La chiusura delle frontiere di Austria, Croazia e Slovenia devia il flusso dei migranti in Grecia, bloccandoli al confine con la Macedonia. Qui, a Idomeni, il villaggio greco dove migliaia di migranti restano tuttora accampati nella speranza che Skopje decida di riaprire la frontiera, continua a salire la tensione.
Nelle scorse ore circa 500 migranti hanno attaccato direttamente la rete di frontiera che li separa dai loro sogni. I profughi hanno tentato di riaprirsi da soli quella rotta balcanica verso Nord che l’Europa ha chiuso da un mese. In mezzo migliaio hanno cercato di penetrare tra le matasse di filo spinato che proteggono la barriera.
La polizia macedone ha risposto sparando gas lacrimogeni e pallottole di gomma contro i migranti per farli indietreggiare. Almeno 300 di loro hanno avuto bisogno di ricevere cure a causa delle ferite riportate durante gli scontri.
In questo quadro già drammatico si colloca l’ennesima tragedia in mare avvenuta proprio nei giorni in cui la Grecia ha ripreso le operazioni, sulla base dell’accordo tra Ankara e la Ue, per deportare in Turchia i migranti che non avrebbero diritto a chiedere l’asilo. Il tanto criticato accordo entrato in vigore lo scorso 20 marzo non è riuscito a fermare chi, ancora, ogni giorno, continua ad affrontare i pericolosi viaggi su imbarcazioni di fortuna per fuggire dalla guerra e dalle discriminazioni.
Sono 5 le persone, 4 donne e un bambino, che hanno perso la vita nelle acque del Mar Egeo davanti alle coste dell’isola greca di Samos. Lo riferisce la Guardia costiera che, anche con l’aiuto di una delle navi impegnate nell’operazione Frontex, ha tratto in salvo cinque persone: due donne, due uomini e un bambino.