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GEOGRAFIA
La Repubblica democratica di Somalia è situata lungo la costa orientale dell’Africa e confina a Nord-ovest con l’Etiopia e con Dijibuti per un piccolo tratto di frontiera e a Sud-Ovest con il Kenya. È una terra semiarida appartenente alla regione del Corno d’Africa. Il territorio è prevalentemente pianeggiante a Sud e montuoso a Nord, dove le montagne superano i 2000 metri. La parte costiera occidentale è bagnata dal Golfo di Aden e dall’Oceano Indiano. La Somalia ha generalmente un clima semi arido. La principale caratteristica climatica è l’alternarsi di stagioni secche e umide e l’assenza di qualsiasi variazione stagionale della temperatura.
ECONOMIA
Data la mancanza di un governo nazionale efficace, l’economia somala è principalmente informale. Migliaia di lavoratori somali nei paesi arabi forniscono le merci mancanti sul mercato somalo evitando i dazi imposti sulle importazioni[1]. Il mercato ufficiale, invece, è principalmente basato sull’esportazione di bestiame, soprattutto verso l’Arabia Saudita, lo Yemen e gli Emirati Arabi Uniti, nonché su società di rimesse/trasferimento di denaro e telecomunicazioni.
L’agricoltura è il settore più importante, con il bestiame che rappresenta circa il 40% del PIL e più del 50% dell’esportazione. L’agricoltura in Somalia può essere suddivisa in tre sotto-settori. Il primo è la pastorizia nomade, che si basa sull’allevamento di capre, pecore, cammelli e bovini. Il secondo settore è l’agricoltura tradizionale, prevalentemente di sussistenza, praticata dai piccoli agricoltori. Il terzo settore consiste nell’agricoltura con coltivazione di piantagioni di media e grande scala, dove le colture principali sono quelle di banane, canna da zucchero, riso, cotone, ortaggi, pompelmi, mango e papaia.
La Somalia non gode di grandi ricchezze minerarie e il piccolo settore industriale della Somalia è spesso soggetto a malfunzionamenti tecnici o soprusi, le strutture vengono danneggiate e i macchinari e i prodotti rubati. Il settore bancario somalo è assai limitato e poco sviluppato. Dopo il colpo di stato nel 1991 le attività bancarie formali sono state fortemente ostacolate. La valuta del Paese, lo scellino somalo, si sta deprezzando da anni, portando ad un aumento delle valute regionali o contraffatte.
La debolezza del governo somalo influisce sulla sua capacità di riscuotere le entrate interne, costringendo il paese a ricorrere a finanziamenti esterni. Nel 2017, il debito estero era stimato a circa il 77% del PIL. I problemi legati alla sicurezza interna del Paese sono aggravati dagli aumenti dei prezzi sui generi alimentari che stanno portando allo stremo la popolazione. La Somalia dipende fortemente dalle importazioni di cibo; oltre il 90% della sua fornitura di grano, infatti, proviene dalla Russia e dall’Ucraina. Il conflitto armato tra questi due stati ha esacerbato ulteriormente la situazione, già di per sé drammatica, di carenza di cibo in Somalia. A causa della siccità milioni di capi di bestiame muoiono ogni anno.
INDICI DI SVILUPPO
CONTESTO STORICO
Periodo coloniale 1839-1897
L’interesse europeo in Somalia iniziò a svilupparsi dopo il 1839, quando la Gran Bretagna cominciò a usufruire del Golfo di Aden come base per il rifornimento di carbone delle navi che viaggiavano sulle rotte dirette in India. L’Italia e la Francia, guidati dal medesimo interesse per le loro navi, si stabilirono nelle regioni settentrionali della nazione. I francesi a Gibuti e gli italiani prevalentemente sulla costa di Asab, in Eritrea. Quando, intorno al 1880, ebbe inizio la corsa
europea verso la conquista dei territori africani, la Somalia era, quindi, contesa tra queste tre potenze. Presto si aggiunse un quarto attore: l’Etiopia, quando Menelik II divenne imperatore, nel 1889. Nel 1888, La Francia e la Gran Bretagna, dopo aver rischiato un conflitto armato, riuscirono ad accordarsi sulla demarcazione dei confini relativi ai territori costieri sotto il loro controllo. La regione francese comprendeva l’area di Gibuti che divenne formalmente “la costa francese dei somali”, anche conosciuta come Somalia francese (French Somaliland). Questo territorio rimase una colonia francese fino al raggiungimento dell’indipendenza e alla costituzione della Repubblica di Gibuti, nel 1977. L’influenza britannica, che si estendeva sull’area costiera intorno alle località di Zeila e Barbera, venne formalizzata intorno agli anni ’80 del 1800 con diversi trattati che prevedevano garanzie di protezione ai capi dei diversi clan somali locali. La regione divenne, quindi, un protettorato con la denominazione di Somalia Britannica (British Somaliland). Anche se la Francia e la Gran Bretagna avevano acquisito il controllo di due importanti tratti di costa (rilevanti, soprattutto dal punto di vista commerciale se si pensa all’apertura, nel 1869, del canale di Suez) la maggiore disputa che riguardava il controllo di gran parte del territorio somalo si giocava tra l’Italia e l’Etiopia. L’Italia stabilì protettorati nelle zone costiere ad est oltre la Somalia Britannica e le società italiane acquisirono locazioni su parte dei territori di fronte alla costa est. Nel 1884 l’Italia si accordò con la Gran Bretagna per la spartizione delle rispettive aree di influenza, ponendo i confini tra la Somalia Britannica e la Somalia Italiana appena a ovest di Bender Cassim (attuale Bosaso).
Inizialmente l’Italia aveva buone relazioni anche con l’Etiopia. Nel 1889, in particolare, il Trattato di Uccialli era volto a regolare i rapporti reciproci tra i due Stati, oltre che ad accettare le recenti acquisizioni territoriali italiane in Eritrea, che il sovrano etiope riconosceva come colonia italiana. Ma il disaccordo sull’interpretazione di alcune disposizioni del trattato portò a un inasprimento dei rapporti tra le due nazioni che, nel 1896, sfociò in una guerra conclusasi con la disastrosa sconfitta degli italiani ad Adua. Nonostante questi eventi riguardassero solamente l’Eritrea, la debolezza della posizione italiana ebbe ripercussioni immediate anche in Somalia. La grande regione somala dell’Ogaden – che collegava l’Etiopia alla parte costiera somala sotto il controllo italiano – non era stata fino ad allora sottoposta ad alcun potere imperiale. Dopo la disfatta di Adua, gli italiani non furono più in grado di resistere alle richieste etiopi su di essa. Il risultato fu un nuovo accordo tra le due potenze che, nel 1896/97, permise all’Etiopia di conquistare le regioni dell’Ogaden e dell’Haud (striscia meridionale della Somalia britannica). Questo accordo (che portò molti somali a stabilirsi permanentemente in Etiopia) divenne un buon compromesso coloniale fino agli anni ’20 del 1900, quando venne rotto dalle aspirazioni espansionistiche dell’Italia Fascista. Negli anni successivi i più grandi sconvolgimenti avvennero nella Somalia britannica dove la rivolta guidata da Mohammed ibn Abdullah Hasan (conosciuto dagli inglesi del tempo come il Mullah pazzo) proseguì per circa due decenni (fino al 1920).
Fascismo, Seconda guerra mondiale e indipendenza (1923-1967)
Una nuova era di conflitti iniziò in Somalia nel 1923, con l’arrivo nella colonia italiana del primo governatore nominato da Mussolini, allora già al potere come dittatore nell’Italia fascista. Durante il Fascismo l’Italia adottò una politica estera volta a sviluppare ed estendere l’interesse imperiale della nazione, che culminò con la disfatta dell’Etiopia e la sua annessione all’Italia nel 1936. La situazione somala si presentava quindi molto tesa allo scoppio della Seconda guerra mondiale. La Somalia francese e britannica era completamente circondata dai territori italiani di Eritrea, Somalia ed Etiopia, che costituivano la cosiddetta Africa Orientale Italiana.
Nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania, le truppe italiane invasero la Somalia britannica costringendo gli inglesi a ritirarsi dalle loro colonie. La Somalia francese intanto aveva dichiarato la neutralità in linea con la politica del governo di Vichy.
Nel 1941 le forze britanniche riconquistarono il protettorato sull’intera area riunendo quasi tutto il popolo somalo sotto il dominio inglese (eccetto la Somalia francese).
Nel 1942 la guarnigione di Gibuti (Somalia francese), fino a quel momento fedele al governo di Vichy, passò nella Somalia britannica e aderì alla causa degli alleati. Con il trattato di pace di Parigi del 1947, l’Italia fu costretta a rinunciare ai possedimenti in Africa. La responsabilità per l’assetto delle ex colonie fu assegnata ai cosiddetti “quattro grandi” (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica). Nel 1948, non avendo raggiunto un accordo soddisfacente, i “quattro grandi” ricondussero la questione al vaglio dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, nel novembre del 1949, approvò un piano che riassegnava all’Italia la sua ex colonia in amministrazione fiduciaria con l’impegno di condurla all’indipendenza entro 10 anni (1950-1960), fatto che avvenne il 1° luglio 1960.
Nel 1960, infatti, gli eventi condussero all’indipendenza sia delle colonie britanniche che italiane, rispettivamente a giugno e a luglio. Esse decisero di unirsi e di costituire la Repubblica Somala (c.d. Somalia). Aden Abdullah Osman Daar venne eletto presidente e nominò Abdirashid Ali Shermarke come Primo Ministro. La colonia francese di Gibuti diventò indipendente nel 1977.
Il conflitto somalo (1960-2000)
Sin da subito, una delle principali questioni della Somalia indipendente fu la necessità di riunire i tre grandi gruppi somali che si trovavano in altri stati, ossia nella Somalia francese, in Etiopia (regione dell’Ogaden e dell’Houd) e nel nord del Kenya. Il mancato raggiungimento di questo ambizioso obiettivo dipese principalmente dal supporto fornito dalle potenze occidentali all’Etiopia e al Kenya. Questa fu una delle ragioni che spinse la Somalia a rivolgersi all’Unione Sovietica per ottenere aiuti militari.
Intanto nel 1967 si tennero le elezioni presidenziali e Shermarke divenne il secondo Presidente della Somalia (vincendo su Daar).
Nel marzo del 1969 si svolsero le ultime elezioni multipartitiche per eleggere i 124 deputati dell’Assemblea Nazionale. Le elezioni si tennero in un clima generale di disordine e violenza (almeno 50 persone vennero uccise durante la campagna elettorale). Il partito che uscì vincitore alle prime elezioni della nuova repubblica fu la SYL o Somali Youth League, costituitosi in origine per condurre la campagna per l’indipendenza all’interno della Somalia britannica. Il 15 ottobre dello stesso anno il presidente Abdirashid Ali Shermarke venne assassinato da un poliziotto del suo picchetto d’onore.
Rispetto alle questioni internazionali, negli anni ’60 del 1900 il governo somalo mantenne una posizione abbastanza neutrale. Nel 1969, la situazione cambiò radicalmente sia a livello interno che internazionale. In un clima di crescente instabilità politica, infatti, il generale Mohammed Siad Barre, prese il potere con un colpo di stato, sciolse il Parlamento, sospese la Costituzione e bandì tutti i partiti politici instaurando una dittatura di stampo marxista. La sua politica era volta ad affermare la supremazia del partito e della nazione come forza opposta al senso di fedeltà e di appartenenza ai diversi clan locali che costituivano, allora come oggi, la caratteristica della società somala. Nel quadro internazionale della guerra fredda, inoltre, la Somalia si allineò al fianco dei sovietici.
Nel 1977, mentre l’Etiopia stava vivendo un momento di grande instabilità dopo la caduta di Haile Selassie la Somalia attaccò le guarnigioni etiopi nell’Ogaden. L’esercito somalo assediò la città di Harar, ma il Presidente Siad Barre venne tradito proprio dalla superpotenza con cui aveva scelto di schierarsi. L’Unione Sovietica, infatti, fornì aiuti militari all’Etiopia. All’inizio del 1978 l’esercito etiope, grazie all’equipaggiamento sovietico e ai rinforzi delle truppe provenienti da Cuba, riconquistò l’Ogaden provocando un esodo di massa di centinaia di migliaia di rifugiati somali che si diressero oltre i confini con la Somalia. All’indomani di questo disastroso epilogo iniziarono a costituirsi gruppi ribelli su base clanica e regionale, sia all’interno che all’esterno del territorio somalo, con l’intenzione di rovesciare il regime centralizzato e repressivo di Siad Barre. L’intervento militare sovietico al fianco dell’Etiopia, inoltre, indusse Siad Barre, dopo l’iniziale filosovietismo, a un progressivo avvicinamento all’Occidente e ai regimi arabi moderati, culminato in una politica di allineamento agli USA.
