È discriminatoria la delibera del Comune di Roma che chiede la residenza anagrafica come requisito per il buono spesa, escludendo in questo modo di fatto gli immigrati irregolari. Lo ha stabilito il tribunale civile della Capitale, che ha accolto in via d’urgenza il ricorso di un immigrato originario delle Filippine. L’uomo e la sua famiglia, di cui fanno parte 3 minori, sprovvisto di permesso di soggiorno e di residenza, ha contestato la delibera del Campidoglio dopo essersi visto rifiutare il contributo, proprio per questi motivi, nonostante avesse specificato all’atto della domanda la propria condizione economica aggravatasi per effetto del lockdown e della conseguente perdita del lavoro come aiuto cuoco.
La decisione afferma il principio per cui i diritti fondamentali dei cittadini stranieri privi di un permesso di soggiorno, non riguardano solo le prestazioni sanitarie, ma si estendono anche a prestazioni di natura economica garantite dalle istituzioni per soddisfare i bisogni primari – come è quello alimentare – secondo l’inderogabile dovere costituzionale di garantire a tutti gli esseri umani sul territorio nazionale i diritti inalienabili dell’uomo.
Nelle dieci pagine del provvedimento si rileva infatti che “il buono spesa è stato istituito nell’emergenza sanitaria in atto per garantire alle persone più vulnerabili la possibilità di soddisfare un bisogno primario e un diritto fondamentale quale il diritto all’alimentazione”.