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STORIA DELLA PROFESSIONE GIORNALISTICA
17/04/2008
La professione di giornalista in Italia è regolata da una legge dello Stato: la legge 3 febbraio 1963 n. 69. Questa legge prevede che l’attività giornalistica è un’attività intellettuale a carattere professionale, caratterizzata quindi da quell’elemento di “creatività” che fa del giornalista non un impiegato o un operatore esecutivo, ma, appunto, un professionista. La legge riconosce poi la rilevanza sociale del giornalismo e impone, a chi lo eserciti in forma professionale, di iscriversi obbligatoriamente in un Albo dettandone condizioni e modalità; tutto ciò, soprattutto a garanzia della pubblica opinione e del lettore che è il destinatario dell’informazione.
La legge, inoltre, prevede l’autogoverno della categoria, la gestione dell’Albo affidata cioè a giornalisti che siano eletti democraticamente dalla categoria. Si sente molto spesso dire che solo in Italia esiste un Ordine dei Giornalisti. Questo è vero, ma è altrettanto vero che in tutto il mondo, e non solo in Europa, per quanto riguarda la tutela dei giornalisti, si registra una tendenza che è quella dell’autoregolamentazione. Si avverte in sostanza tutta la delicatezza di un intervento dello Stato, o di altri soggetti esterni che pongano limiti all’autonomia dell’informazione. Questa attenzione esiste non solo nei paesi latini, ma anche nei paesi anglosassoni che hanno una cultura giuridica diversissima: tutti insistono nel rivendicare che certi interventi, come ad esempio quello di natura deontologica, spettino agli organismi della categoria, siano essi Ordini professionali, Sindacati o Associazioni, e nel chiedere una protezione legislativa.
Come e perché storicamente si è arrivati alla legge del ’63 sull’ordinamento professionale dei giornalisti – del giornalismo inteso come prestazione intellettuale a carattere professionale si comincia a parlare dal 1877, con la nascita dell’Associazione della Stampa Periodica Italiana. Nello statuto di tali associazioni erano previste infatti tre Categorie: gli effettivi, coloro che esercitavano esclusivamente l’attività giornalistica, i pubblicisti, ai quali era concesso svolgere con il giornalismo anche altre professioni, e i frequentatori, cioè quelle personalità del mondo culturale e politico che con carattere di periodicità pubblicavano articoli su quotidiani e, in genere, sulla stampa.
Nel 1908 avviene in Italia il primo riconoscimento giuridico della professione e la nascita del primo embrione di albo: la legge n. 406 del 9 luglio, infatti, concede, ai giornalisti 8 scontrini ferroviari con la riduzione del 75% sulle tariffe. E lo concede a coloro che “fanno del giornalismo la professione abituale, unica e retribuita”. Sempre questa legge prevede la costituzione di un’apposita commissione presso le Ferrovie dello Stato con lo scopo di compilare l’elenco de direttori, dei redattori e dei corrispondenti di quotidiani ai quali concedere gli scontrini.
L’albo viene poi recepito in sede contrattuale nel marzo del 1925 quando fra la Federazione della Stampa e gli editori fu firmato un accordo che prevedeva la costituzione presso ciascuna Associazione regionale di un comitato paritetico giornalisti – editori per la compilazione dell’albo locale. Al centro venne costituito un comitato d’appello per giudicare sui ricorsi avverso l’esclusione dagli albi locali. Nel contratto stipulato poi il 14 luglio del ’25, si affermava che dovevano considerarsi “giornalisti professionisti coloro che da almeno 18 mesi facciano del giornalismo la professione unica retribuita”.
Sempre nel ’25, e precisamente a dicembre, con la legge n. 2307, fu istituito l’Ordine dei Giornalisti avente le sue sedi nelle città dove esisteva la Corte d’Appello. L’Ordine avrebbe dovuto formare gli albi locali e solo agli iscritti sarebbe stato consentito di esercitare la professione. La normativa non ebbe però alcun seguito. Anzi, avvenne che nel febbraio del ’28 un Regio decreto – ignorando la precedente legge – dette norme soltanto per “l’istituzione dell’albo professionale dei giornalisti”. Ciò è facilmente spiegabile: nel ’26 era stato infatti istituito il sistema del “Sindacato unico di diritto pubblico” per tutte le categorie dei professionisti.