Dal 1988 la situazione sfociò in una guerra civile che portò alla caduta del regime di Siad Barre, nel 1991. Il Congresso della Somalia Unita (United Somali Congress – USC) scelse Ali Madhi Mohammed, del clan Abgal, come Presidente provvisorio. La nomina non fu riconosciuta da un altro membro dell’USC, Mohamed Farah Aidid, che iniziò un’opposizione armata al nuovo governo con l’aiuto del suo clan, gli Habr Ghedir. Fu l’inizio di un periodo drammatico in cui la Somalia fu segnata dalla presenza di decine di signori della guerra (Warlords). Data l’assenza di un governo centrale e la conseguente impunità, i signori della guerra finanziavano le proprie milizie attraverso i saccheggi, i rapimenti, il mercato nero, il traffico illegale di armi e di droga, l’assistenza estera (Paesi arabi ed Etiopia) e le rimesse, frutto della diaspora somala. Tutto questo alimentò un clima di sempre maggiore fragilità della nazione.
Oltretutto, nel 1991 la fazione che aveva il controllo del territorio della ex Somalia britannica dichiarò l’indipendenza istituendo la Repubblica del Somaliland.
Il periodo 1991-1992 segnò la fase di maggiore intensità del conflitto durante la quale le differenti fazioni claniche combatterono per il controllo dei territori e delle risorse nel sud della Somalia. Il territorio venne a poco a poco diviso in settori sotto il dominio delle diverse tribù. Il conflitto portò alla distruzione delle coltivazioni agricole e degli allevamenti di bestiame, soprattutto nelle aree inter-fluviali, provocando una gravissima carestia. Aumentò drasticamente il numero degli sfollati nonché dei rifugiati in fuga verso il Kenya e l’Etiopia. Nel periodo 1992-1995 gli scontri si localizzarono soprattutto intorno all’area della capitale Mogadiscio. Le lotte tra leader di fazioni rivali nel sud provocarono la morte e lo spostamento di migliaia di somali e ridussero la popolazione alla fame. Nel 1992, in risposta al caos politico e al disastro umanitario, le Nazioni Unite istituirono la missione UNOSOM (United Nations Operation in Somalia). Obiettivo della missione era quello di creare un margine di sicurezza per l’invio di aiuti umanitari alla popolazione civile. La missione soffrì di diversi problemi, sia a livello interno, dovuti ad ambiguità organizzative che generarono confusione nell’esecuzione della stessa, che esterno, ossia dai continui attacchi ai contingenti militari. Il deterioramento della situazione somala portò le Nazioni Unite ad istituire una nuova missione UNITAF (Unified Task Force), conosciuta anche come missione “Restore Hope”, che vide la partecipazione di 24 paesi che contribuirono con 37.000 soldati. Questa operazione ebbe più successo rispetto alla precedente, riuscendo a disarmare molti dei “warlords” e mettendo in sicurezza una buona parte del territorio somalo. Tuttavia gli scontri furono molto accesi, tra questi viene ricordata la battaglia di Mogadiscio, dove venne abbattuto l’elicottero statunitense Black Hawk. Nonostante il miglioramento della situazione, nel 1993, le Nazioni Unite decisero di far confluire la missione UNITAF in una successiva, ossia UNOSOM II, con l’obiettivo di mantenere stabilità e sicurezza all’interno del paese. Tuttavia, l’intricata situazione nel Paese e i nuovi attacchi messi in atto dai “warlords” condussero la missione ONU al fallimento. Le operazioni di ritiro dei contingenti militari sotto UNOSOM II si conclusero all’inizio del 1995. Anche l’Italia era presente in Somalia con la missione IBIS che si ritirò già nel marzo 1994, lo stesso giorno in cui vennero uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Gli anni successivi furono caratterizzati da una crescente frammentazione del territorio sotto il controllo dei sempre più numerosi “warlords”. La situazione disegnava un Paese nel pieno di una crisi politica, economica e sociale con la presenza di diverse e complicate problematiche quali l’inesistenza di controlli alle frontiere, il traffico illecito di armi, le lotte intestine tra clan e la nascita di veri e propri campi di addestramento per le milizie jihadiste.
Tra il 1995 e il 2000 il Paese visse la fase del post-intervento. Il conflitto tra i signori della guerra e le loro fazioni continuò per tutti gli anni ’90. Nessun governo stabile riuscì a prendere il controllo della nazione. L’ONU fornì assistenza alla Somalia inviando aiuti alimentari, ma non furono inviati contingenti di peacekeeping. Alla fine degli anni ’90 la situazione era ancora molto precaria e il perpetrarsi del conflitto in diverse regioni provocò un aumento del numero di sfollati e rifugiati.
Nel 1996 la diplomazia internazionale (in particolare l’IGAD, l’Organizzazione per l’Unità Africana e le Nazioni Unite) riprese l’iniziativa nel tentativo di trovare una soluzione al conflitto in corso. Si susseguirono varie conferenze di riconciliazione e di pace e accordi che vennero presto disattesi con la ripresa di scontri che si concentrarono soprattutto nella città di Mogadiscio.
Nell’estate del ’97 inondazioni distrussero raccolti e villaggi e un’epidemia mise in ginocchio quanto restava dell’economia somalA. Nel 1998 emersero, inoltre, alcune spinte autonomistiche regionali: la regione nordorientale del Puntland si auto dichiarò amministrazione regionale autonoma e, anche se non ebbe un diffuso riconoscimento, nello stesso anno anche la regione del Jubaland dichiarò la propria autonomia.
Il Governo di transizione e l’avanzata delle Corti Islamiche (2000-2006)
Nel 2000 fu raggiunto un accordo ad Arta (Gibuti), per la creazione di un Governo Nazionale di Transizione (TNG), sotto gli auspici dell’IGAD. Tuttavia, l’opposizione dei signori della guerra alla legittimità del TNG provocò l’inasprirsi del conflitto e accrebbe l’esodo di civili in fuga dal Paese. Nel Puntland e nel Somaliland, invece, il processo di ricostruzione andò avanti.
Nel gennaio del 2004 alcuni signori della guerra raggiunsero un accordo sulla condivisione del potere, dopo complicati negoziati tenutisi in Kenya. Questo accordo prevedeva la formazione di un Parlamento costituito da 275 membri. Il TNG fu sostituito nell’ottobre 2004 dal Governo Federale di Transizione (TFG), dopo due anni di conferenze sulla pace e la riconciliazione tenutesi, grazie alla mediazione dell’IGAD, in Kenya. Il TFG fu il 14° tentativo di costituire un governo dal 1991. A capo di questo governo venne posto Abdullah Yusuf, originariamente nominato dai peacekeepers africani per ripristinare l’ordine all’interno del Paese. Dopo una prima fase di attività a Nairobi, a giugno del 2005, il TFG entrò in Somalia. Mogadiscio però era considerata ancora troppo pericolosa nelle mani dei diversi signori della guerra. Così il Governo Federale si installò per un periodo prima a Johwar e poi a Baidoa.
Nell’estate del 2006, gli scontri iniziati dentro la città di Mogadiscio tra i “warlords” e le milizie jihadiste somale portarono queste ultime, controllate dall’Unione delle Corti Islamiche, a scacciare i signori della guerra e a prendere il controllo della città. L’Unione delle Corti Islamiche (ICU) si costituì nel 2000 dall’unione di 11 Corti autonome che lavoravano per portare ordine nella nazione, nel vuoto di potere creatosi in seguito alla cacciata dell’ex leader Siad Barre, nel 1991. La prima Corte fu fondata a Mogadiscio nel 1993 sotto la guida di Sheikh Ali Dheere. Fino al 2000 le Corti operavano separatamente nelle diverse giurisdizioni che erano delimitate da specifici confini. Esse si occupavano di dirimere le controversie locali e di mantenere l’ordine pubblico utilizzando proprie milizie, data l’assenza di un governo centrale. Nel 2000, le Corti si unificarono nell’ICU con lo scopo di rendere applicabili le decisioni che venivano prese sulla base della legge islamica, non più solo all’interno del singolo clan, ma tra i diversi clan. Da Mogadiscio, poco alla volta le Corti Islamiche presero il controllo di buona parte del sud della Somalia fino ad arrivare alle porte di Baidoa, la città dove risiedeva in quel momento il TFG che, nel frattempo, aveva ottenuto la tutela dell’ONU e l’appoggio militare dell’Etiopia. Da Baidoa ripartì l’offensiva governativa che, con il determinante intervento dell’esercito etiope e con il sostegno dei militari della regione del Puntland, rispose al tentativo delle Corti Islamiche di conquistare Baidoa con un attacco senza precedenti che portò in pochissimo tempo a riconquistare Mogadiscio.
Alla fine del 2006 il TFG ottenne così ufficialmente il controllo della capitale, ma nei fatti ebbe inizio un lungo periodo di attentati da parte dei fondamentalisti islamici ai palazzi della Presidenza e del Governo con numerose vittime fra i civili e migliaia di sfollati che abbandonavano il centro di Mogadiscio. In seguito alla loro disfatta, le Corti Islamiche si divisero in diverse fazioni. Quelle più radicali, compresa al-Shabaa, si unirono per continuare la loro lotta contro il TFG. I militanti di al-Shabaab, condussero violenti attacchi soprattutto nel sud e nel centro della nazione. Al-Shabaab cominciò a far parlare di sé già nel 2005, trovando una certa istituzionalizzazione all’interno della formazione delle stesse Corti Islamiche, sotto il nome di Hizb al-Shabaab (partito dei giovani). Il gruppo ha sempre rappresentato l’avanguardia delle Corti, soprattutto da un punto di vista militare. Molti dei suoi leader sono ex appartenenti all’esercito nazionale somalo e sembrerebbero provenire da diverse regioni, comprese quelle scissioniste settentrionali.
Intervento della comunità internazionale: missione AMISOM (2007-2012)
L’inizio del 2007 continuò ad essere segnato dalla guerra e da continui scontri violenti a Mogadiscio. Gli Stati Uniti intervennero direttamente dalla loro base di Gibuti e, tra il 7 e l’8 gennaio, la Somalia fu obiettivo di un attacco aereo statunitense, volto a demolire la sospetta presenza di esponenti di al-Qaeda tra le milizie islamiche. L’intervento statunitense non venne approvato dalla comunità internazionale, tuttavia le incursioni aeree statunitensi proseguirono per tutto il mese soprattutto al sud del Paese. A febbraio 2007 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite autorizzò il dispiegamento di nuova una missione di peacekeeping, in supporto alle Istituzioni Federali Transitorie. Due mesi dopo la missione AMISOM (African Union Mission in Somalia) iniziò il suo ingresso a Mogadiscio. La presenza delle truppe dell’AMISOM, tuttavia, non fu sufficiente a fermare le violenze. L’Etiopia intervenne ancora pesantemente a fine marzo a Mogadiscio. Per tutto il 2007 e il 2008 la situazione si fece sempre più drammatica, le milizie di al-Shabaab ottennero numerose vittorie arrivando a detenere il controllo di alcune città chiave e di importanti porti sia nel centro che nel sud della Somalia. L’obiettivo dichiarato delle milizie islamiste è quello di dare vita a uno Stato islamico in cui si sarebbe applicata la Sharia e di allontanare dal Paese le agenzie delle Nazioni Unite.
Alla fine del 2008 i miliziani arrivarono a conquistare Baidoa, ma non Mogadiscio. Intanto, il Dipartimento di Stato americano annunciò di aver incluso la milizia al-Shabaab nella lista delle organizzazioni terroristiche.
A gennaio 2009 le truppe etiopi si ritirarono dalla Somalia lasciando la missione di peacekeeping come unica forza a difesa del TFG.
