“Negare una degna sepoltura è contro ogni principio di umanità. Passeremo alla storia come una civiltà barbara che per motivi economici non seppellisce i morti”.
“Faremo di tutto per recuperare il relitto ma anche per recuperare le salme di quelle persone che sono morte inseguendo la libertà”. Così Matteo Renzi lo scorso 8 maggio tornando sul terribile naufragio dello scorso 19 aprile in cui trovarono la morte oltre 800 persone nel Canale di Sicilia, mentre tentavano di raggiungere l’Europa.
Parole smentite ieri dal procuratore di Catania Giovanni Salvi che ha dichiarato “Resteranno in fondo al Mediterraneo. Quei corpi non servono alle indagini”. Le 800 vittime, mai si saprà con certezza il numero esatto, resteranno in mare: non è possibile affrontare costi dell’operazione di recupero.
“Per l’ennesima volta principi basilari di civiltà e umanità sembrano passare in secondo piano davanti a presunte motivazioni economiche. Non c’è fine all’orrore. Quei corpi in fondo al mare hanno diritto a una degna sepoltura”.
Così p. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, commenta la notizia e continua: “ci sono più di 800 famiglie che non sanno se i loro cari sono vivi o morti, è un dovere recuperare quei corpi e per quanto possibile dare loro un nome. Lo dobbiamo fare, è una questione di civiltà. Chiediamo a coloro che in questo momento devono decidere della sorte di quei morti di provare a mettersi nei panni dei congiunti che aspettano di sapere. Proviamo a pensare se in fondo al mare ci fossero i nostri figli o i nostri fratelli”.