Sono 5,3 milioni gli stranieri regolarmente residenti nel nostro paese. Il dato, contenuto nel XXIX Rapporto Immigrazione 2020 dal titolo “Conoscere per comprendere” di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, fotografa una popolazione che rimane uguale negli anni e cresce sempre meno. Spesso ai margini del mondo del lavoro, anche se presenti da anni nel nostro paese, molte famiglie straniere sono in situazione di povertà. Una condizione aggravata dai mesi di lockdown dovuti all’emergenza sanitaria di Covid19.
Il rapporto fornisce un quadro complessivo dell’immigrazione in Italia. «Se fino a un decennio fa – si legge nel documento – l’aumento della popolazione straniera seguiva un ritmo significativo, da qualche anno il trend è in diminuzione (dal 2018 al 2019 appena 47mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più), accompagnato da altri segnali “negativi”, come la diminuzione delle nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate da 146mila nel 2017 a 127mila del 2019)».
La presentazione del rapporto ha evidenziato come a fronte di una crescita mondiale delle migrazioni fortemente aumentata negli ultimi 50 anni, costituita da 272 milioni di persone pari al 3,5% della popolazione del pianeta, in Italia si registra un’inversione di tendenza con minori arrivi, nascite e acquisizioni di cittadinanza. Diversi studi inoltre hanno fornito stime circa la consistenza della componente irregolare in Italia, oltre 650.000 persone, sottolineando come i provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale continuano a dimostrare di essere strumenti insufficienti e dispendiosi per la gestione di questo fenomeno.
Per ciò che concerne l’apporto economico dei migranti, il dossier specifica come in Italia nel 2018 il loro contributo al Pil sia stato di 139 miliardi di euro, pari al 9% del totale. Nel mercato del lavoro si era registrata una crescita di occupazione dei cittadini stranieri — circa 2,5 milioni, che rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel Paese — prima del drammatico impatto rappresentato dalla diffusione del covid-19 che ha provocato una contrazione di impieghi e un sensibile aumento di coloro che non hanno né cercano un lavoro. E qui si lega strettamente il discorso che verte sulla povertà, soprattutto quella assoluta, la quale, affligge circa 1,5 milioni cittadini stranieri fortemente penalizzati dalle conseguenze del lockdown.
La pandemia non ha però comportato gravi ripercussioni a livello medico-sanitario sui migranti: nell’aprile 2020 in Italia su 179.200 persone diagnosticate tra quelle con nazionalità conosciuta – il 69,3% – solo il 5,1% ha riguardato soggetti di nazionalità straniera. Non solo: secondo uno studio condotto dall’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, tra i casi di positività al coronavirus fra gli stranieri presenti nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo in un periodo che va dall’11 maggio al 12 giugno 2020, su 59.648 immigrati accolti solo 239 sono stati confermati positivi al covid-19, lo 0,4%, escludendo qualsiasi allarme sanitario.
Scuola e università sono le altre voci analizzate nel documento che osserva come la perdita di circa centomila studenti italiani nell’anno scolastico 2018-2019 dovuta al calo delle nascite sia stata compensata da un aumento di alunni con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di quasi 16mila presenze rispetto all’anno precedente, raggiungendo un totale di circa 860mila unità, il 10% del totale della popolazione scolastica. Anche su questo versante non sono mancate difficoltà nell’ambito della didattica a distanza: pur dotati di tablet forniti dal Ministero della pubblica istruzione, molti bambini stranieri non hanno ricevuto aiuto dai familiari a causa della scarsa competenza informatica e delle difficoltà linguistiche. È del 33,1% invece l’ammontare degli studenti stranieri a rischio di abbandono dell’università, contro una media nazionale del 14%, indice – afferma il rapporto – di una scarsa attrattività del sistema universitario.