A giugno 2009 il Presidente delle Somalia dichiarò lo stato di emergenza a causa dell’intensificarsi delle violenze e chiese alle nazioni vicine l’invio di truppe in aiuto al governo per combattere l’avanzata dei gruppi islamisti.
Nel 2010 si intensificarono i combattimenti per il controllo della città di Beledweye, punto strategico per i collegamenti con il Nord del Paese. Intanto al-Shabaab confermò di aderire alla rete di Al Qaeda. Il mese di febbraio 2010 si aprì con un’offensiva delle milizie islamiste, che tentarono di occupare il palazzo presidenziale di Mogadiscio, mentre aumentavano gli scontri nelle regioni settentrionali.
A settembre 2010 il Primo Ministro Shermarke lasciò la carica e venne sostituito da Mohamed Abdullahi Mohamed.
A febbraio 2011 il Kenya chiuse le frontiere con la Somalia dopo il verificarsi di scontri ai confini tra al-Shabaab e le forze governative.
A luglio 2011 le Nazioni Unite dichiararono che la Somalia stava attraversando una durissima carestia, causata da un periodo di siccità molto intenso che non si verificava da almeno 60 anni. Al-Shabaab decise di alleggerire parzialmente il divieto di operare imposto alle agenzie umanitarie straniere presenti nel sud del Paese e le Nazioni Unite riuscirono a trasportare aiuti alla popolazione civile attraverso un ponte aereo.
A ottobre del 2011 le truppe keniote invasero la Somalia con lo scopo di attaccare i ribelli accusati di essere coinvolti in diversi rapimenti di stranieri avvenuti sul territorio del Kenya. Nello stesso mese, l’esercito statunitense diede il via all’invio di droni da una base in Etiopia e le truppe etiopi avanzarono verso la città di Guriel.
Da febbraio a maggio del 2012 al-Shabaab perse le città chiave di Baidoa e Afgoye che vennero occupate dalle forze del Kenya, dell’Unione Africana e dalle truppe governative. Al-Shabaab perse, così, gran parte del territorio fino ad allora sotto il suo controllo.
Insediamento del nuovo governo somalo
Ad agosto 2012 si insediò, per la prima volta da oltre 20 anni, il primo Parlamento formalmente riconosciuto, ponendo fine a un periodo di transizione durato 8 anni. Le forze governative conquistarono il porto di Merca, a sud di Mogadiscio, sottraendolo al controllo di al-Shabaab.
A settembre 2012 il Parlamento somalo elesse Hassan Sheikh Mohamud come Presidente. Si tratta delle prime elezioni presidenziali avvenute in Somalia dal 1967.
Nel mese di ottobre 2012 l’Unione Africana e le forze governative riconquistarono le città di Wanla Weyn (nord-ovest di Mogadiscio) e, soprattutto, Chismaio: l’ultima grande città rimasta sotto il controllo di al-Shabaab, oltre che il secondo grande porto della nazione. Il Presidente Mohamud nominò Abdi Farah Shirdon Saaid come Primo Ministro.
A gennaio 2013 gli Stati Uniti riconobbero il governo della Somalia per la prima volta dal 1991.
A giugno 2013 Il leader più anziano di al-Shabaab, Sheikh Hassan Dahir Aweys, venne preso in custodia dalle truppe governative. Crebbe la violenza di al-Shabaab che mise in atto diversi attacchi, incluso quello nel palazzo presidenziale e nel quartier generale dell’ONU a Mogadiscio.
A settembre 2013 si svolse a Bruxelles la Conferenza dei Paesi Europei per la Somalia, con lo scopo di organizzare il sostegno dell’UE alla riconciliazione e alla ricostruzione civile ed economica del Paese. I leader somali furono i primi a manifestare il loro interesse nell’impegnarsi nel progetto, determinati a rispondere alle aspettative di una popolazione ormai allo stremo. “Un nuovo patto per la Somalia”, questo il titolo della conferenza che diede vita a un “new deal” per la Somalia. Con questo termine si voleva rafforzare un patto di reciproca responsabilità e di gestione del rischio fra la Somalia e la comunità europea. Venne inoltre accordato un finanziamento di 2,4 miliardi di dollari per la ricostruzione del Paese. Nello stesso mese Al-Shabaab attaccò il Kenya in segno di rappresaglia per il coinvolgimento militare del paese in Somalia, colpendo un centro commerciale a Nairobi dove rimasero uccise 60 persone.
A maggio 2014 Al-Shabaab effettuò un attacco con una bomba in un ristorante a Gibuti.
A giugno 2014 Al-Shabaab rivendicò due attacchi sulla costa keniana in cui morirono più di 60 persone e minacciò di continuare gli attacchi contro il Kenya.
A settembre 2014 il leader di al-Shabaab, Ahmed Abdi Godane, rimase ucciso durante un attacco USA ad opera di alcuni droni. Il governo mise una taglia di due milioni di dollari sul suo successore, Ahmad Omar.
Tra novembre e dicembre 2014 al-Shabaab effettuò una serie di uccisioni di massa nel nord-est del Kenya, attaccando un autobus e un gruppo di operai.
Ad aprile 2015 al-Shabaab rivendicò l’uccisione di 148 persone, principalmente studenti cristiani, presso il Garissa University College nel nord del Kenia. Il Kenia, in risposta, eseguì una serie di raid aerei sulle basi al-Shabaab in Somalia.
A maggio 2015 il Segretario di Stato americano John Kerry si recò a Mogadiscio per una breve visita. Fu il primo funzionario straniero ad effettuare una visita di tale genere.
A febbraio 2016 i leader dell’Unione Africana concordarono sulla necessità di maggiori finanziamenti e sostegno per rafforzare la loro presenza militare in Somalia dopo settimane di attacchi da parte delle milizie di al-Shabaab ai danni di spazi pubblici e truppe pro-governative. Le truppe del governo e dell’Unione africana riconquistarono il porto meridionale di Merca, finito per un breve periodo sotto il controllo al-Shabaab.
A novembre 2016 i leader del Puntland e Galmudug, due regioni somale, accettarono di rispettare un cessate il fuoco nella città di Galkayo, oggetto di una controversia. La lotta per il controllo della città, secondo quanto riferito, originò lo sfollamento di 90.000 persone.
A febbraio 2017 il Parlamento elesse alla presidenza l’ex Primo ministro Mohamed Abdullahi Mohamed, noto come Farmajo. al-Shabaab minacciò di colpire chiunque avrebbe collaborato con lui. collabori con lui.
A marzo 2017 un gruppo di pirati sequestrarono una petroliera al largo della costa di Puntland. Fu il primo dirottamento di un grande imbarcazione avvenuto nella zona dal 2012.
A maggio 2017 il presidente Mohamed, in occasione della conferenza di Londra, chiese di interrompere l’embargo di armi per riuscire a sconfiggere al-Shabaab.
Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres affermò che in Somalia vi erano le condizioni che avrebbero definito la storia somala come una storia di successo.
Il 14 ottobre 2017 due autobombe esplosero presso la K5 Junction, una zona piena di alberghi e ristoranti di Mogadiscio. 869 rimasero coinvolte nell’attentato, 512 delle quali morirono. Un ufficiale somalo definì questo attacco come “l’11 settembre della Somalia”.
Nel novembre del 2017 fu annunciato il progressivo disimpegno dei 22mila militari dell’Amisom presenti nel Paese.
In Somalia perdura lo scontro tra al-Shabaab e il contingente dell’Unione Africana, appoggiato dalle truppe dell’esercito somalo. Se è evidente che il conflitto rispetto al passato calò d’ intensità, allo stesso tempo però continuò a incendiare la nazione e a destabilizzarla. I jihadisti infatti affrontarono una crisi interna e numerose sono le perdite subite negli ultimi anni, oltre alle continue ritirate nell’entroterra del Paese. L’organizzazione terrorista sebbene fosse apparsa in procinto di essere sconfitta, non venne tuttavia mai decapitata e così, come una professionista della resurrezione, riuscì continuamente a riorganizzarsi e a colpire. Oggi la tattica degli Shabaab è cambiata e i guerriglieri islamisti si sono specializzati in attacchi mirati contro obiettivi politici, militari e governativi: la loro strategia e il successo delle loro azioni è visibile nei loro continui agguati.
Nel Country Report on Terrorism 2017 , la Somalia venne indicata come uno tra i rifugi sicuri del terrorismo in Africa, insieme alla regione del Lago Ciad e alla zona trans-sahariana. Il report riportava che, nel 2017, i terroristi somali avevano utilizzato diverse aree del Paese per architettare e condurre attentati, sfruttando l’incapacità delle forze di sicurezza locali di attuare riforme e di adottare una legislazione utile ad innalzare la difesa della Somalia. Nel febbraio del 2017, il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed Fermajo, dichiarò lo Stato di guerra contro il gruppo terroristico.
Il 24 febbraio 2018 almeno 45 persone morirono, e altre decine furono ferite, in due esplosioni a Mogadiscio: la prima vicino al palazzo presidenziale, la seconda vicino agli uffici dell’agenzia somala di intelligence. Il gruppo islamista terrorista al-Shabaab rivendicò gli attentati.
Il 25 marzo 2018 almeno 4 persone morirono a Mogadiscio, nell’esplosione di un’autobomba vicino alla sede del Parlamento. Associated Press scrisse che l’esplosione avvenne a circa 200 metri dal cancello principale del palazzo presidenziale. L’autobomba esplose a un checkpoint dopo che i soldati fermarono il veicolo perché sospetto. Tra i morti c’erano due soldati che stavano lavorando al checkpoint.
Il 12 aprile 2018 durante una partita di calcio in uno stadio di Brava, nel sud della Somalia, esplose una bomba: secondo quanto riferito dalla polizia somala all’agenzia di stampa Associated Press, uccise cinque tifosi e ferito altre otto persone. Al Shabaab rivendicò l’attentato.
Il 2 settembre 2018 almeno tre persone morirono in una grossa esplosione causata da un’autobomba a Mogadiscio: l’obiettivo dell’attacco era un ufficio governativo nel quartiere di Howlwadag e l’esplosione ha provocato il crollo di una scuola e del tetto di una moschea.
L’ 11 novembre 2018 almeno 53 persone morirono per una serie di esplosioni venerdì a Mogadiscio: quattro autobombe esplosero vicino all’Hotel Sahafi: più di cento sono state ferite.
Il 22 dicembre 2018 almeno 13 persone morirono a Mogadiscio, in seguito all’esplosione di due autobombe avvenute a pochi minuti di distanza una dall’altra, in un’area centrale della città, vicina al palazzo presidenziale.
A dicembre 2018, dopo 27 anni, gli Stati Uniti ristabilirono una presenza diplomatica permanente in Somalia. L’ambasciata statunitense era stata chiusa nel 1991 a seguito dello scoppio della guerra civile.
Ultimi avvenimenti
Il 4 febbraio 2019 a Mogadiscio, un’autobomba uccise 11 persone vicino a un centro commerciale nel quartiere commerciale di Hamarweyne. Secondo le autorità, l’attentato fu organizzato dal gruppo islamista al Shabaab.
Il 23 marzo 2019 15 persone morirono in un attentato a Mogadiscio. Nella mattinata esplose un’autobomba davanti a un edificio governativo, sede del ministero del Lavoro, in cui poi entrarono cinque uomini armati.
Il 28 marzo 2019 morirono 11 persone a Mogadiscio, in seguito all’esplosione di un’autobomba. L’esplosione, riferiscono fonti della polizia, avvenne fuori da un ristorante vicino all’hotel Wehliye, non lontano da dove il 23 marzo un altro attentato provocò altre vittime.
A giugno 2019 la crisi diplomatica tra Kenya e Somalia, originata da una disputa per il controllo di un’area marittima di confine, si aggravò ulteriormente a seguito della decisione del governo keniota di imporre il divieto di commercio con la Somalia e di chiudere il punto di passaggio del confine meridionale tra i due Paesi, situato nella contea di Lamu.
Tra giugno e dicembre 2019, numerosi furono gli attentati rivendicati dal gruppo jihadista al-Shabaab.
Il 13 luglio 2019 almeno 26 persone morirono e 56 furono ferite in un attacco di militanti di Al Shabaab in un hotel.
