Decine di persone, tra cui diversi bambini, sono stati uccisi dai militari in Myanmar, nel giorno più violento dell’inizio delle proteste, a quasi due mesi dal golpe del primo febbraio. Un vero “sabato di sangue” con la popolazione che continua a ribellarsi, chiedendo la liberazione dell’ex premier Aung San Suu Kyi. La durissima repressione della giunta militare guidata da Min Aung Hlaing, nella giornata delle Forze armate, ha provocato circa 100 morti, secondo le stime più ottimistiche.
Il totale supera ormai i 400 morti, mentre gli arresti sono oltre 3mila. Fra le vittime si contano almeno tre bambini, colpiti mentre erano nelle braccia dei genitori o si trovavano in casa: uno di 5 anni a Mandalay, un tredicenne a Shwebo e una quattordicenne a Meiktila.
Gli scontri sono avvenuti in una quarantina di località del Paese asiatico.
Secondo l’Onu, con questa sanguinosa repressione “si aggrava l’illegittimità del colpo di Stato e la colpevolezza dei suoi leader. Nella capitale Naypyidaw, ieri si è celebrata la giornata delle forze armate, che commemora l’inizio della resistenza all’occupazione giapponese nella Seconda Guerra mondiale. E’ stata organizzata una parata, alla quale hanno partecipato anche le delegazioni di Cina e Russia. Il leader Min Aung Hlaing aveva avvertito che gli atti “terroristici” sarebbero stati ritenuti inammissibili.
Con l’arrivo della sera, la repressione delle proteste si è fatta particolarmente dura e sanguinosa, in tutto il Paese. Condanne unanimi sono arrivate dalle rappresentanze diplomatiche di Usa e Ue.