucraine prevedono espressamente la libertà di espressione e di stampa, sebbene alcuni media nazionali siano stati, negli anni, presi di mira dalle autorità. Il governo ha, infatti, bandito, bloccato o sanzionato i media e i singoli giornalisti che sono stati ritenuti una minaccia alla sicurezza nazionale o che hanno espresso posizioni che le autorità ritenevano minate la sovranità e l’integrità territoriale del paese. Altre pratiche problematiche hanno continuato a influenzare la libertà dei media, tra cui l’autocensura, i cosiddetti pagamenti jeansa (pubblicazione a pagamento di articoli infondati o di parte) e la copertura di notizie inclinata da parte dei media i cui proprietari avevano opinioni politiche filo-Russia, o interessi economici o politici da proteggere.

A novembre 2021, il proprietario del quotidiano indipendente Kyiv Post, sotto le costanti pressioni dell’amministrazione presidenziale, ne ha sospeso la pubblicazione con effetto immediato. Lo staff ha annunciato che la matrice del licenziamento fosse la natura indipendente del loro giornalismo.

L’indagine sugli attacchi, compresi gli omicidi, contro giornalisti e difensori dei diritti umani è stata lenta e spesso inefficace. Le udienze in tribunale sono continuate nel caso contro le tre persone accusate di aver piazzato un’autobomba che ha ucciso il giornalista bielorusso-russo-ucraino Pavlo Sheremet (Pavel Sharamet) nel luglio 2016. Commentatori e giornalisti hanno espresso dubbi sulla credibilità dell’indagine. Gli imputati hanno negato le accuse, insistendo sul fatto che erano motivate politicamente. A gennaio 2021 sono state pubblicate prove secondo cui l’omicidio era stato pianificato dalle autorità bielorusse. Vital Shyshou, famoso capo della Casa Bielorussa in Ucraina, è stato trovato impiccato in un parco a Kiev la mattina del 3 agosto 2021. In precedenza si era lamentato con i suoi colleghi di essere stato seguito e minacciato di rappresaglie dai servizi di sicurezza bielorussi. Le autorità ucraine hanno indagato sulla sua morte come sospetta, anche se alla fine dell’anno non è stato riportato alcun risultato.

Nel corso del 2023 le autorità russe nelle città occupate hanno continuato a cercare di cancellare la cultura e la lingua ucraina, imponendo il russo come lingua di insegnamento nelle scuole, in totale violazione del diritto internazionale. Hanno utilizzato metodi coercitivi come la detenzione, la tortura e i maltrattamenti per costringere gli educatori locali a eseguire gli ordini. Hanno minacciato i genitori i cui figli studiano online nel sistema scolastico ucraino con multe, detenzione e privazione della custodia dei figli.

  La libertà di espressione in periodo di guerra

I reportage di guerra da parte di giornalisti indipendenti sono essenziali per garantire che il mondo sia informato sulle violazioni dei diritti umani, sui crimini di guerra, sui crimini contro l’umanità e sul genocidio. In Ucraina, dall’inizio del conflitto a febbraio 2022, almeno otto giornalisti sono stati uccisi in servizio dalle forze russe. Innumerevoli altri sono stati feriti, colpiti da colpi di arma da fuoco, rapiti e minacciati. Nel marzo del 2022, la Russia ha lanciato attacchi missilistici sulla torre radio e televisiva di Kiev, distruggendo almeno 32 canali TV e dozzine di stazioni radio nazionali e uccidendo il cameraman ucraino Yevhenii Sakun.

Nella regione del Donbas, occupata dalle truppe russe dal 2014, la libertà di parola e di stampa sono state soppresse attraverso molestie, intimidazioni, rapimenti e aggressioni fisiche a giornalisti e organi di stampa. È inoltre vietata la trasmissione di programmi televisivi e radiofonici ucraini e indipendenti nelle aree sotto il loro controllo.

Il 31 marzo 2023 è entrata in vigore in Ucraina una nuova legge che permette al Consiglio Nazionale di sospendere i siti web d’informazione considerati “pericolosi”, avendo un controllo totale anche sulla radiodiffusione e sulla televisione. La nuova legge permette al Consiglio anche di multare i media, impedire le pubblicazioni e revocare le licenze, senza che l’autorità giudiziaria intervenga. I giornalisti si stanno opponendo al tentativo di introduzione della censura e limitazione della libertà di informazione, ma i sostenitori del decreto si giustificano dichiarando che tutto ciò avviene per combattere la disinformazione e la propaganda russa.