Il 24 luglio 2019 un attentatore suicida si fece esplodere nell’ufficio del sindaco di Mogadiscio, la capitale della Somalia, durante una riunione sulla sicurezza. Nell’attacco, rimasero uccise diverse persone, tra cui il sindaco di Mogadiscio, morto alcuni giorni dopo per le ferite riportate.
Il 14 agosto una base militare del Governo somalo a Mogadiscio fu attaccata con autobombe e colpi di pistola, causando la morte di almeno 50 persone.
Nel settembre 2019, Kenya e Somalia si accordarono per normalizzare i propri rapporti e porre fine alle tensioni generate da una disputa di confine tra i due Paesi. Il presidente somalo e quello kenyota raggiunsero un’intesa volta a “riportare le loro relazioni alla normalità e a ricostruire la fiducia tra i due governi”.
Il 30 settembre 2019, due attacchi separati colpirono una base militare statunitense nella città di Baledogle e un convoglio italiano a Mogadiscio. In risposta all’attacco, lo stesso giorno, l’esercito statunitense dichiarò di aver eliminato 10 militanti di al-Shabaab e distrussero un loro veicolo durante un’operazione militare. Mentre il 20 novembre, un drone statunitense uccise uno dei membri chiave del gruppo jihadista di al-Shabaab.
Il 28 dicembre 2019 un’autobomba esplose vicino a un ufficio dell’agenzia delle entrate della capitale somala: si parlò di 90 morti tra cui molti studenti universitari: fu l’attentato più grave degli ultimi due anni. L’esplosione avvenne nel sudovest della città, in un’area molto affollata e trafficata, soprattutto per la presenza di un ufficio dell’agenzia delle entrate e di un checkpoint militare.
Nel febbraio 2020 gli Stati Uniti rinnovarono l’assistenza militare alla Somalia al fine di rafforzare le operazioni terroristiche contro le milizie affiliate all’organizzazione di al-Qaeda.
Nello stesso mese venne dichiarata emergenza nazionale per l’invasione di locuste, che divorarono decine di migliaia di ettari di colture e pascoli, minacciando le forniture alimentari e le comunità agricole. La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, spiegò che uno sciame di medie dimensioni avrebbe potuto danneggiare una quantità di raccolto che potrebbe sfamare 2.500 persone per un anno. Secondo la FAO sarebbe stato necessario spargere pesticidi sui campi con gli aerei ma è una misura impraticabile a causa dei conflitti in corso e dell’instabilità in gran parte del paese.
Nel marzo 2020, si verificarono nuove tensioni tra il Kenya e la Somalia. Infatti, il Governo di Nairobi, accusò quello somalo di aver perpetrato un attacco ingiustificato nella città di frontiera di Mandera. Le forze somale avrebbero fatto irruzione all’interno del territorio keniota violando la sua sovranità. Le tensioni, tuttavia, erano già esplose il 2 marzo, quando intensi combattimenti si erano scatenati tra le truppe somale e le forze della regione semi-autonoma di Jubaland, nella città di Bulohawo, al confine tra Kenya e Somalia.
L’8 marzo 2020, la radio di Stato somala confermò l’uccisione in un attacco aereo del 22 febbraio di un alto comandante del gruppo militante islamico al-Shabaab, Bashir Mohamed Mahamoud. Già nel 2008, gli Stati Uniti avevano posto una ricompensa di 5 milioni di dollari a chiunque avesse fornito informazioni sulla posizione e gli spostamenti dell’uomo. Questi era a capo delle operazioni militari del gruppo terroristico ed era coinvolto nella pianificazione e realizzazione di attacchi terroristici in Somalia e in Kenya.
Il 17 marzo 2020, le truppe AMISOM, in collaborazione con l’esercito nazionale di Mogadiscio, condussero un’offensiva militare congiunta, riuscendo a liberare la città di Janaale, roccaforte di al-Shabaab, dai terroristi somali.
Inoltre, sempre a marzo entra in vigore una nuova legge elettorale che prevedeva un’elezione diretta a suffragio universale per la prima volta dopo 50 anni: «La nuova legge prevede un sistema elettorale maggioritario in cui i seggi sono assegnati in base ai voti avuti dai partiti che partecipano alle elezioni. Il parlamento votò per scegliere il presidente e per il primo ministro. Quest’ultimo deve appartenere al partito o alla coalizione di maggioranza. Impose anche di riservare il 30% dei seggi alle donne».
Nello stesso mese venne registrato in Somalia il primo caso di COVID19.
Con il dilagare della pandemia da COVID-19, i continui attacchi terroristici e l’azione di propaganda jihadista, la situazione ad aprile 2020 si fece sempre più grave: varie agenzie dell’ONU denunciarono che più del 50% della popolazione rischiava la fame, più di 3 milioni di persone necessitavano di assistenza sanitaria, 2.7 milioni non avevano accesso ad acqua potabile, materiale di pulizia e servizi igienici e 2.6 milioni vivono nei campi profughi.
A dicembre 2020, dopo un incontro tra il presidente keniano Uhuru Kenyatta e il suo omologo del Somaliland, Musa Bihi Abdi, la Somalia annunciò la rottura dei rapporti diplomatici con Nairobi.
Nello stesso periodo, l’uscente presidente degli Stati Uniti Donald Trump annunciò il programma di ritiro delle truppe statunitensi dalla Somalia, in linea con il progetto di rientro dei militari americani da diversi paesi, tra cui l’Afghanistan e l’Iraq.
Nel febbraio 2021, la Somalia si trovò a vivere una situazione di caos dopo la fine del mandato costituzionale di Mohamed Abdullahi Mohamed. L’avvicinarsi delle elezioni, con ritardi di varia natura che le fecero slittare da settembre 2020 a febbraio 2021, nonostante l’entrata in vigore della nuova legge elettorale, replicava il sistema di voto precedente, legato alla legge clanica dei capi tradizionali e di un numero ristretto di delegati.
Ciò a causa dell’opposizione delle regioni di Puntland e Jubaland ed anche di alcuni ex presidenti come Sharif Sheikh Ahmed, alla guida del governo transitorio tra il 2009 e il 2012, e Hassan Sheikh Mohamud, dal 2012 al 2017, che, data la grande popolarità di Mohamed Abdullahi Mohamed, temevano di perdere tramite il sistema a suffragio universale.
Ad aprile 2021, l‘impasse politica causò l’esplosione di nuove violenze. Il fallimento dei negoziati portò la Camera bassa del Parlamento ad estendere il mandato del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed (Farmajo) di due anni, scatenarono scontri a fuoco per le strade di Mogadiscio. Sotto pressione, lo stesso presidente annullò e ordinò al suo primo ministro di riunirsi con i leader dello Stato per tracciare un nuovo percorso verso le elezioni.
A fine maggio 2021 il primo ministro somalo Mohamed Hussein Roble, protagonista dei negoziati politici con l’opposizione, presiedette la cerimonia per festeggiare gli accordi raggiunti per le elezioni generali.
Fu l’avvio di un periodo faticoso caratterizzato da tensioni sul piano dei rapporti di potere intrecciati alle antiche identità claniche, che vide «Farmajo» opporsi a Roble, perpetrando la situazione di crisi e immobilità politica in cui versava il Paese. In questo contesto, al-Shabaab venne favorita, e l’elezione di un nuovo presidente avverrà solamente a maggio 2022, con Hassan Sheikh Mohamud (già in precedenza alla guida di un governo transitorio) a diventare ufficialmente il primo presidente della storia della Somalia.
A giugno 2021, vennero annunciate le elezioni per le due camere del Parlamento che si concluderanno nel settembre 2021. A fine luglio venne ufficialmente decisa la data per le elezioni presidenziale, previste per il 10 ottobre 2021.
Nel luglio 2021 l’esercito degli Stati Uniti effettuò un raid aereo nei pressi di Galkayo contro i militanti di al-Shabaab. Si trattava del primo attacco statunitense sotto la nuova amministrazione di Joe Biden.
Ad agosto 2021, il WHO (World Health Organization) registrò che dal 3 gennaio 2020 al 31 agosto 2021, ci furono 17.399 casi confermati di COVID-19, con 969 decessi in Somalia. Tuttavia, si riconobbe la parzialità dei dati, data la difficoltà nell’effettuare i test e nel contare le vittime effettive. I conflitti in corso e la limitatezza dell’apparato sanitario rende impossibile mettere in atto un efficace piano anti-pandemico.
I vari conflitti in Somalia ebbero conseguenze devastanti sulla popolazione civile. Numerose persone persero ogni giorno la vita a causa dei raid aerei utilizzati nelle operazioni antiterroristiche ed a causa dei continui attentati ad opera dalle forze jihadiste. Il territorio, inoltre, fu tra i paesi africani più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico. Infatti, a minacciare la già labile stabilità del Paese vi fu non solo l’epidemia di coronavirus, ma anche l’emergenza causata dall’invasione delle locuste del deserto e dalle periodiche inondazioni. La povertà e l’instabilità politica rappresentavano il terreno fertile sul quale far crescere il malcontento ed aumentare le possibilità di reclutamento di combattenti jihadisti. Così di attentato in attentato i terroristi continuavano a indebolire il già fragile Governo, rendendo la Somalia un Paese in cui dilaga la povertà e nel quale i diritti umani venivano quotidianamente violati.
Il 24 settembre 2021 il gruppo jihadista Al-Shabaab, tramite un’autobomba ad un posto di blocco nelle vicinanze del palazzo presidenziale, colpì ancora causando 8 morti e 12 feriti. Il gruppo jihadista aveva approfittato dello stallo elettorale e del clima di tensione tra il Primo Ministro, Mohamed Hussein Roble, e il presidente della Repubblica, Mohammed Abdullahi (detto Farmajo), per agire indisturbato, mettendo a rischio la sicurezza nazionale.
Il 13 ottobre 2021 ci sarebbero dovute essere le elezioni presidenziali, le quali furono però rinviate a causa del feroce scontro tra Roble e Farmajo. Ciò aggravò il clima di tensione già presente a causa dei continui attacchi nella capitale.
Il 20 novembre 2021 morì, per mano del gruppo Al Shabaab, il giornalista Mohamud Guled, un noto critico del gruppo terroristico. Nello stesso attacco rimasero ferite altre due persone, il direttore della TV nazionale somala e un autista.
Cinque giorni dopo, Al Shabaab fu l’artefice di un’altra esplosione a Mogadiscio che provocò la morte di 7 persone e il ferimento di altre 17. Il gruppo cercava di attaccare un convoglio delle Nazioni Unite, ma ha causato anche il crollo delle pareti di una scuola e di un ospedale.
Il 26 dicembre 2021 Il presidente somalo noto come “Farmajo” annunciò la sospensione del primo ministro Roble privandolo dei suoi poteri. Fu sventato grazie all’esercito un tentato colpo di stato, infatti i sostenitori del presidente Mohamed Abdullahi cercarono di impedire al premier Mohamed Hussein Roble di accedere al suo ufficio, senza riuscirci. La principale causa di tensione è dovuta al fatto che Il mandato di Farmajo era scaduto già lo scorso 8 febbraio.
Il 9 gennaio 2022 i leader somali annunciarono di aver raggiunto un accordo per completare le elezioni parlamentari entro il 25 febbraio. L’accordo fu raggiunto dopo diversi giorni di colloqui tra il primo ministro Mohamed Hussein Roble e i leader statali.
Il 24 febbraio 2022 la Somalia ha prorogato per l’ennesima volta il termine per il completamento delle elezioni parlamentari, fissando la nuova data al 15 marzo 2022.
La decisione fu presa la vigilia del 25 febbraio, termine ultimo per lo svolgimento delle votazioni per i membri della Camera del Popolo. Giovedì, solo 175 dei 275 parlamentari erano stati eletti mentre gli stati federali continuavano a contrattare su sedi, delegati e correttezza delle votazioni. Dopo lunghe discussioni, i membri dell’NCC affermarono che la nuova proroga avrebbe consentito il completamento della votazione per i restanti 100 seggi.
Il modello di elezione indiretta scelto dall’NCC nel settembre 2020, fino ad allora presieduto dal presidente Mohamed Abdullahi Farmajo, prevedeva che 101 delegati selezionati dai rispettivi leader dei clan votassero per ciascuno dei 275 membri della Camera bassa.