Con questo sistema venivano mantenuti in vita – con forti limitazioni – gli ordini già esistenti. Gli altri come l’Ordine dei Giornalisti, furono invece bloccati.
Il Regio Decreto del ’28 prevedeva l’albo dei giornalisti suddiviso in tre distinti elenchi: i professionisti (cioè coloro che da almeno 18 mesi esercitavano esclusivamente la professione giornalistica), i praticanti (coloro che pur esercitando esclusivamente la professione non avevano raggiunto l’anzianità di 18 mesi o i 21 anni di età) e i pubblicisti (coloro che esercitavano, oltre all’attività retribuita di giornalista, anche altre attività o altre professioni). Sotto il profilo della disciplina sostanziale, c’è una certa continuità con il passato e una certa somiglianza con l’ordinamento professionale attuale: le categorie (i professionisti, i praticanti e i pubblicisti), i 18 mesi di pratica sono previsti ancora oggi, ecc.
Non si può però parlare di un organismo autogovernato dai giornalisti; l’albo era infatti gestito da un comitato di 5 membri nominati dal Ministro di Grazia e Giustizia di concerto con il Ministero dell’Interno e delle Corporazioni. Contro le decisioni del Comitato dell’albo si poteva ricorrere ad una commissione superiore per la stampa composta da 10 membri; commissione nominata con decreto su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia di concerto anche qui con il Ministero dell’Interno e delle Corporazioni. Dei 10 membri, 5 erano scelti fra i giornalisti designati dal Direttorio del Sindacato Nazionale Fascista.
Caduto il fascismo rinascono gli organismi della categoria basati sulla libera associazione. Per la prima volta viene ricostituita la Federazione della Stampa (26 luglio 1943) presso il Circolo della Stampa di Palazzo Marignoli a Roma. Il Sindacato si pose subito il problema dell’albo. Le strade da seguire potevano essere: 1) abolire tout court la legislazione fascista; 2) disciplinare ex novo la professione; 3) accertare la legislazione del ’28 con alcuni correttivi. Fu scelta quest’ultima via e il Sindacato ottenne dal governo (peraltro presieduto da un antico Presidente della Federazione della Stampa stessa, l’on. Ivanoe Bonomi) l’emanazione di un decreto che sostituiva i Comitati interregionali per l’albo e la Commissione Superiore per la stampa con una Commissione Unica, avente sede a Roma, alla quale veniva affidata la tenuta degli 11 albi regionali e interregionali e la disciplina degli iscritti (D.L.L. 23.10.1944).
Questa Commissione Unica avrebbe dovuto avere un carattere provvisorio e invece rimase in vita fino al 1963 quando, appunto, nacque l’ordinamento professionale. Essa però ha costituito una prima formula di autogoverno della categoria in quanto i suoi componenti, pur se nominati dal Ministero di Grazia e Giustizia, venivano tutti designati dal Sindacato dei giornalisti italiani. La Commissione, pur avendo carattere nazionale, si organizzò perifericamente istituendo presso ciascuno degli 11 albi regionali sub Commissioni o Comitati delegati, ai quali furono affidati i compiti di istruire le istanze di iscrizione. In questa maniera la Commissione Unica assicurava di fatto, se non di diritto, un doppio esame di merito di ciascun iscritto, anche se la deliberazione definitiva apparteneva alla sede nazionale.
Nel 1959 il Ministro di Grazia e Giustizia, l’on. Gonella, dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, presentò alla Camera il disegno di legge n. 1563 sull’ordinamento della professione giornalistica. Le ripetute sollecitazioni della Federazione della Stampa, in particolare i documenti approvati al Congresso di Sorrento del ’62, ebbero l’effetto di imprimere ai lavori della Commissione un ritmo più accelerato, tanto che il disegno di legge fu approvato all’unanimità e con il voto favorevole di tutti i gruppi della Camera in sede legislativa dalla Commissione il 12 dicembre 1962 e trasmesso cinque giorni dopo alla presidenza del Senato. Il disegno di legge fu infatti esaminato, sempre in sede legislativa, dalla Commissione del Senato e, in una sola seduta, il 24 gennaio 1963, ottenne l’approvazione definitiva.