Accoglienza migranti: in Trentino smantellato un modello di eccellenza

Il sistema di accoglienza sviluppato negli ultimi dieci anni a Trento è stato un modello unico nel suo genere. Una buona prassi che ha permesso di ottenre ricadute positive per richiedenti asilo e comunità ospitanti. Ogni euro speso per l’accoglienza infatti ha generato quasi il doppio di valore per l’economia locale (1,96 euro), pari a 9,4 milioni di euro nel 2016.

Ma gli effetti dei decreti sicurezza e scelte politiche locali lo hanno fortemente ridimensionato, mettendone a rischio la sopravvivenza.

E’ quanto emerge dalla ricerca “L’impatto economico e sociale del sistema di accoglienza in Trentino: uno studio esplorativo”, pubblicato dalla Fondazione Migrantes della Cei, commissionato ad Euricse da Arcobaleno SCS, Associazione Centro Astalli Trento, ATAS del Trentino, CGIL del Trentino, Kaleidoscopio SCS.

In Trentino, fino all’entrata in vigore del Decreto Sicurezza e Immigrazione del 2018, esisteva un sistema di accoglienza centralizzato, basato sul coordinamento da parte di Cinformi di circa 20 enti gestori, per lo più organizzazioni del Terzo settore.

Il numero di territori comunali interessati dall’accoglienza straordinaria si è ampliato negli anni passando dai 42 comuni nel 2016 ai 69 a fine 2018. Nel 2018 visto il calo del numero di richieste di asilo sul territorio nazionale, anche in Trentino c’è stata una conseguente riduzione di persone accolte e una diminuzione delle strutture ospitanti (84 strutture nel 2019 contro le 170 del 2018).

I principali cambiamenti introdotti dai decreti sicurezza hanno inflitto un duro colpo al sistema di accoglienza e alla inclusione dei migranti.

Ne deriva un rischio concreto di ricadute sociali negative, con un progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di salute dei richiedenti asilo e importanti conseguenze economiche causate dalla mancata accoglienza. A fronte di un risparmio di spesa, i potenziali costi diretti e indiretti generati dalla riduzione dei servizi di accoglienza, orientamento al lavoro e integrazione rischiano di superare di gran lunga i benefici.

Basti pensare al costo economico e sociale derivante dal calo delle assunzioni di richiedenti asilo, dall’aumento di costi a carico delle strutture di accoglienza a bassa soglia e di quelli per la fornitura di generi di prima necessità, dal rischio di aumento delle fragilità socio-sanitarie alle quali i servizi territoriali devono rispondere, tra i quali gli accessi impropri al pronto soccorso. Senza contare i licenziamenti di operatori altamente qualificati, spesso giovani laureati trentini, con una conseguente dispersione delle competenze acquisite.

“Minori sono le risorse e competenze che riusciamo a dedicare alle persone più fragili e maggiori saranno le risorse che dovremmo investire in assistenza e in spese sanitarie, finendo spesso col mantenere le persone in uno stato di dipendenza e marginalità che fa male ai diretti interessati ma anche alle comunità nel suo complesso”, ha sottolineato Mariacristina Molfetta di Fondazione Migrantes. “Il volume lo illustra con chiarezza – ha aggiunto – e noi speriamo che una maggiore consapevolezza in questo senso aiuti ogni territorio a riorientare le scelte politiche e organizzative senza esitazioni, ritornando ad una concezione delle politiche sociali come motore e anima del bene comune”.

Tutto ciò porta a interrogarsi sul senso di una riforma che, lungi dal tradursi in un risparmio significativo, è molto probabile generi consistenti costi economici e sociali nel medio e lungo periodo.

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