Il 15 marzo 2022 furono nuovamente rinviate le elezioni presidenziali, le quali “dovrebbero” tenersi il 31 marzo. Ben 39 dei 275 posti rimasero vacanti, poiché solo 3 dei 5 stati della Somalia scelsero i loro rappresentati in tempo. In Somalia stava avvenendo un costante rimandare delle elezioni e prolungarsi della crisi politica.
Il 15 maggio 2022, dopo quindici mesi di rinvii, tensioni e attentati, si tennero finalmente le elezioni presidenziali in Somalia con la vittoria del nuovo presidente Hassan Sheikh Mohamus, il quale era già stato alla guida del paese dal 2012 al 2017.
Nel corso del mese di giugno 2022 la siccità in corso all’interno della nazione si aggravò dopo il quarto fallimento consecutivo della stagione delle piogge, causando l’insicurezza alimentare di 7,1 milioni di somali, ovvero quasi la metà della popolazione, e la morte per fame di 213.000 somali. Questa insicurezza alimentare costrinse circa 800.000 somali ad abbandonare le loro case.
Il 27 luglio 2022 undici persone, tra cui un funzionario governativo, vennero uccise da un attentato suicida di al-Shabaab all’ingresso di un edificio governativo a Merca, nel Basso Shabelle.
Il 29 ottobre 2022 gli attacchi armati contro i civili continuarono incessantemente; alcuni esponenti del gruppo terroristico di Al-Shabaab fecero esplodere due autobombe contro il Ministero dell’Istruzione a Mogadiscio. Furono registrate 121 vittime e centinaia di feriti. La maggior parte degli attacchi contro i civili da parte di Al-Shabaab avvennero mediante ordigni esplosivi improvvisati, attentati suicidi, bombardamenti e uccisioni mirate. Il presidente Hassan Sheikh intensificò notevolmente la fase offensiva nei confronti di Al-Shabaab, con l’intento di debellare completamente la cellula terroristica. Molti procedimenti giudiziari contro gli esponenti di Al-Shabaab furono affidati ai tribunali militari e non a quelli civili; nella maggior parte dei casi non furono rispettati gli standard internazionali di un giusto processo. Tutto questo provocò una scia di esecuzioni da parte di Al-Shabaab nei confronti di persone che vennero accusate di lavorare per conto del governo.
Dopo l’elezione del presidente Hassan Sheikh, gli Stati Uniti ripresero le operazioni militari in Somalia inviando nel Paese circa 500 truppe per le operazioni speciali con lo scopo di eliminare i leader di Al-Shabaab.
La situazione umanitaria risultò essere disperata e a causa dei continui conflitti interni, le agenzie umanitarie non riuscirono ad accedere a determinate zone del Paese per le restrizioni imposte dalle parti in conflitto. Al-Shabaab impose dei blocchi su alcune città sotto il controllo del governo, in particolare la città di Hudur, e attaccò i civili che non li hanno rispettati.
Durante il mese di gennaio 2023, iniziò la campagna di vaccinazione per fermare l’epidemia di colera nelle province della Somalia più colpite dalla siccità: Daynile, Dharkenley, Hamar Jajab, Hodan, Khahda, Baidoa, Kismayo, Afgoye, Marka e Johar.
L’epidemia di colera e morbillo che nel 2012 colpì duramente il Paese, causò più di 260.000 morti. Oggi si cerca di prevenire le conseguenze disastrose della diffusione di queste malattie attraverso le vaccinazioni. Il colera ancora oggi risulta in particolar modo pericoloso per gli oltre due milioni di bambini malnutriti presenti in Somalia. Il Ministero Federale della Salute e dei Servizi Umani registrò nel 2022 quindicimila casi di colera nelle aree colpite dalla siccità. Secondo le stime dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2022 sono state 43.000 le persone morte a causa della siccità, di cui la metà sono bambini. È fallita la sesta stagione delle piogge in modo consecutivo; si va, così, inasprendo sempre di più una situazione già ampiamente drammatica che si va delineando come la più lunga emergenza idrica di sempre.
Il 26 gennaio 2023 le forze speciali americane hanno ucciso uno dei capi dell’Isis stabilitosi in Somalia, Bilal al-Sudani, durante un raid condotto in una regione remota nel nord del paese, insieme a lui sono morti altri dieci combattenti. Bilal al-Sudani gestiva la rete dello Stato islamico dalla Somalia dopo essere stato allontanato dalla Siria e dal Medio Oriente. La Somalia è considerata un territorio in cui opera Al Shabaab, alleato di al Qaeda, ma lo Stato islamico sta cercando di entrare nel territorio e imporre il proprio controllo.
Nel corso del mese di febbraio 2023, a causa degli incessanti scontri tra le forze governative e i ribelli armati del clan di Dhulbahante, oltre 60.000 somali sono fuggiti dalla città di Las Anod e si sono stabiliti nella regione dei Somali in Etiopia, un’area in cui le risorse sono molto limitate a causa della siccità. Da inizio febbraio, sono state 185.000 le persone costrette a lasciare Las Anod per cercare protezione nelle città vicine.
Durante il mese di marzo 2023 le inondazioni provocate dalle piogge stagionali hanno provocato la morte di 21 persone e lo sfollamento di altre 100.000. Oltre agli avvenimenti climatici estremi, la maggior parte dei profughi ha abbandonato le proprie case per sfuggire all’incubo del terrorismo di matrice islamica che semina violenza in tutte le aree del Paese.
Violenti scontri si sono manifestati anche nella zona settentrionale del Paese, il Somaliland, dove i combattimenti nella città di Las Anod, tra le forze governative e i ribelli armati del clan di Dhulbahante, continuano incessantemente. Negli scontri sono stati registrati cento morti e oltre seicento feriti.
L’11 e il 12 aprile 2023 il Segretario Generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, ha effettuato una visita in Somalia e si è dichiarato estremamente preoccupato per il disastro umanitario diffuso in tutto il Paese stretto nella terribile morsa della siccità, delle inondazioni e dell’ondata di violenza causata dell’incubo terrorista di Al-Shabab. Guterres ha visitato uno dei più grandi campi profughi del mondo, quello di Baidoa, a 200 km da Mogadiscio, con circa 400.000 persone.
A questa difficile situazione vanno aggiunti i violenti scontri che si sono manifestati nella zona settentrionale del Paese, il Somaliland, dove i combattimenti nella città di Las Anod, tra le forze governative e i ribelli armati del clan di Dhulbahante, continuano incessantemente. Negli scontri sono stati registrati cento morti e oltre seicento feriti.
Il Somaliland è un’area della Somalia nord-occidentale che si è dichiarata indipendente nel 1991, ma non è stata formalmente riconosciuta da nessun paese. Le forze governative del Somaliland hanno continuato ad attaccare la città di Las Anod, uccidendo e ferendo civili e causando lo sfollamento di centinaia di persone che sono state costrette a vivere in condizioni disastrose in alloggi di fortuna senza assistenza medica. La maggior parte degli sfollati è costituita da donne e bambini. In questa area del Paese la popolazione sta vivendo una gravissima crisi di insicurezza alimentare dovuta alla siccità. Le organizzazioni umanitari hanno avuto difficoltà a raggiungere i territori colpiti dal conflitto a causa dell’elevato livello di violenza presente in questa zona del Paese.
In merito agli scontri in Somaliland, il presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamud ha chiesto un immediato cessate il fuoco e dichiarato di voler riportare la pace in questo territorio da sempre teatro di scontri tra i clan e le autorità locali che hanno provocato più di 180.000 profughi.
Il 9 giugno 2023 una serie di attentati ha seminato il panico in tutto il Paese. A circa 120 km da Mogadiscio, l’esplosione di un ordigno ha causato la morte di ventidue persone, tra cui due bambini; nella città di Qoryoley dei bambini hanno perso la vita in un’esplosione causata da colpi di mortaio e ancora a Mogadiscio è esplosa una bomba in un hotel del centro che ospitava alcuni deputati del Parlamento Somalo.
La mattina del 24 luglio 2023, nel campo di addestramento militare Jaalle Siyad Military Academy a Mogadiscio, un attentato suicida da parte di Al-Shabab è costato la vita a venti soldati, altri sessanta sono rimasti feriti. Questo ennesimo attacco appartiene a quella lunga spirale di violenza che continua incessantemente a seminare il terrore in tutto il Paese.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha riscontrato un intensificarsi degli gli scontri in diverse città del Paese che hanno causato un aumento esponenziale del numero di morti e feriti. Nei suoi attacchi indiscriminati, Al-Shabaab continua ancora oggi a utilizzare ordigni esplosivi improvvisati per provocare attentati suicidi, bombardamenti e uccisioni mirate che causano svariate vittime civili. La situazione umanitaria è rimasta disastrosa. Dopo che la Somalia ha dovuto affrontare cinque stagioni delle piogge consecutive inferiori alla media, le precipitazioni hanno anche provocato inondazioni improvvise, costringendo decine di migliaia di persone a fuggire in alcune parti del paese. L’ONU ha stimato che tra agosto 2023 e luglio 2024 tutto ciò possa causare per 1,5 milioni di bambini in condizioni di malnutrizione acuta.
La Somalia dipende fortemente dalle importazioni di cibo. Le agenzie umanitarie hanno dovuto affrontare gravi difficoltà di accesso a causa del conflitto, degli attacchi mirati contro gli operatori umanitari, della violenza generalizzata, delle restrizioni imposte dalle parti in conflitto e delle limitazioni fisiche dovute a condizioni meteorologiche estreme. Le persone in Somalia continuano ad affrontare alti livelli di trauma a causa della violenza prolungata e delle crisi umanitarie. Tuttavia, la disponibilità di servizi di salute mentale nel paese rimane limitata.
Le piogge torrenziali del mese di novembre 2023 hanno provocato delle inondazioni che hanno causato la morte di almeno 29 persone. Sono state colpite oltre 1,1 milioni di persone, tra queste 334.000 sono state costrette a fuggire dalle proprie case. Le strade, le infrastrutture e vaste aree coltivate hanno subìto ingenti danni. La precedente siccità e in seguito le inondazioni hanno provocato una grave carenza alimentare in tutto il Paese. Baidoa, Bardere, Luuq e Galkacyo sono i distretti particolarmente colpiti dall’alluvione. Le organizzazioni umanitarie e le agenzie governative hanno utilizzato delle imbarcazioni per le operazioni di salvataggio. Nelle zone più colpite si è verificata una grave carenza di acqua pulita e le condizioni igieniche sono andate peggiorando rapidamente causando la trasmissione di malattie come la diarrea acuta, in particolare tra i bambini. La difficoltà nel reperire i generi alimentari ha creato un importante innalzamento dei prezzi. Tutto ciò ha portato a esacerbare il livello di insicurezza alimentare in tutto il Paese sull’orlo della carestia da più di due anni.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dopo 31 anni, il 1 dicembre 2023 ha rimosso l’embargo sull’importazione di armi in Somalia. Tale risoluzione, è stata fortemente voluta dal presidente Hassan Mohamud. Insieme a tale risoluzione, il Consiglio di Sicurezza ha imposto l’embargo sulle armi per il gruppo qaedista al-Shabaab e per quello legato allo Stato islamico. Tale divieto, tuttavia, non ha fermato la vendita illegale di armi che in Somalia sono sempre entrate in grandi quantità, in particolare dallo Yemen. La rimozione dell’embargo giunge dopo il recente ingresso della Somalia nel blocco dei paesi membri della Comunità dell’Africa Orientale (EAC).
Il 6 gennaio 2024 il presidente Hassan Mohamud ha firmato una legge che annulla il memorandum d’intesa per il quale la regione separatista settentrionale del Somaliland concede alla confinante Etiopia uno sbocco sul mare, utile per fini commerciali e militari. L’Etiopia avrebbe ottenuto, così, un accesso al mare in cambio del formale riconoscimento del Somaliland come nazione indipendente. Il presidente ha dichiarato questo accordo illegale e ha richiamato il suo ambasciatore da Addis Abeba. Sebbene il Somaliland abbia dichiarato la propria indipendenza dalla Somalia nel 1991, tuttora non è stato riconosciuto come Stato autonomo dalla comunità internazionale. Le autorità del Somaliland non hanno riconosciuto la legge appena approvata dal parlamento di Mogadiscio.