 Libertà di assemblea

Sebbene il diritto di assemblea pacifica sia costituzionalmente tutelato in Ucraina, alcune minoranze (come gli attivisti LGBTIQ+) sono spesso presi di mira da gruppi violenti e devono fare affidamento sulle autorità per poter esercitare pacificamente i loro diritti. Da luglio a settembre 2021 si sono svolte manifestazioni a sostegno dei diritti LGBTIQ+ in diverse città, tra cui Kryvyi Rih, Odessa, Kharkiv e Kyiv. I partecipanti hanno potuto manifestare pacificamente grazie alla protezione della polizia, nonostante la continua atmosfera di intimidazioni e attacchi omofobi.

Libertà di religione

La costituzione ucraina prevede e tutela la libertà di religione. Per legge, il governo può limitare questo diritto solo nell'”interesse di proteggere l’ordine pubblico [o] la salute e la moralità della popolazione o di proteggere i diritti e le libertà di altre persone”. La costituzione afferma, inoltre, la “separazione della chiesa e delle organizzazioni religiose dallo Stato” e stabilisce: “Nessuna religione deve essere riconosciuta dallo Stato come obbligatoria”. L’obiettivo della politica religiosa interna è favorire la creazione di una società tollerante e provvedere alla libertà di coscienza e di culto. Come ulteriore tutela, la legge ucraina prevede la punizione, sotto forma di multa o reclusione, per “le azioni dolose che incitano all’inimicizia e all’odio nazionali, razziali o religiosi, all’umiliazione dell’onore e della dignità nazionale, o all’offesa ai sentimenti dei cittadini rispetto alle loro convinzioni religiose , e anche qualsiasi limitazione diretta o indiretta dei diritti, o concessione di privilegi diretti o indiretti a cittadini in base a razza, colore della pelle, convinzioni politiche, religiose e di altro tipo, disabilità, sesso, origine etnica e sociale, stato patrimoniale, luogo di residenza, [o] caratteristiche linguistiche o di altro tipo”. Il presidente Zelensky il 7 ottobre 2021 ha approvato una nuova legge che definisce il concetto di antisemitismo e ribadisce la punizione per i reati motivati dall’antisemitismo. La legge riafferma anche la punizione per aver rilasciato dichiarazioni false o stereotipate su persone di origine ebraica, prodotto o diffuso materiale contenente affermazioni o contenuti antisemiti e negato i fatti della persecuzione e dell’uccisione di massa di ebrei durante l’Olocausto.

Soggetti vulnerabili

Donne e violenza di genere

La costituzione ucraina prevede pari diritti per uomini e donne; tuttavia, secondo il ministero dell’Economia, gli uomini guadagnano in media il 18% in più rispetto alle donne e vi sono ancora circa 50 tipologie di occupazioni vietate al sesso femminile. 61

La legge ucraina proibisce la violenza domestica e lo stupro di donne e uomini. La pena per lo stupro è da tre a 15 anni di reclusione, mentre la violenza domestica è punibile con multe, ordini restrittivi fino a 10 giorni, ordini restrittivi ordinari da uno a sei mesi, arresti amministrativi e servizio alla comunità. 

Tuttavia, secondo Amnesty International, nel 2021 la violenza domestica e la discriminazione di genere – in particolare contro le donne – ha avuto aumento significativo, esacerbato dalle misure di quarantena relative al COVID-19. Nei primi sei mesi dell’anno, la polizia ha ricevuto 103.000 denunce di violenza domestica. Nonostante il rafforzamento dei servizi di supporto per i superstiti e l’aumento delle misure politiche e legislative con lo scopo di combattere la violenza domestica, la loro efficacia risulta tutt’oggi insufficiente.

Un unico passo avanti è stato compiuto a luglio 2021, quando è stata promulgata una nuova legge che ha eliminato gli ostacoli legali che avevano, di fatto, esonerato il personale militare e gli agenti di polizia dall’azione penale e amministrativa per violenza domestica, con un inasprimento della pena di sei mesi e l’introduzione di nuove sanzioni, tra cui il lavoro obbligatorio e la detenzione fino a 10 giorni.

Violenza sessuale correlata al conflitto

La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha riferito di diversi casi di violenza sessuale e di genere legata al conflitto. Tra il 24 febbraio e il 21 ottobre sono stati documentati 86 casi di violenza sessuale. Le donne, comprese le donne anziane, e le ragazze costituivano la maggioranza di tutte le vittime segnalate. La distruzione di strutture sanitarie hanno ostacolato l’accesso delle sopravvissute ai servizi di supporto medico e psicologico. Human Rights Watch, nel suo report del 2023, ha documentato 231 casi di violenza sessuale legata al conflitto (CRSV), perpetrata dalle forze russe nelle aree occupate dell’Ucraina e nelle strutture di detenzione russe.

