Nel nord del Mali, vicino alla città di Timbuctu, 64 persone sono state uccise in due attacchi terroristici rivendicati dagli insorti del JNIM (Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani), un gruppo affiliato ad Al Qaeda.
È stata colpita una nave passeggeri lungo il fiume Niger e una base militare nella regione di Gao (nel nord del Paese). Il bilancio delle vittime, 49 civili e 15 soldati, è stato reso noto dalla giunta militare al potere che ha letto un comunicato sulla tv nazionale e stabilito tre giorni di lutto su tutto il territorio maliano.
La città di Timbuctu, da sempre importante crocevia delle rotte commerciali nel Sahel e città patrimonio dell’Umanità secondo l’Unesco, da mesi è posta sotto assedio dalle milizie ribelli che dal 2012 controllano vaste aree del Paese e seminano il terrore tra la popolazione.
L’aumento progressivo delle azioni di guerriglia portate avanti dai gruppi jihadisti, coincide con il progressivo ritiro dei 17mila soldati della missione di pace dell’ONU, la MINUSMA, che terminerà nel dicembre del 2023 su richiesta del governo del Mali, Paese in cui l’instabilità sociale ed economica è legata ad una forte precarietà politica: dal 2020, infatti, si sono registrati ben due colpi di Stato.
Tutto questo va a sommarsi ad una lunga serie di criticità che attanagliano non solo il Mali ma tutta la regione del Sahel dove da anni si consuma un conflitto transfrontaliero che coinvolge forze governative, gruppi di ribelli armati e cellule terroristiche.
Ad una grave instabilità politica e sociale si aggiungono i devastanti effetti del cambiamento climatico che stanno investendo tutta l’area del Sahel e che vedono aumentare il numero degli eventi estremi quali inondazioni, siccità, ondate di calore e aumento significativo delle temperature spingendo ogni giorno migliaia di persone a fuggire dalle proprie case in cerca di protezione.