Il 15 febbraio 2024 a Galgaduud, nella Somalia centrale, l’esercito nazionale somalo ha abbattuto due droni appartenenti al gruppo terroristico di Al Shabaab. Questo episodio, insieme ad altri, non fa che confermare l’uso sempre più frequente dei droni pilotati da remoto da parte dei gruppi terroristici in Africa. Negli ultimi anni infatti i droni sono diventati uno strumento utilizzato in contesti di guerra. Tra i principali vantaggi di questa nuova tecnologia vi è quello di ottenere informazioni sugli obiettivi, sorvegliare i movimenti degli avversari e compiere attentati. Collegandoci degli esplosivi, infatti, i droni si trasformano facilmente in vere e proprie bombe aeree che esplodono a distanza e causano il massimo numero di vittime possibile.
Nell’aprile 2024 Mogadiscio ha espulso l’ambasciatore dell’Etiopia e ha richiamato il suo rappresentante ad Addis Abeba, rompendo di fatto ogni rapporto diplomatico con il Paese vicino. Anche i consolati etiopi in Somaliland e Puntland sono stati chiusi per ordine del presidente dopo che anche lo stato-regione del Puntland si è dichiarato completamente autonomo dal governo somalo. Questa decisione ha logorato ulteriormente i rapporti tra i due stati portando la tensione a livelli altissimi. Il Somaliland e il Puntland hanno respinto le direttive di Mogadiscio e hanno ribadito la loro piena autonomia dalla Somalia.
A Giungo 2024, la Somalia ha minacciato l’espulsione delle truppe etiopi se Addis Abeba non avesse abrogato l’accordo col Somaliland entro la fine mese in merito alla concessione da parte di quest’ultimo di un tratto di costa allo stato etiope in cambio del suo riconoscimento di indipendenza. A rischio Oltre ai rapporti diplomatici, a seguito dell’espulsione dell’ambasciatore dell’Etiopia dalla Somalia, anche i rapporti di collaborazione militare con Addis Abeba.
Il 6 giugno 2024, dopo oltre 50 anni la Somalia è tornata a far parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, insieme ad altri quattro nuovi Paesi: Pakistan, Panama, Grecia e Danimarca. Un importante riconoscimento internazionale per la Somalia e per il suo presidente, Hassan Mohamud, che lo scorso novembre è riuscito a far entrare la Somalia anche all’interno Comunità dell’Africa orientale (EAC) e a far cancellare 4,5 miliardi di dollari di debito dal Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.
Il 14 luglio 2024 un attentato nel centro della capitale somala, Mogadiscio, ha causato la morte di 9 persone e il ferimento di altre 20. Un’autobomba è esplosa davanti a un bar in cui decine di persone erano intente a guardare la finale degli Europei di calcio. Le autorità somale hanno attribuito l’attentato al gruppo affiliato di Al Qaeda, Al Shabaab. Negli ultimi anni il gruppo estremista islamico Al Shabaab è stato l’autore di numerosi attacchi nella capitale e in altre regioni della Somalia. Il giorno prima cinque detenuti di Al Shabaab sono stati uccisi durante un tentativo di evasione dalla prigione di Mogadiscio. Durante lo scontro a fuoco sono morte anche tre guardie carcerarie. Fin dal suo insediamento, il presidente Hassan Sheikh Mohamud ha proclamato una guerra totale contro il gruppo terroristico che nel tempo è riuscito a stabilirsi e a prendere il comando di alcune località nel centro del Paese. Tutto ciò avviene mentre è iniziato da mesi il ritiro delle truppe dell’Unione Africana che dovrà concludersi entro il 31 dicembre 2024.
Il 23 luglio 2024, oltre 100 miliziani di Al-Shabaab sono stati uccisi dalle forze militari somale nella regione del Basso Giuba. Il gruppo terroristico aveva iniziato un attacco con degli esplosivi contro una base militare nel villaggio di Bula Hajji. Durante gli scontri a fuoco alcuni miliziani sono riusciti a fuggire, mentre 100 di loro sono rimasti uccisi.
Sabato 3 agosto 2024 un attacco kamikaze sulla spiaggia di Mogadiscio ha provocato la morte di 32 persone e il ferimento di altre 63. L’attacco è stato rivendicato da al-Shabaab. Subito dopo l’esplosione, alcuni miliziani hanno aperto il fuoco sulla gente presente in spiaggia. Le forze di sicurezza hanno risposto all’attacco uccidendo sei terroristi.
Quello avvenuto sulle coste somale è il più grande attacco avvenuto in Somalia negli ultimi mesi da parte dell’organizzazione estremista di matrice islamica che negli ultimi anni attacca sempre di più obiettivi civili con lo scopo di seminare il panico tra la popolazione e mettere in crisi il governo.
Contesto socio-culturale
Il somalo e l’arabo sono le lingue ufficiali della Somalia. La lingua somala appartiene al ceppo cuscitico. Altre lingue sono usate nei rapporti commerciali e nelle relazioni internazionali, tra cui l’inglese, l’italiano e lo swahili.
La Somalia, a differenza di altri paesi africani, ha una composizione etnica molto omogenea. La struttura sociale è totalmente basata sull’appartenenza clanica. Il clan rappresenta l’unità sociale in cui virtualmente tutti i membri condividono la stessa linea di parentela che li lega a un unico antenato per via patrilineare.
Ogni famiglia clanica è suddivisa in clan e sotto-clan. La maggioranza della popolazione è composta da gruppi nomadico-pastorali (ad esempio i cosiddetti “clan nobili” dei Darood, Hawiye, Dir e Isaaq). Un altro grande gruppo è costituito da popolazioni agro-pastorali, che risiedono nelle zone interfluviali tra i fiumi Juba e Shabelle, nel sud della Somalia. Di questo gruppo fanno parte i clan dei Digil-Mirifle e dei Rahanweyn. Al di fuori di questa suddivisione esistono, inoltre, altri gruppi di minoranza. I clan nomadico pastorali dei Darod, Hawiye, Isaaq e Dir sono considerati “nobili”, in riferimento alla popolare credenza che siano discendenti diretti del capostipite Samaal e della famiglia del profeta Maometto (clan Quraish). Altri clan agro-pastorali dei Digil e dei Mirifle (collettivamente noti come Rahanweyn) sono in una posizione intermedia tra i maggiori clan somali e i gruppi di minoranza. Molte persone di etnia somala vivono nelle vicine Etiopia, Kenya e Gibuti.
Gruppi nomadico pastorali – le quattro maggiori famiglie di clan
- Darod: sono comunemente divisi in tre principali gruppi quali: Ogaden, Merehan e Harti. Il gruppo Harti comprende a sua volta tre sotto-clan: i Majerteen che si trovano principalmente nel Puntland e i Dulbahante e Warsangeli che vivono nelle zone di confine con il Somaliland. I Merehan abitano le aree della Somalia centro-meridionale e si concentrano soprattutto nella regione di Gedo. Gli Ogaden occupano la Somalia meridionale dove, negli anni, hanno acquisito un maggiore controllo sull’area del Lower e Middle Juba. Sono presenti anche in Etiopia e Kenya. Dato che i Darood sono presenti in gran parte della Somalia (nord e centro-sud) oltre che in Etiopia e Kenya possono essere considerati il più forte gruppo nazionalista pan-somalo.
- Hawiye: gli Hawiye sono composti dai due principali sub-clan: gli Habr Gedir e gli Abgal. Il clan degli Hawiye abita le zone della Somalia centrale e meridionale e, in particolare, sia gli Abgal che gli Habr Gedir sono dominanti a Mogadiscio. Gli Hawiye delle regioni centrali hanno svolto un ruolo di primo piano nella cacciata dell’ex presidente Siad Barre dal potere.
- Dir: i Dir comprendono al loro interno alcuni sotto-gruppi come quello degli Issa, dei Gadabursi, e dei Biymaal. Questi clan vivono nel Somaliland oltre che nelle zone centromeridionali del Paese.
- Isaaq: per quanto concerne gli Isaaq esiste una controversia sul fatto che essi costituiscano o meno una famiglia di clan, come gli stessi Isaaq affermano, o se siano un sotto clan dei Dir, come sostengono altri clan. Gli Isaaq hanno delle linee di parentela che li legano ai sotto-clan Dir dei Biymaal, Issa e Gadabursi. Essi sono presenti soprattutto nel Somaliland.
Gruppi agro-pastorali
I gruppi agro-pastorali hanno una struttura clanica molto diversa da quella dei gruppi nomadico-pastorali, identificata da un’organizzazione fortemente gerarchica. I clan agro-pastorali non praticano la migrazione di transumanza come i gruppi nomadici, ma sono prevalentemente agricoltori. Essi usano, inoltre, allevare i cammelli: una risorsa che utilizzano nei casi di grave siccità per spostarsi. Di base sono dei gruppi stanziali e definiscono la loro identità in base al luogo di provenienza più che al clan di appartenenza. I principali gruppi agro-pastorali sono:
- Rahanweyn (suddivisi nei due grandi gruppi dei Digil e Mirifle): il termine Rahanweyn o Reewinsi riferisce a circa tre dozzine di clan che abitano nella zona costiera del sud della Somalia. Si concentrano nelle regioni Bay e nel sud della regione Bakool, ma sono anche presenti come minoranze nella regione Geedo, nella zona sud e centrale della regione Juba e al sud della regione Shabeelle. Si distinguono dagli altri somali per l’uso del af-maay, un dialetto regionale utilizzato come lingua franca tra i vari gruppi Rahanweyn. Attraverso matrimoni misti e relazioni clientelari i clan Rahanweyn hanno incluso all’interno delle loro comunità locali individui e famiglie di altre zone del Paese. Questa etnia è composta da un popolo tradizionalmente pacifico che non è stato particolarmente coinvolto nella guerra civile somala. Attualmente sono però dotati di un proprio esercito con il quale cercano di proteggere il proprio territorio, pur non essendo particolarmente interessati ad espandere il proprio controllo su altre zone del Paese. I Rahanweynn, gruppo numeroso e geneticamente eterogeneo, sono normalmente divisi in Digil e Merifle.
- I Digilsono composti da sette clan (che includono Geledi, Begeda, Tunni, Jiddo, Garre, Dabarre) che abitano le zone interne adiacenti al sud di Shabeelle e alle Valli di Juba.
- I Meriflesono divisi in due grandi segmenti: da un lato i Sagaal che includono gli Hadama, i Luwai e i Gasargudda delle regioni di Bakool e di Geedo, dall’altro i Siyeed, che includono gli Harien, gli Heraw, gli Emid e gli Elay della regione di Bay.
Gruppi di minoranza
Tra i gruppi di minoranza si possono includere i gruppi “fuori casta”m– comunemente conosciuti come Sab, i gruppi discendenti dall’etnia Bantu, e i gruppi costieri, compresi quelli di origine araba come i Bajuni e i Bravanesi. Le minoranze non sono considerate all’interno del sistema sociale della Somalia, la loro lingua e la loro cultura non vengono accettate né tutelate.
- Sab: i Sab sono tradizionalmente considerati gli schiavi dei clan appartenenti ai gruppi pastorali. A loro è concesso di avere relazioni con i somali solo attraverso il tramite di un abbaan(padrone somalo). Osservatori esterni li hanno sempre considerati “fuori casta” perché tradizionalmente possono sposarsi solo tra loro e gli altri clan somali li considerano “inquinati”. In particolare, mentre all’interno dei gruppi Sab non ci sono grandi conseguenze se un loro membro sposa un appartenente a uno dei “clan nobili”, non è vero il contrario. I membri dei “clan nobili” che sposano un appartenente al gruppo Sab potrebbero perdere la protezione del proprio clan. Ai Sab è tradizionalmente negato il diritto alla terra, la possibilità di allevare bestiame, di partecipare al commercio locale, all’economia di mercato e alla vita politica. Poiché non hanno nessun naturale alleato negli altri clan e non hanno alcun peso nella vita politica possono essere attaccati impunemente. Il solo modo che hanno per resistere al dominio degli altri clan è mantenere segreti i propri interessi.