Bambini

La costituzione ucraina condanna gli abusi su minori, prevedendo sanzioni da tre anni all’ergastolo, a seconda della gravità. La legge criminalizza, inoltre, i rapporti sessuali tra adulti e persone di età inferiore ai 16 anni, con reclusione fino a cinque anni per la sua violazione. Il codice penale qualifica come stupro i rapporti sessuali con una persona di età inferiore ai 14 anni. Tuttavia, le autorità non sono spesso in grado di rilevare efficientemente i casi di violenza contro i bambini e di fornirgli adeguata assistenza. I servizi preventivi risultano sottosviluppati. Ci sono stati anche casi di lavoro forzato che hanno coinvolto bambini. La legge ucraina vieta il lavoro minorile nella maggior parte dei casi, ma non sempre fornisce agli ispettori un’autorità sufficiente per condurre le ispezioni. L’età minima del lavoro è 16 anni, ma i minori che hanno 14 anni possono svolgere un “lavoro leggero” indefinito con il consenso di un genitore. 

La guerra sta mettendo in pericolo la sicurezza dei minori. Il numero esatto dei bambini deportati non è al momento ancora ben chiaro. Maria Llova-Belova, la commissaria del Cremlino per l’infanzia, ha dichiarato che oltre 700mila ragazzi e bambini ucraini hanno raggiunto volontariamente la Russia per sfuggire dalla guerra. Dmytro Lubinets, commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino, sostiene che i bambini allontanati siano in realtà 150mila e che si tratti quindi solo di una voluta esagerazione. Non è possibile conoscerne il numero esatto, infatti alcuni potrebbero essere stati uccisi dalla guerra, invece altri hanno già visto assegnato loro un cognome russo. La presidenza russa ha emesso un decreto che consente l’adozione facilitata, nonostante il diritto internazionale vieti le adozioni di bambini mentre avviene un conflitto e consideri un reato l’assegnazione di una nazionalità diversa da quella di origine.

 LGBTQI+

La costituzione ucraina prevede la libertà di orientamento sessuale, ma le stesse autorità nazionali non sembrano affrontante con la giusta efficienza i costanti attacchi di matrice violenta contro la comunità LGBTQI+. A maggio 2021, è stata proposta in parlamento una bozza di legge che proponeva di ampliare la definizione dei crimini ispirati dall’odio per coprire quelli motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Tuttavia, si è verificata un’escalation della violenza da parte di gruppi omofobi durante l’intero anno: dal vandalismo contro il centro comunitario della ONG Sphere, all’attacco contro il luogo in cui il KyivPridegroup aveva organizzato la proiezione di un film, lanciando all’interno un razzo e una bombola di gas. La polizia ha aperto un’indagine penale per “teppismo” ma non è riuscita a qualificare l’incidente come crimine di odio. Altri crimini hanno avuto luogo a Kiev il 29 maggio 2021, dove una folla ha attaccato il centro comunitario del gruppo LGBTQI+ nella capitale. Lo stesso giorno a Odessa, sette uomini mascherati in nero hanno lanciato pietre presso l’ufficio dell’associazione LGBTQI+ “LIGA” e danneggiato una delle sue telecamere a circuito chiuso. La polizia si è, tuttavia, rifiutata di aprire un’indagine criminale contro gli autori di entrambi gli eventi violenti, causando lo sdegno degli attivisti che hanno sporto denuncia per inerzia della polizia.

Rifugiati e sfollati interni

Nel febbraio 2022 l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha creato lo spostamento più rapido dalla seconda guerra mondiale. Nei primi giorni della guerra, oltre 200.000 persone al giorno sono fuggite dalle loro case per riversarsi nei paesi confinanti. Alla fine del 2022 si contavanono 11,6 milioni di sfollati, il 16% della popolazione di rifugiati in tutto il mondo, di cui 5,9 milioni all’interno dei confini del Paese e 5,7 milioni nei paesi vicini.

Secondo l’ultimo Global Trends Report di UNHCR sono oltre 6 milioni i rifugiati ucraini. La maggior parte dei rifugiati ucraini è costituita principalmente da donne (59%), bambini (33%) e anziani (7%). Gli sfollati interni (IDP) sono 3.6 milioni. Nel 2023 ci sono state 43.000 nuove richieste di asilo.

Riepilogo fonti