I gruppi Sab comprendono i seguenti sotto-gruppi:
- Gabooye/Midgan: presenti prevalentemente a nord, i Gabooye comprendono diversi gruppi: i Tumal (fabbri), i Midgan (svolgono diverse professioni: cacciatori, produttori di veleni, parrucchieri, calzolai ecc.) e gli Yibr. Altri gruppi appartenenti ai Gabooye/Midgan sono i Madhibaan, i Muuse Dhariyo, gli Howleh, gli Hawraar Same e gli Habar Yaquup, diffusi anche nel sud del Paese.
- Yibr: gli Yibr o Yibro vivono lungo la costa a Mogadiscio, Bosaso, Borama e Burco. Nel sud del Paese, questo gruppo viene descritto come nettamente distinto dai Gobooye. Si afferma che gli Yibr siano discendenti del primo gruppo ebreo insediatosi nel Corno d’Africa. I membri del clan Yibr svolgono alcune funzioni mitologiche all’interno della società somala, ad esempio, secondo un’antica tradizione, consegnando un dono di nascita (samanyo) di un neonato (o un regalo di una ragazza neosposa) a un membro del clan Yibr, questi regalerà al bambino un talismano che avrà la funzione di allontanare gli spiriti negativi e di condurre a una buona sorte. Gli Yibr, prima dell’indipendenza, hanno potuto godere di una certa protezione proprio grazie a questa pratica molto diffusa nella società somala. Dopo l’indipendenza essi hanno però subìto il divieto, da parte del governo, del rito del Samanyo e della pratica di tutte le tradizioni a esso collegate. Attualmente, gli appartenenti a questo clan rischiano di essere obiettivo di persecuzione soprattutto nelle zone controllate dal gruppo islamico di al-Shabaab.
Altri gruppi Sab presenti nel sud della Somalia sono gli Yahhar, i Galgalo, i Boon, e gli Eyle.
- Bantu della Somalia: i bantu vivono principalmente nelle zone meridionali della Somalia e svolgono soprattutto attività agricole. A seconda della loro collocazione geografica, vengono chiamati in modo diverso: Gosha, Makane, Shiidle, Reer Shabelle o Mushungli. Parlano la lingua bantu e molti di loro conoscono anche l’arabo e lo swahili. Sono fortemente emarginati e sfruttati dai clan nomadici come coltivatori terrieri. Negli anni, i Bantu, hanno acquisito una maggiore forza grazie soprattutto al fatto che hanno iniziato ad organizzarsi militarmente per la loro difesa.
- d) Gruppi costieri
Questi gruppi comprendono i Benadiri, I Barawani, i Bajuni e i Jaaji (anche detti Reer Maanyo) e vivono lungo le coste della Somalia. I Barawani e i Bajuni sono di origine araba.
- Bajuni: sono una piccola comunità di marinai e pescatori e vivono lungo la costa della Somalia meridionale (a sud di Chisimaio) e sulla costa del Kenya, nonché nelle isole a largo della costa somala. Inoltre ci sono famiglie stanziate a Chisimaio e in piccola parte a Mogadiscio e Brava. Parlano Swahili con una certa influenza araba e, coloro che vivono e lavorano in modo stanziale, parlano anche somalo.
- Benadiri e Bravanesi: i Benadiri sono una popolazione urbana dell’Africa dell’est, hanno origini swahili vivono principalmente nelle città costiere di Mogadiscio, Merka e Brava. I Bravanesi sono una popolazione situata stabilmente nella città di Brava, parlano il Chimiini, un dialetto dello Swahili, ma conoscono anche altri dialetti come il Af-Maymay, parlato dal subclan Tunni.
Altri gruppi minoritari appartenenti ai clan summenzionati
- Rer Hamar: appartenenti al clan Benadiri, vivono nelle zone centrali di Mogadiscio, in particolare ad Hamarweyne e Shangani e sono anch’essi di origine araba.
- Baymaal: appartenenti al clan Dir. Spesso in lotta con il clan Hawiye con il quale hanno combattuto principalmente nelle aree del basso Shabelle e del Medio e Basso Juba.
- Sheikhal: associati attualmente agli Hirab, un sottoclan degli Hawiye.
- Ashraf: sono generalmente considerati un popolo religioso e maestri di questioni religiose. Appartenenti a una particolare discendenza della figlia del profeta Maometto, Fatima, essi mantengono un certo status religioso. Pur vivendo ben integrati con la popolazione, si identificano all’interno di due clan più grandi: i Digil-Mirifle e i Benadiri. Grazie al loro status religioso non vengono sempre identificati come una minoranza, ma spesso gli Ashraf hanno dovuto affrontare gli stessi problemi dei clan con cui si identificano. Ad esempio, i Benadiri/Ashraf sono stati obiettivo di persecuzione insieme con i Benadiri, durante la guerra civile somala. I Digil/Ashraf, invece, sono attualmente perseguitati dal gruppo estremista islamico di al-Shabaab, insieme con i Digil-Mirifle, principalmente a causa del fatto che gli islamisti non riconoscono lo status religioso degli Ashraf.
- Bagadi/Iroole: parte dei clan dei Digil/Rahanweyn nella regione del Basso Shabelle.
- Ajuraan e Abagaal: sottoclan del clan Hawiye.
- Tunueg e Tunni: appartenenti al clan Digil.
Ordinamento dello Stato
La Somalia è una Repubblica parlamentare federale. L’attuale Costituzione, adottata nel 2012, è considerata ancora oggi provvisoria. Il Parlamento federale è composto da Camera del popolo (275 membri) e Camera alta (fino a 54 membri), entrambe elette a suffragio diretto con mandato di 4 anni. Il Presidente è eletto dal Parlamento con un mandato di 4 anni. Il Primo Ministro è nominato dal Presidente e deve ricevere la fiducia del Parlamento.
DIRITTI UMANI E LIBERTÀ FONDAMENTALI
Libertà d’associazione e d’assemblea
Libertà di assemblea:
L’articolo 20 della Costituzione Federale Provvisoria della Somalia garantisce il diritto di “assemblea, dimostrazione, protesta e petizione”. Il testo cita:
- Ogni individuo ha diritto di organizzare e partecipare ad assemblee, dimostrare e protestare pacificamente senza richiedere alcuna preventiva autorizzazione;
- Ogni individuo ha il diritto di presentare petizioni alle istituzioni dello Stato.
Tuttavia, di fatto, la situazione di insicurezza generale limita questi diritti in molte zone della nazione. Anche nelle regioni autonome del Somaliland e del Puntland si sono verificati casi di violenze e uccisioni di alcuni manifestanti da parte delle forze di sicurezza. Nonostante le prescrizioni costituzionali, le assemblee pubbliche devono essere autorizzate dal Ministero dell’Interno. Questa previsione viene giustificata dalle autorità come una precauzione necessaria rispetto al rischio di attentati da parte di al-Shabaab. Molti continuano a percepire questa misura come un mezzo per prevenire la nascita di dissensi e opposizioni di natura politica contro le autorità somale. Al-Shabaab vieta qualsiasi forma di assemblea pubblica che non sia autorizzata dall’organizzazione stessa.
Libertà di associazione:
L’articolo 16 della Costituzione Federale Provvisoria tutela la libertà di associazione e dispone che:
“Ogni individuo ha il diritto di associarsi con altri individui e gruppi, di costituire e appartenere a organizzazioni, inclusi i sindacati e i partiti politici. È, altresì, garantito il diritto di non associarsi. Nessuno può essere costretto ad associarsi ad altri individui o gruppi.”
Il protrarsi del conflitto negli anni ha seriamente condizionato l’esercizio della libertà di associazione dei cittadini somali che è stata e rimane particolarmente limitata nei territori controllati delle milizie islamiche di al-Shabaab. In queste aree del Paese le organizzazioni della società civile, gli attivisti, i volontari e i giornalisti continuano ad essere vittime di attacchi indiscriminati.
Nelle zone della Somalia centrale e meridionale non controllate da al-Shabaab i cittadini possono liberamente aderire a organizzazioni della società civile di qualsiasi tipo. Tali organizzazioni godono della fiducia della popolazione perché mettono a disposizione servizi di utilità sociale che rivestono un ruolo chiave in una nazione dove non esistono ancora istituzioni statali efficienti. Nell’auto dichiarata Repubblica del Somaliland le libertà di associazione e di assemblea sono garantite dalla Costituzione e ci sono molte organizzazioni della società civile che operano nel territorio.Tuttavia, alcuni rapporti evidenziano come le autorità del Somaliland abbiano impedito la partecipazione a riunioni relative all’evoluzione del processo federale che è percepito come una minaccia all’indipendenza della regione. Nel Puntland le libertà civili sono state limitate durante il governo del presidente Abdurahman Farole. Dal 2012, con l’introduzione dei partiti politici, si stanno avviando nuove dinamiche partecipative e sta nascendo un vivace dibattito pubblico. Alcuni rapporti, tuttavia, riportano recenti denunce da parte di alcune organizzazioni della società civile di controlli e interferenze nelle proprie attività.
Libertà di espressione e di stampa
Le disposizioni della Costituzione Federale Provvisoria della Somalia prevedono la libertà di espressione e di stampa. L’articolo 18, infatti, dispone che:
- Ogni individuo ha il diritto di avere ed esprimere le proprie opinioni e di ricevere ed esprimere opinioni, informazioni e idee in qualsiasi modo.
- La libertà di espressione comprende la libertà di stampa e la libertà dei media, inclusi tutti i mezzi di comunicazione basati sull’utilizzo dell’elettronica e del web.
- Ogni persona ha il diritto di esprimere liberamente la propria creatività artistica, le proprie conoscenze e le informazioni raccolte attraverso la ricerca
Nonostante le disposizioni costituzionali molte sono le organizzazioni internazionali che hanno denunciato il verificarsi di numerose violazioni della libertà di stampa, evidenziando come i giornalisti siano spesso vittime di violenza, maltrattamenti e detenzioni arbitrarie in tutte le regioni della Somalia. I media sono spesso soggetti ad attacchi, che spaziano da molestie a intimidazioni da parte delle autorità federali e regionali, così come anche da parte del gruppo terroristico al-Shabaab a causa delle loro indagini sui traffici illeciti di combustibili e sui metodi di finanziamento di Al-Shabab. Il governo controlla in modo capillare il sistema di informazione e promuove leggi che facilitano l’incarcerazione per chiunque alimenti una propaganda contro il governo. La Somalia continua a essere il paese più pericoloso dell’Africa per i professionisti della comunicazione, con detenzioni arbitrarie e censure. Inoltre sono spesso oggetto di attentati o sparatorie da parte di militanti di Al-Shabaab. Nonostante le promesse del governo somalo di porre limiti a tali soprusi, pochi sono stati i miglioramenti in tale senso.
Nel 2023, la Somalia si è classificata 145esima su 180 paesi nella classifica mondiale per la libertà di stampa (perdendo 4 posizioni nella classifica rispetto allo scorso anno).
Nel corso del 2023 le autorità regionali e federali hanno continuato a molestare, intimidire e detenere i giornalisti. Abdalle Ahmed Mumin, segretario generale del Somali Journalists Syndicate, è stato arrestato e condannato per aver sollevato preoccupazioni su una direttiva governativa che limitava i resoconti su questioni di sicurezza nazionale. Un altro giornalista dell’emittente Kaab TV è stato arrestato con l’accusa di aver diffuso notizie false e tendenziose dopo che aveva denunciato un uso improprio di fondi governativi.
Libertà di religione
L’articolo 17 della Costituzione Federale Provvisoria tutela la libertà di religione e di credo, definendo che:
1) Ogni individuo è libero di praticare la propria religione;
2) Nessun’altra religione diversa dall’Islam può essere diffusa nella Repubblica Federale della Somalia.
Già nell’articolo 2 della Costituzione viene trattata la questione della religione, dichiarando l’Islam come la religione di Stato e vietando qualsiasi altra religione diversa da questa. Inoltre, lo stesso articolo dispone che tutte le leggi debbano rispettare i principi generali della Sharia (legge islamica).
Anche le costituzioni del Somaliland e del Puntland contengono disposizioni simili e vietano ai musulmani di convertirsi ad altre religioni. Nelle aree della nazione sotto il controllo del Governo Federale non ci sono state recenti denunce di violazioni di questo diritto. Tuttavia, nelle zone controllate delle milizie islamiche di al-Shabaab la libertà di religione è fortemente ostacolata. Alcuni rapporti denunciano che nelle aree rurali delle regioni centrali e meridionali, controllate da al-Shabaab, i miliziani avrebbero mutilato e ucciso persone sospettate di essersi convertite ad altre religioni o di non aver rispettato le regole imposte dal gruppo. In generale, in tutte le zone della nazione, le conversioni dall’Islam ad altre religioni non sono accettate nemmeno dalla società civile. Gli individui sospettati di conversione, infatti, subiscono maltrattamenti anche da parte dei membri delle comunità di appartenenza. Non sono assenti, infine, casi di discriminazioni sociali fondate sull’appartenenza religiosa, sul credo o sulla pratica del culto.
Soggetti vulnerabili
Donne
Stupri, violenze sessuali e mutilazioni genitali femminili sono reati molto diffusi in Somalia. Le donne sfollate e/o appartenenti ai clan minoritari sono le principali vittime di tali forme di violenze che in alcuni casi vengono uccise o costrette a prostituirsi in cambio di cibo. In Somalia il codice penale classifica la violenza sessuale come un “reato contro il pudore e l’onore sessuale”, prevedendo dai 5 ai 15 anni di carcere, e non come una violazione dell’integrità fisica della persona; punisce inoltre anche le relazioni di tipo omosessuale.
La legge penalizza lo stupro, prevedendo dai 5 ai 15 anni di carcere. Non esistono, invece, leggi contro la violenza domestica e lo stupro coniugale. Nonostante le disposizioni legislative e l’impegno ribadito dal Governo Federale della Somalia nella lotta contro la violenza sulle donne e la violenza sessuale, l’attuale situazione di insicurezza estesa su tutto il territorio pone limiti oggettivi alla capacità delle autorità di far fronte a questo problema e di garantire il rispetto delle disposizioni legislative previste in materia. L’approccio tradizionale nel trattare i casi di violenza sessuale tende a ignorare la situazione delle vittime e cerca soluzioni o risarcimenti (diretti ai familiari maschi delle vittime) attraverso una negoziazione tra i membri dei clan degli stupratori e delle loro vittime. A volte, queste ultime vengono costrette a sposare gli uomini che le hanno violentate. Spesso le violenze sono poste in essere proprio dalle autorità governative, ossia dagli uomini in divisa, che rimangono il più delle volte impuniti. Nel Somaliland lo stupro di gruppo è un problema presente soprattutto nelle aree urbane, perpetrato principalmente da bande giovanili e studenti maschi. Molti di questi casi avvengono nelle periferie povere, dove le vittime sono spesso immigrati, rifugiati e sfollati provenienti dalle zone rurali ospitati nelle aree urbane.
Inoltre, con l’inizio della pandemia da Covid19 la situazione delle donne somale si è aggravata ulteriormente. Secondo il Somali Women Development center (SWDC) dal 2020 a causa del coprifuoco e delle restrizioni alla circolazione più del 50% delle violenze di genere sono avvenute tra le pareti domestiche.
Le donne non godono inoltre degli stessi diritti degli uomini e subiscono sistematiche forme di subordinazione agli uomini, nonostante le disposizioni costituzionali vietino qualsiasi forma di discriminazione. La legge richiede un eguale salario per le stesse condizioni di lavoro. Di fatto, però, le donne rappresentano una percentuale residuale degli occupati, sia nel settore pubblico che in quello privato, a causa del basso livello di istruzione delle bambine. Le donne non sono discriminate nel campo della proprietà e della gestione imprenditoriale, salvo nelle aree controllate da al-Shabaab che ritiene contraria all’islam la partecipazione delle donne alle attività economiche. Sussistono, tuttavia, altre forme di discriminazione – sociale e legislativa – anche in altri campi come nel possesso di beni, nell’eredità ecc.
Le mutilazioni genitali femminili, infine, sono una pratica molto diffusa in tutte le regioni della Somalia. La stessa costituzione somala descrive la circoncisione femminile come crudele e degradante, equiparandola alla tortura. Diverse sono state le pressioni sui leader religiosi, politici e comunitari affinché intervengano per porre fine a tale pratica, che tuttavia è ancora molto diffusa in tutto il paese. Si stima che il 99% delle donne e ragazze tra i 15 e i 49 anni è stata oggetto di questa pratica.
L’ONU ha continuato a segnalare episodi di violenza sessuale e di genere correlati al conflitto. È stato registrato un aumento della violenza di genere dal 2022 in poi, in particolare sono stati segnalati numerosi casi di violenza e stupro su donne e ragazze sfollate. Ancora oggi il codice penale somalo classifica la violenza sessuale come un “reato contro il pudore e l’onore sessuale” piuttosto che una violazione dell’integrità fisica e mentale delle vittime.
Bambini
La nazionalità dei bambini alla nascita dipende dalla nazionalità somala del padre e non della madre o dalla nascita in territorio somalo. I bambini nati da madri somale possono acquisire la nazionalità soltanto dopo due anni.
La legge somala prevede un’istruzione gratuita fino al livello secondario ma in realtà quasi i due terzi della popolazione in età scolare rimane fuori dalla scuola a causa di barriere come povertà, mancanza o lunga distanza delle scuole.
Il governo non è riuscito a fornire un’istruzione efficace a livello nazionale, un divario parzialmente colmato da ONG e attori privati non statali; le opportunità di istruzione erano spesso limitate a aree urbane più sicure.
Diverse organizzazioni denunciano come tutte le parti coinvolte nel conflitto somalo continuino a commettere gravi abusi sui bambini, come il reclutamento nelle forze armate, uccisioni, mutilazioni, attacchi alle scuole e detenzioni arbitrarie. Al-Shabaab, in particolare, si è resa responsabile di diversi attacchi alle scuole, nonché ha portato avanti negli anni un’accanita campagna di reclutamento di bambini nei loro eserciti. I bambini all’interno dei campi di addestramento delle milizie di al-Shabaab vengono sottoposti a estenuanti allenamenti fisici, non ricevono un’adeguata alimentazione, vengono addestrati all’uso delle armi, subiscono punizioni fisiche, ricevono un’educazione religiosa e vengono costretti ad essere testimoni delle punizioni ed esecuzioni inflitte ai loro coetanei. Al-Shabaab usa i bambini nei combattimenti, spesso come scudi umani e come attentatori suicidi o anche per piazzare bombe e altri ordigni esplosivi. Sono anche costretti a lavorare in ruoli di supporto come nel trasporto di munizioni, acqua e cibo; nella rimozione dei militanti morti o feriti; nella raccolta delle informazioni e nei servizi di sorveglianza.
Il gruppo di al-Shabaab non è tuttavia l’unico ad aver reclutato e impiegato bambini nel suo esercito. Sembrerebbe che anche le forze nazionali e regionali abbiano reclutato e utilizzato i bambini nei propri eserciti. Oltretutto, sono state queste stesse autorità a mettere in atto detenzioni arbitrarie verso dei bambini e ragazzi, per presunte affiliazioni al gruppo terroristico.
La legge somala prevede l’età minima per il matrimonio ai 18 anni, tuttavia non vengono vietati espressamente dalla stessa i matrimoni precoci. Questa pratica è altamente diffusa nelle zone sotto il controllo di al-Shabaab.
Le Nazioni Unite hanno continuato a documentare e denunciare i gravi abusi contro i bambini vittime di uccisioni, mutilazioni, reclutamento e violenza sessuale. Le scuole continuano a essere obiettivi di attacchi indiscriminati da parte al Al-Shabaab. Numerosi minori vengono detenuti perché accusati di essere affiliati al gruppo terroristico e processati come se fossero adulti. Nell’arco del 2023 sei ragazzi sono stati condannati a morte da parte del tribunale militare del Puntland. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ha denunciato una preoccupante situazione legata al fenomeno delle spose bambine; è stato stimato che oltre il 45% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni.
LGBTQIA+
Le relazioni tra persone dello stesso sesso sono vietate dal codice penale somalo, che prevede pene detentive che possono andare da due mesi a tre anni. Inoltre, in alcune regioni del sud, alcune corti islamiche hanno perfino imposto pene di morte, facendo leva sulla legge della Sharia.
Le persone appartenenti alla comunità LGBT+ non godono di nessuna forma di protezione dalle discriminazioni. La legge somala, infatti, non prevede divieti e/o sanzioni per le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.
Anche a livello sociale l’omosessualità rappresenta uno stigma. Non esistono dibattiti pubblici sul tema, non ci sono organizzazioni a difesa dei diritti delle persone omosessuali. Le denunce di violenze o discriminazioni sociali basate sull’orientamento sessuale sono rarissime, soprattutto a causa dell’enorme emarginazione sociale che ne deriverebbe e che, di fatto, impedisce a queste persone di rendere pubblica la loro condizione.
Rifugiati e sfollati interni
Gli oltre trentennali conflitti in Somalia, in aggiunta alle violenze, le violazioni dei diritti umani e ai ricorrenti periodi di siccità o alluvioni, hanno sottoposto la popolazione somala ad una grande pressione, portando ogni anno a ripetuti spostamenti all’interno e all’esterno del Paese. Il Governo Federale, sin dal suo insediamento nel 2012, ha lavorato per la promozione della pace, per la creazione di un governo stabile e per migliorare i rapporti con le aree del Paese che rivendicano maggiore autonomia. La struttura federale, tuttavia, è ancora fragile e sussistono molti elementi di instabilità per il futuro della nazione. Il gruppo armato islamico di Al-Shabaab rappresenta ancora la principale minaccia per la pace e la sicurezza.
Alla fine del 2023 i rifugiati somali sotto il mandato UNHCR sono stati 842.044, con 179.244 richiedenti asilo, circa 4 milioni di sfollati interni (IDP).
Oltre ad avere una cospicua parte della propria popolazione che cerca protezione in altri paesi, la Somalia registra anche un elevato numero di sfollati interni. Conflitti, violenze, condizioni climatiche critiche, quali alluvioni alternate a siccità, nonché le forti difficoltà di accesso agli aiuti umanitari, portano le persone a lasciare le proprie case per ricercare zone più sicure. Gli IDP sono una categoria a rischio, che subisce spesso sfruttamenti e abusi, tra cui violenza sessuale e sgomberi forzati. Donne e bambini sfollati internamente nei campi sono particolarmente vulnerabili a questo tipo di abusi, oltre che a forme di emarginazione ed esclusione sociale.
La siccità in Somalia sta provocando negli anni un vero e proprio esodo di rifugiati verso il Kenya. Ogni giorno centinaia di persone abbandonano le proprie case a causa del conflitto e delle tragiche conseguenze della peggiore crisi climatica degli ultimi quarant’anni e arrivano al campo profughi di Dadaab, al confine tra Kenya e Somalia in cerca di cibo e acqua. La Croce Rossa Internazionale ha accertato più di 500 casi di colera e di morbillo tra i bambini nel campo dove vi è un serissimo problema di sovraffollamento e le strutture non sono adeguate. I casi di malnutrizione grave sono in repentino aumento. Il campo di Dadaab è stato aperto nel 1991 per dare rifugio ai profughi in fuga dalla guerra civile in Somalia. Un massiccio flusso di persone era già avvenuto nel 2011 quando più di 130.000 somali sono scappati dal Paese a causa della carestia che ha provocato circa 260.000 morti, la metà dei quali erano bambini.
Nella città di Baidoa, nel sud della Somalia, sono stati rinvenuti 230 corpi di bambini seppelliti nel cimitero della città, morti a causa della malnutrizione provocata dalla carestia che ha messo in ginocchio l’intero Paese. Più di 600.000 sono fuggite dalle loro case in cerca di acqua e cibo.
Il parlamento federale ha recentemente approvato una legge finalizzata a proteggere e riabilitare gli sfollati e i rifugiati somali ma la sua implementazione è stata lenta. Le condizioni di vita negli insediamenti informali sono difficilissime. I principali problemi sono legati alla mancanza di acqua, alle precarie condizioni igieniche e allo smaltimento dei rifiuti. Spesso si assiste al diffondersi di focolai di epidemie che per la maggior parte hanno origine nei luoghi che ospitano gli sfollati.
Riepilogo fonti
- AFRICANEWS, U.S. drone strike kills top Al-Shabaab official in southern Somalia. https://www.africanews.com/2019/11/20/us-drone-strike-kills-top-al-shabaab-official-in-southern-somalia/
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